Dopo 41 anni il Vicenza torna a vincere la Coppa Italia di Serie C. Già nel 1982 infatti, la società berica si trovò davanti il Campobasso che forte della storica promozione in Serie B avvenuta appena una settimana prima, salì allo stadio Menti carico d’entusiasmo, ma dopo lo 0-0 dell’andata, la gara di ritorno si concluse per 3-1 dopo i tempi supplementari in favore dei padroni di casa. Al contrario dei molisani in ascesa, il Vicenza solamente tre anni prima era in Serie A e veniva da un trascorso di 40 anni alternati tra A e B, per cui anche in quel periodo il clima non era certo dei migliori. La tifoseria, delusa dallo stato delle cose, non era propriamente in vena di festeggiare la Coppa e non partecipò in massa a quella finale. Certo, alla fine ci fu il giro di campo, ci furono gli applausi, ma nulla più dopo quella combattuta finale. E come spesso capita, la storia si ripete ciclica con tutti i suoi corsi e ricorsi com’è successo anche questa volta contro la Juventus B.

Anche se la voglia di festeggiare non è tanta, il popolo biancorosso c’è. Vicenza risponde alla grande, con 10.000 spettatori che equivale alla totalità dei biglietti messi in vendita, altrimenti e plausibilmente sarebbero potuti accorrere molti più spettatori a questa gara.

L’attesa certo c’è. È una finale e vincere piace sempre a tutti, ci mancherebbe. Ma proporzionalmente ai vicentini interessa molto di più uscire dall’inferno della C, categoria stretta e vissuta male dalla piazza. Visto l’andamento della stagione soprattutto, molto deludente dal punto di vista dei risultati, ma ancor di più amareggiati per le prestazioni spesso senza mordente dei giocatori, i ragazzi della curva dopo averne discusso lungamente, sono giunti alla conclusione di restare fuori dai gradoni durante i primi 10 minuti della gara, con tanto di spicchio vuoto. Poi il tifo… per la città, per la curva. E così è stato. Un gran bel tifo in questa serata: assordante, coreografia iniziale d’impatto con molte bandiere biancorosse e fumogenata. Anche i cori sono stati continui fino al novantesimo a dimostrazione di quanto amore ci sia per questi colori.

Più o meno la stessa linea è quella per cui hanno deciso i Fedelissimi nei distinti, anche se con qualche differenza. Silenzio i primi 45 minuti, poi via con il tifo fino alla fine. Ad inizio gara espongono solo la pezza Fedelissimi coperta da uno striscione con su scritto “SOLO PER LA MAGLIA”. Nessun coro e nessuna bandiera. Anche da parte loro il segnale è chiaro. Poi ad inizio secondo tempo bella la coreografia a fasce biancorosse che copre tutto il settore. Settore oggi che torna a cantare come per la verità non si sentiva da parecchio tempo.

Tifosi juventini in curva nord, dove si sono intruffolati anche alcuni vicentini che sono riusciti ad acquistare in qualche modo il biglietto per quel settore. I bianconeri appendono bandiere nel loro settore ma non è presente nessun gruppo organizzato.

La partita, tra altri e bassi per entrambe le squadre, è comunque sempre viva e interessante e si conclude 3-2 per i biancorossi. La Coppa dunque è vicentina. I giocatori festeggiano, anche se in modo pacato. C’è la moderna coriandolata, palco e tanto di medaglie ad anticipare la consegna del trofeo. La festa per gli ultras non c’è, sono ancora troppe le ferite aperte. I Fedelissimi espongono lo striscione “SOLO PER LA MAGLIA” per tutta la durata della premiazione, mentre in Curva Sud si apre uno striscione alquanto perentorio (“NON C’È UN CAZZO DA FESTEGGIARE MA LA SERIE B DA CONQUISTARE. FUORI I COGLIONI”) che farà poi discutere parecchio, polarizzando e contrapponendo i vari partiti in contese sterili quando sarebbe senz’altro più utile porsi almeno lo straccio di un interrogativo di ciò che sta sotto a queste discrepanze.

In campionato la regular season è oramai alla fine, staremo poi a vedere cosa succederà ai play off di C e quali partite interessanti riserverà a livello di tifo, quello che è certo che Vicenza è fra quelle piazze che meriterebbero la cadetteria per tradizione e storia della squadra e della tifoseria, anche se purtroppo alla fine ne salirà solo una.

Marcello Casarotti