Una doverosa premessa: questa è una riflessione generata solo in parte dagli ultimi fatti di cronaca che hanno visto protagoniste alcune tifoserie italiane.

È da tempo infatti che ci interroghiamo sul futuro del nostro mondo.

Una sottocultura unica, messa sempre più in discussione da un calcio privo di valori e ormai schiavo delle televisioni e del Dio denaro; da una politica che ha sempre tutelato gli interessi delle società trascurando i diritti e le richieste dei tifosi, anche di quelli “buoni”; dalla crescente volontà di inibire di questo sistema improntato solamente alla censura, piuttosto che alla prevenzione, alla “educazione”, alla valorizzazione di certi aspetti del tifo; da certe leggi liberticide testate sulla nostra pelle prima ancora di essere esportate nella società civile; dagli inutili -e controproducenti- strumenti di repressione partoriti da menti tanto “eccelse” quanto ignoranti; da una gogna mediatica miserabile; da giudici spesso condizionati da pregiudizi e -appunto- dalla stampa; da un clima inquisitorio disarmante; ma -purtroppo- anche da una certa “Mentalità” che ha generato situazioni quantomeno discutibili e ha incoraggiato alcune delle più lunghe cacce alle streghe mai viste.

Sia chiaro, non è nostra intenzione giudicare o puntare il dito su chicchessia, anche perché non è certo questo il momento per farlo; inoltre, per certi versi, non ci sentiamo migliori di altri.

Una cosa però la vogliamo ribadire: la responsabilità di quanto sta accadendo è anche nostra.

In primis perché non siamo stati capaci di comunicare all’esterno i valori, gli ideali, le caratteristiche e gli scopi principali (che non contemplano certo quello di arricchirsi) del nostro mondo, ossia la parte migliore e predominante. Non solo: chi ha cercato di farlo è stato “isolato” o addirittura infamato, perché in televisione non si va, con i giornalisti non si parla, i politici sono tutti voltagabbana (per usare un eufemismo), la repressione selvaggia fa parte del gioco, il vero Ultras è clandestino, il vero Ultras è un “duro e puro”, il vero Ultras non si piange addosso, il vero Ultras non si siede al tavolo col proprio rivale, “meno incontri più scontri”, “non ci avrete mai come volete voi”, ecc.

Concetti/slogan questi molto affascinanti, ma ormai anacronistici e utili ai millantatori e -soprattutto- ai nostri detrattori.

E se è vero che “Vivere Ultras” è spesso uno stile di vita borderline, ciò non preclude assolutamente la possibilità di poter rivendicare i propri diritti, sanciti fra l’altro dalla Costituzione italiana (fino a prova contraria, anche noi siamo cittadini).

Secondariamente, a un certo punto della storia, molti gruppi hanno smesso di lottare e di tentare -come minimo- di arginare la deriva sportiva e democratica legata al calcio moderno (deriva che, inutile dirlo, ha poi colpito tutti, indistintamente), pensando piuttosto al proprio “orticello” e ignorando bellamente tutto quello che stava accadendo intorno a loro.

A proposito di questo: sebbene non esistano per noi Ultras buoni e Ultras cattivi (il gioco delle parti lo lasciamo agli ipocriti), francamente siamo stanchi di essere associati a un certo “modus operandi” che non ci appartiene.

Siamo stanchi innanzitutto di pagare per le mancanze, le rinunce e le responsabilità di altri.

Terza cosa, non siamo stati in grado di contenere e gestire certe situazioni e -soprattutto- certi atteggiamenti (l’elenco sarebbe lungo), come ad esempio l’uso dei coltelli, derivato da condotte e contesti sociali molto complessi, la maggior parte dei quali estranei agli stadi (questo deve essere chiaro a tutti).

E se è impensabile chiedere agli Ultras di isolare e denunciare chi si macchia di certi fattacci (non siamo sbirri, e nemmeno santi), a questo punto della storia sarebbe auspicabile uno sforzo concreto da parte di tutti i gruppi organizzati nel tentare -se non altro- di “correggere” certe cattive abitudini (non siamo neanche educatori, è vero, ma l’esempio e la comunicazione spesso e volentieri possono fare la differenza, in tutti i campi e in tutti gli stadi, a patto che ci siano le condizioni per inculcare nei più giovani quella che molti di noi definiscono: la vera Mentalità Ultras).

Quello dei coltelli, come già detto, è solo l’ultimo di alcuni aspetti che poco hanno a che fare con la “forma mentis” della maggior parte dei gruppi Ultras italiani, sebbene oggigiorno purtroppo possa spuntare un coltello o un manganello di ferro in qualsiasi Curva o settore popolare.

Per questo è l’aspetto più controverso, inquietante e pericoloso, almeno per quanto ci riguarda, che oltretutto potrebbe essere in qualche modo migliorato, se non addirittura risolto.

Se infatti tutti i gruppi si smarcassero finalmente da certe condotte/dottrine (senza per questo sottrarsi necessariamente al confronto), ci sarebbero meno rischi per tutti, soprattutto in termini di libertà, strumentalizzazione e repressione.

Così, se dopo quanto accaduto di recente è impensabile sperare che non ci sia presto un altro, deleterio giro di vite per tutti, allo stesso modo potremmo ricominciare a perseguire insieme (o almeno con chi ci sta) gli stessi intenti di sempre: evitare nuove e inutili disgrazie; dare un futuro Ultras ai più giovani ricco di emozioni e privo di divieti, permessi e leggi speciali; riempire nuovamente gli stadi e i settori ospiti; ricreare quell’atmosfera tipica del “tifo all’italiana” che rendeva ancor più magici gli eventi calcistici; salvare di fatto il calcio italiano, o per lo meno limitarlo nei suoi aspetti meno popolari; depotenziare questo sistema machiavellico e repressivo che si ripercuote anche sulla società civile con effetti disastrosi; diffondere con ogni mezzo quella Mentalità di cui tanti discutono e si riempiono la bocca, ma che alla prova dei fatti è spesso disattesa.

Per chi non l’avesse ancora capito, il DASPO a vita suggerito da più parti e in diverse occasioni, di recente è stato evitato solo in extremis, ma, statene certi, presto diventerà realtà (probabilmente non è stato concretizzato in questa fase solo perché qualcuno ha fatto riflettere chi di dovere riguardo alla sproporzione e all’inefficacia di alcuni provvedimenti e di un certo tipo di propaganda), e a “testarlo” per primi saranno come sempre gli esponenti più in vista di ogni gruppo/tifoseria, a prescindere dalla loro presunta violenza (i capri espiatori, così come i mostri da buttare in prima pagina, fanno comodo a tanti, se non a tutti).

L’unico dubbio che ci resta al riguardo è cosa sarà proposto dopo il DASPO a vita.

Forse la pena di morte?

Noi naturalmente scherziamo, ma neanche troppo…

E a tranquillizzarci non bastano certo le dichiarazioni del Ministro dell’Interno, che alla fine ha ribadito il proprio dissenso nei confronti di nuovi divieti e di ulteriori provvedimenti repressivi: “La responsabilità è soggettiva…”, “Ci vuole dialogo con le parti…”, “Non bisogna generalizzare…”, “Incontreremo tutti i protagonisti…”, ecc.

Tutti, sì, ad esclusione ovviamente degli Ultras “cattivi”, si è affrettato a correggere imbeccato dalle opposizioni, scandalizzate da un nostro possibile ritorno nelle stanze dei bottoni.

Opposizioni che però gli Ultras li hanno spesso incontrati, specialmente nel periodo delle elezioni.

E poi, sinceramente, se si considera il “pedigree” -tutt’altro che limpido- di molti politici che nonostante ciò hanno frequentato -e tuttora frequentano- il Parlamento, ci verrebbe da dire: “Da che pulpito!”.

In ogni caso, noi non ci siamo mai indignati a tal punto nel vederli legiferare per il nostro Stato, tranne quando l’hanno fatto in maniera discriminante proprio sulla nostra pelle.

L’Italia è proprio uno strano Paese…

Così, ancora una volta, in un momento che definiremmo storico, da ogni forma di confronto e riflessione sono stati esclusi proprio quei tifosi che lo stadio lo hanno vissuto sempre -ovunque e comunque- in maniera passionale e disinteressata (almeno dal punto di vista economico), e hanno visto -o addirittura subito sulla propria pelle- tutte le storture di un sistema portato all’eccesso, che riesce a violare perfino la Costituzione pur di disintegrare ogni forma di aggregazione, anche quella più matura e responsabile.

Un sistema capace di censurare ogni forma di espressione, comunicazione e circolazione (a proposito di Costituzione…).

Negli anni sono stati vietati senza una ragione apprezzabile: tamburi, megafoni, bandieroni, bandierine, magliette, cori, cartoncini, fumogeni (che non sono bombe al napalm, attenzione, ma piccoli tubi di cartone che fanno semplicemente fumo colorato), striscioni, trasferte, volantini, il folclore, l’ironia, ogni forma di protesta (per quanto civile e legittima), e perfino alcune manifestazioni solidali promosse dagli stessi Ultras, alla base delle quali non vi era alcuna dietrologia o forma di violenza.

In realtà, il mantenimento dell’ordine pubblico è stato disciplinato sempre più spesso attraverso permessi, divieti, tessere, ricatti, minacce, dimostrando ancor di più tutti i limiti di un sistema che ha di fatto svuotato gli stadi italiani.

A chi poi parla -senza cognizione di causa- di discriminazione legata al calcio, vogliamo ricordare che la maggior parte dei gruppi Ultras sono un esempio di integrazione, e lo strumento più discriminatorio in assoluto (tuttora operativo, ahinoi) è stato partorito proprio dai vertici del football nostrano, ed è la famigerata tessera del tifoso, che ha diviso i supporters italiani in buoni e cattivi, in base all’accettazione -oppure al rigetto- di questa sorta di “bancomat” elitario.

E poi ci si stupisce perché siamo così incazzati e delusi, oltre che irrimediabilmente disuniti.

Per quanto ci riguarda, siamo così amareggiati che ci auguriamo al più presto una chiusura totale dei settori popolari di tutti gli stadi italiani!

Ovviamente non siamo impazziti improvvisamente, e non siamo nemmeno passati dalla parte del nemico; semplicemente, siamo convinti che questo sia l’unico modo per dimostrare -una volta per tutte- l’importanza del tifo organizzato in tutti i suoi aspetti, e la tristezza e la scempiaggine assolute che deriverebbero dalla sua definitiva… esclusione.

Se ciò avvenisse, in poco tempo si ricrederebbero in tanti; sicuramente ci rimpiangerebbero molti  più di quelli che ci vogliono morti.

Naturalmente, solo chi va -o andava- allo stadio potrà capire fino in fondo ciò che sosteniamo da almeno vent’anni.

E forse questo è proprio uno dei motivi per cui l’attuale Ministro dell’Interno, tifoso rossonero attivo e convinto da molto tempo, pur censurando certi comportamenti, ha parlato diversamente dai suoi predecessori, che hanno fatto parte -non lo dimentichiamo- degli schieramenti più importanti della nostra storia politica, senza distinzione, e hanno sempre rincarato la dose repressiva a ogni piè sospinto.

Pur non dimenticando le pesanti dichiarazioni fatte -dallo stesso Ministro- in certe occasioni pubbliche, durante le quali affiorava un certo disprezzo per le famiglie di alcune vittime per mano dello Stato, e l’apprezzamento per i loro carnefici (guarda caso poliziotti), bisogna ammettere che ha centrato diversi punti nevralgici.

Un altro motivo può essere dovuto al fatto che ora in Parlamento ci sono anche dei politici capaci di ascoltare tutti i cittadini, perfino dei reietti come noi, e questo senza pregiudizi e senza volerci giustificare in tutto e per tutto (del resto, come abbiamo sempre detto, chi sbaglia deve essere pronto ad assumersi le proprie responsabilità).

Non che ci tenessimo in modo particolare a partecipare all’incontro organizzato nei giorni scorsi, ovviamente. Siamo certi, però, che molti di noi avrebbero potuto aggiungere nuovi elementi alla discussione (nuovi perché mai considerati in passato, e non perché particolarmente astrusi, anzi), così che tutti, in primis l’opinione pubblica, avrebbero potuto avere il quadro reale dell’attuale situazione calcistica italiana, senza mistificazioni o strumentalizzazioni, utili queste ai soliti noti, e si sarebbero potuti valutare interventi diversi da quelli già visti in passato, di carattere esclusivamente punitivo.

Di certo, fino a quando gli incontri saranno riservati a chi -di fatto- il calcio l’ha disintegrato (soprattutto a livello sociale) e svenduto, le cose non miglioreranno.

Sempre non a caso, in questi giorni si è tornato a parlare prepotentemente di pena certa e di misure liberticide ancor più restringenti (come se DASPO di otto anni con doppia firma, ART. 9, Foglio di via, Arresto in flagranza differita, Divieto di dimora, Codice Etico, Divieto di trasferta, ecc., siano uno scherzo).

E come se ciò non bastasse, si vogliono pure dare maggiori poteri ai Questori, alle Forze dell’Ordine, e addirittura agli Steward, oltretutto senza considerare che finora moltissimi tifosi denunciati, daspati o addirittura arrestati con molta, troppa facilità, sono stati poi assolti dopo un regolare processo (ed è proprio questo il punto focale: certe pene, specialmente quelle più pesanti, le dovrebbe dare un giudice preparato, e solamente dopo un sacrosanto processo).

Proprio nei giorni scorsi il Ministro Salvini sbandierava alcuni numeri relativi ai diffidati di tutta Italia, dimenticando di precisare una cosa: la maggior parte di questi diffidati non ha ancora affrontato un regolare processo, quindi potenzialmente sarebbe ancora innocente; ciononostante, sta già scontando una pena molto pesante.

Inoltre, alcune statistiche attestano che molti di loro alla fine saranno assolti per non aver commesso il fatto o per non aver commesso alcun reato; questo naturalmente dopo aver scontato l’intera condanna.

In realtà basta veramente poco per ricevere una diffida: una semplice segnalazione da parte di un Ufficiale di Polizia, uno spostamento “reiterato” di seggiolino, un fumogeno, uno striscione non autorizzato (non necessariamente violento), una maglietta con la scritta “Speziale Libero”, una risposta sbagliata al responsabile dell’ordine pubblico, uno scambio di persona, ecc.

Per questo invitiamo tutti (in particolar modo il Ministro) a riflettere prima di puntare il dito e di dare per assolute alcune leggende metropolitane, come quella che ha stabilito la messa al bando dei tamburi (non è una barzelletta, è verità: sembra infatti che i tamburi siano stati vietati perché alcune Questure in passato hanno asserito che erano utilizzati dai gruppi organizzati per scandire il tempo di carica contro le forze dell’ordine!).

Lo Stato, e chi lo rappresenta, dovrebbe decidere per sempre cosa fare: distruggere del tutto il mondo del tifo organizzato, e con esso ciò che di buono è stato fatto negli anni da migliaia di ragazzi a livello sociale e aggregativo, oppure valorizzare e rispettare l’aspetto dominante delle Curve, quello appunto collettivo.

Per questo vogliamo provare a riflettere sul nostro destino, che mai come in questo momento è -ahinoi- nelle mani delle persone più sbagliate.

Dopo tanti anni di repressione, e dopo certi tragici eventi, abbiamo stabilito le nostre priorità e i nostri obiettivi; allo stesso tempo, siamo giunti a delle conclusioni forse discutibili, ma -speriamo- non banali.

Oltre a quanto già detto, siamo convinti che se ogni tragico episodio fosse analizzato con maggior attenzione, probabilmente scopriremmo che si poteva evitare.

Se tutte le autorità, bravissime a reprimere, incapaci però di prevenire (lo dimostrano i fatti, non lo diciamo noi), avessero ad esempio una conoscenza e una preparazione migliori, e magari una più alta considerazione di chi agisce da sempre in trasparenza e con la massima lealtà, probabilmente lo stadio sarebbe vissuto da tutti con maggior serenità.

Se ognuno di noi si sforzasse di calcolare tutte le possibili conseguenze derivanti da certe scelte estreme, ci sarebbero meno errori e meno vittime.

Se tutti avessero una coscienza, e conoscessero gli oneri (e non solo gli onori) derivanti dalla responsabilità del proprio ruolo all’interno di ogni contesto, i giovani avrebbero dei riferimenti più saldi e degli esempi migliori.

Se certe “digressioni” tanto di moda nella società civile fossero biasimate e bandite da tutti, probabilmente non ci troveremmo a discutere di nuovi provvedimenti liberticidi (che colpiscono e fanno male a tutti, indistintamente, lo ripeteremo fino alla noia).

Senza voler insegnare niente a nessuno, fin dagli anni novanta, e più precisamente fin dal raduno di Genova organizzato dopo la morte di Spagnolo, alcuni di noi si sono spesi in prima persona affinché certe tragedie non accadessero mai più.

E come noi l’hanno fatto tanti altri Ultras in Italia, con risultati anche importanti.

E questo non significa -oggi come allora- rinunciare al confronto con i propri rivali (repetita iuvant!), con tutti i rischi del caso.

Semplicemente, vuol dire caricarsi di quelle responsabilità che competono a un vero leader, a un grande gruppo Ultras (a prescindere dai numeri, dalla categoria e dalla città di appartenenza), a uomini che abbiano le capacità e la volontà di trasmettere -ad esempio- certi valori a un’intera tifoseria, di conseguenza a una parte importante della società civile.

Sì, perché se gli ultimi episodi di cronaca hanno dimostrato qualcosa, è proprio il fatto che le Curve, i gruppi organizzati, le tifoserie in generale e gli Ultras in particolare, nella vita di tutti i giorni sono parte integrante della società civile.

Laureati, imprenditori, scrittori, professori, avvocati, studenti, operai, agricoltori, liberi professionisti, ecc., ossia cittadini italiani a tutti gli effetti, con un cervello, un grande cuore, e -non ultimo- un coraggio immane (diversamente non potrebbero sopportare tanta ipocrisia e ignoranza).

Gli Ultras non sono certo disadattati o delinquenti abituali come i benpensanti e la maggior parte dei giornalisti spesso amano raccontare.

Come già detto più volte, il nostro è un universo spesso schiacciato, incattivito e impoverito dagli eccessi e dagli interessi di un calcio ormai irriconoscibile e di una politica camaleontica.

Un mondo sottovalutato e di certo non comune.

A proposito di questo: proprio i gruppi organizzati hanno dimostrato negli anni una lucidità, una coerenza, una capacità, una tenacia, uno spirito di sacrificio, una solidarietà e un’umanità fuori dal comune, con gesti tanto clamorosi quanto sublimi.

Cose queste che hanno trovato poco spazio sui quotidiani nazionali, troppo presi a dissacrarci e a demonizzarci a ogni occasione.

E se è vero che tutto ciò non ci autorizza a infrangere la legge, dimostra però la complessità di un mondo, il nostro, criminalizzato, ghettizzato e strumentalizzato da troppo tempo e con troppa facilità.

Di errori, naturalmente, ne abbiamo fatti tanti, e forse ne faremo ancora.

Una cosa però è certa e comprovata: siamo fra i pochi che hanno sempre pagato e che sempre pagheranno, anche in maniera spropositata.

Perché in realtà di leggi e strumenti per controllarci e colpirci (a volte anche in maniera anticostituzionale, ad esempio col DASPO) ce ne sono in abbondanza.

Peccato si utilizzino sempre più spesso questi metodi (semplicemente repressivi!) per ricattare, punire e invalidare proprio quelle persone che per il loro carisma, la loro umanità, la loro semplicità, la loro lealtà, la loro passione, sono state “elette” dal popolo a simbolo di una tifoseria.

Di fatto, trent’anni di repressione e leggi speciali hanno svuotato le Curve proprio di quei ragazzi portatori di valori unici e fondamentali, sia allo stadio, sia nella vita di tutti i giorni.

Queste persone, con ogni probabilità scomode al sistema perché pensanti e indipendenti, non certo perché particolarmente violente, in passato hanno spesso risolto situazioni molto critiche, hanno organizzato trasferte oceaniche con donne, anziani e bambini (per altro senza che accadesse nulla di particolare), hanno educato molti giovani “alle prime armi”, hanno scoraggiato certi atteggiamenti vili e distruttivi (come l’uso di coltelli, gli atti di vandalismo, i dieci contro uno, le sassaiole, ecc.), hanno dato un’impronta Ultras (nel senso più nobile della parola) al proprio gruppo, hanno reso orgogliosa la propria tifoseria, hanno trasmesso una passione smisurata, hanno impedito a certi presidenti di fare il loro porco comodo, hanno perfino osteggiato l’invadenza e l’ingordigia delle Pay-Tv, hanno preteso il rispetto per la propria Maglia e per i propri colori, hanno combattuto tutto ciò che in realtà ha ridotto lo sport più bello e popolare del mondo a un insulso teatrino.

A questo punto, oltre a denunciare e a denigrare gli Ultras, bisognerebbe anche avere il coraggio di ammettere che gli stadi non si sono svuotati per colpa della violenza dei gruppi organizzati, ma piuttosto a causa della burocrazia, del caro prezzi, dello spezzatino, dei divieti, perfino della repressione, che come già detto non ha colpito solo i cosiddetti violenti.

Non dimentichiamo che negli anni settanta, ottanta e novanta, quando cioè la violenza era all’ordine del giorno, gli stadi di ogni categoria erano pieni, soprattutto durante certi derby, che pur essendo considerati da sempre gli incontri a maggior rischio, sono tuttora i più partecipati.

Qualcuno, di recente, ha affermato come in un Paese civile non si possa morire per una partita.

Questo è giusto e lo possiamo capire, la vita del resto è sacra.

Non si dovrebbe però morire nemmeno per lavoro, per un concerto, per una serata in discoteca, per gelosia, per discriminazione, per disattenzione, per disinformazione, per disoccupazione, per ignoranza, per ingordigia, per un ponte trascurato, per sport, per denaro, per mala sanità, per mala politica, per mala polizia, per mano dello Stato, per repressione, per religione, per miseria, per indifferenza, per sfinimento, per mafia, per un terremoto, per una guerra, ecc.

Eppure, nella maggior parte di questi casi, quando ciò avviene (e capita molto spesso) sono sempre di meno quelli che s’indignano e chiedono giustizia.

Oltretutto, c’è chi accetta o -peggio ancora- giustifica certi drammi definendoli “fisiologici” o perfino inevitabili, specialmente quando si parla di omicidi di Stato.

Ci si dovrebbe poi chiedere perché l’unica divisa rispettata, soprattutto dai giovani -ma non solo, sia quella dei vigili del fuoco.

Noi siamo consapevoli di tutti gli errori fatti in passato dal nostro mondo, e siamo pronti a pagare dazio per questo.

Chi altri è disposto a fare altrettanto?

Francamente, non siamo più disposti a pagare per una politica che premia i disonesti e censura gli Ultras anche nelle loro forme più nobili e solidali.

Per questo, nonostante tutto, diciamo: Avanti Ultras!

Finché potrò, combatterò!

Ultras Brescia 1911 Ex-Curva Nord

Brescia 11/01/2019