Alessandria@GenoaCoppaItalia

Per natura sono uno che si dimentica le cose.
Anniversari, compleanni, feste comandate.
Non arrivo mai in ritardo agli appuntamenti. Mai.
Al massimo non ci arrivo proprio.
Mi ricordo però tutte le volte che ho pensato di smetterla con il calcio.
Ve lo giuro.
Potrei elencare ogni singola domenica a rimuginare o a sputare veleno e bile.
Ogni volta che leggendo un giornale il lunedì mi sono rovinato tutta la settimana.
O meglio, tutta la settimana fino all’uscita del comunicato del CASMS che mi vietava di andare a Portogruaro perché la considerava una trasferta ad alto rischio.
E giù ancora veleno e bile.
Voi cosa fareste se il vostro capitano si vendesse le partite?
E se anche solo uno di quei gol per cui siete finiti schiacciati addosso alla solita balaustra fosse stato deciso prima, a tavolino. Cosa fareste?
Quella continua sensazione di disincanto e distacco.
Sempre.
Qualche settimana fa ero in Irlanda.
Ora, senza raccontarvi la storia della mia vita, esco da una relazione difficile.
Tira, molla, lascia, prendi, scappa. Addio.
Addio suo, chiaramente.
Ecco, ero in Irlanda e mi ha scritto la mia prima fidanzata.
Sì, lei.
Niente di speciale per carità, il caso ha voluto fosse anche lei da quelle parti e mi proponesse una birra.
Sette anni dopo l’ultima.
La sensazione strana è stata che tra le macerie del mio cuore, in quel momento, ho riscoperto incredibile qualcosa di vivo.
Per intenderci, il solo pensiero di quello che eravamo stati ha illuminato un angolino di cuore che ignoravo da troppo tempo.
Le prime canne e la finestra di camera sua spalancata anche d’inverno per non farsi beccare da sua mamma. Lo stadio di nascosto. Le feste di nascosto. I concerti di nascosto.
Amore puro, pulito, sincero.
E quando le vecchie telecamere RAI, fuori tempo, fuori campo, hanno inquadrato lo spicchio dei tifosi alessandrini in festa a Marassi ci ho rivisto tutto questo.
Un’istantanea perfetta.
Nonostante l’orario infame, nonostante la tessera, nonostante questa Coppa Italia faccia schifo.
Ho visto l’urlo in faccia a tutto quello che questo calcio ha di sbagliato.
Gente in lacrime. Per sé stessi, per gli amici, per la propria città.
Una città di provincia, nobile e decadente, proprio come la sua squadra, con quel grigio attaccato addosso come una premonizione, che è riuscita di nuovo ad esaltarsi, emozionarsi.
Ad innamorarsi.
Che se c’è ancora chi sa riscrivere la storia e chi ancora si commuove leggendola, il mio calcio, il nostro, non riescono proprio ad uccidercelo.
Perché basta ancora solo uno spicchio di Marassi, un freddissimo martedì di dicembre, per una stupida coppa, per mille malati, ad illuminare quell’angolino nascosto di cuore.
Ho preso il cellulare e ho scritto a chi dovevo: “Ci vediamo domenica, all’una. Solito posto”.
Ci saranno tutti, come sempre.
Può essere sia il solito esagerato.
Spero lo siate anche voi.
Ne vale la pena.

Gianluca Pirovano.