Una telefonata immaginaria, per raccontarsi la stessa partita da due differenti angolazioni. 

Simone: “Ciao amico, vorrei un tuo sunto poetico su questo viaggio a Vienna”.

Gianvittorio: “…l’aeroporto di Roma Fiumicino si mostra ai miei occhi in tutta la sua schizofrenica maestosità, mentre alle porte del Terminal 2 sprono i miei compagni di viaggio ad allungare la falcata a causa di quella istintiva innata classica paura di mancare l’appuntamento con l’ennesima partenza al seguito della compagine giallorossa.
Zaino in spalla e con passo svelto a mo’ del più temibile dei Mirmidoni, supero agevolmente i controlli, osservando ancora una volta quanto questi siano blandi rispetto a quelli a cui settimanalmente vengono sottoposti i tifosi delle due squadre capitoline per accedere allo Stadio Olimpico.
Non ci sono accendini né tantomeno bottiglie d’acqua o ombrelli sequestrati, ma sorrisi e cordialità tipiche di un modo di rapportarsi al cittadino/cliente che dovrebbe essere la norma. Anche se la normalità sembra esser sempre più qualcosa di eccezionale.
Rivestitomi dei miei averi, osservo con fare scrupoloso il monitor cercando quelle quattro lettere che hanno la forma di una bella donna: Wien. La piccola brigata si dirige così nei pressi del Gate C, non prima di una sosta forzata per brindar con luppolo a questa nuova avventura; non prima di aver incenerito l’ultima sigaretta a pochi istanti dalla chiusura dell’imbarco.

Il tempo esatto di una partita di pallone senza minuti di recupero mi separa da Vienna, novanta minuti passati ad osservare con occhio sognante quelle bianche nuvole che, per dirla alla maniera di Baudelaire, hanno le forme dei nostri desideri. Quelli di poter assistere ad un incontro di calcio senza dover esser trattati come olio di palma in una reclame d’oggigiorno.
L’Airbus tocca lievemente il suolo austriaco risvegliandomi da un principio di torpore dettato dalla sonnolenza.

Gianvittorio: “E tu? So che come sempre hai scelto la via più lunga per raggiungere l’Austria. Raccontamelo in prosa, ti prego”.

Simone: “Tarvisio Boscoverde. Ultimo lembo d’Italia prima dello sconfinamento. Tutto il treno dorme acquietato, dopo le prime ore di viaggio segnate dagli schiamazzi e da qualche acredine con i passeggeri saliti durante il tragitto, poco contenti di trovarsi nello stesso convoglio occupato in parte dai tifosi della Roma. A chiudere gli occhi si potrebbe fare un simpatico viaggio a ritroso, quando le strade ferrate accompagnavano le nottate di centinaia di ragazzi. Catapultati da nord a sud. Terroni, polentoni, romani, napoletani, milanesi, baresi, torinesi. Al seguito dei propri sogni e con la sciarpa ben stretta al collo, per evitare i miasmi dei fumogeni, pronti a tapparti la gola una volta sceso dal vagone.

Forse è pleonastico fare sempre dei balzi all’indietro, bisognerebbe attestarsi alla realtà dei fatti. Ricordarsi che per entrare in stazione, a Termini, c’è bisogno di superare le ennesime barriere di cui la nostra città si fa ormai sponsor. Ma sarebbe anche questa una futile opera di piagnisteo. Forse. La realtà che non ci piace magari non potremo cambiarla mai, ma quanto meno dobbiamo provarci, e non guardarla con pietose lacrime alla Pierrot.

Tarvisio Boscoverde è passata. Villach, la prima stazione dell’Austria. “Kapfenberg!”, esclamo ai  miei compagni di viaggio. Il dolce ricordo si estende ai ritiri della Roma negli anni ’90. E passa avanti, arrivando fino a Vienna. Per me è la quarta volta, tanto che non provo nemmeno quell’enfasi della novità. Il cielo plumbeo non nasconde il clima rigido. Partito da casa con venti gradi, mi ritrovo a fronteggiare una colonnina di mercurio scesa prepotentemente. È l’Europa League. Quella che in questa stagione ha spinto i supporter capitolini verso Est. C’è l’Austria Vienna, uno dei club storici del Paese. Die Veilchen (i violetti) sono, assieme al Rapid, la più alta rappresentanza calcistica cittadina. Sebbene la prima squadra, in ordine di fondazione, sia il First Vienna, oggi relegata in terza divisione. Una rivalità, quella con gli Hütteldorfer che si perde nella notte dei tempi e dà vita alla sfida più infuocata della nazione.

Il che rappresenta una delle principali fonti di curiosità. Anni fa ebbi infatti l’opportunità di assistere all’ultimo match del Rapid nel vecchio stadio Hanappi, che guarda caso venne giocato proprio contro la Roma. Ricordo davvero con piacere la prestazione degli ultras biancoverdi, impressione che venne confermata lo scorso anno in quel di Borisov, dove li vidi all’opera contro la Dinamo Minsk.  Oggi ho dunque l’opportunità di completare il confronto, dopo la gara di andata dove non sono rimasto particolarmente entusiasta dei viola. Unico neo è che il match sarà disputato nel monumentale stadio Prater, anziché al Franz Horr Stadion, vera casa dell’Austria. Ovviamente le motivazioni sono relative alla capienza limitata dello stesso (13.000 spettatori)  e alle manie di questo calcio che sempre più tende ad abbandonare i luoghi dove tradizionalmente vengono svolte le gare.

Simone: “Immagino che appena arrivati vi siate riversati in centro?”

Gianvittorio: “La mente è già proiettata ad escogitare il tragitto più veloce per consentire una breve sosta nell’hotel adiacente la Westbanhof, stazione ferroviaria inaugurata nella metà dell’Ottocento e luogo della scena finale del film “Before sunrise” diretto da Richard Linklater e interpretato da Ethan Hawke e Julie Delpy; per poi partir spediti alla volta della centralissima Stephanplatz usufruendo dell’efficiente servizio pubblico viennese – alla maniera del miglior “portoghese” nostrano.
Sovrastata dalla cattedrale di Santo Stefano, gioiello della architettura gotica capace di resistere nei secoli agli assalti di turchi, francesi, americani e russi, il cuore pulsante della capitale in sul calar del Sole è gremito di sostenitori giallorossi, con i quali decido di dirigermi verso lo Stadio Ernst Happel, storico impianto intitolato all’ex leggenda del Rapid Vienna.

Inaugurato nel 1931 per ospitare la seconda edizione delle Olimpiadi dei Lavoratori, fu pesantemente bombardato nel corso della Seconda Guerra Mondiale a causa della sua temporanea funzione di caserma della Wehrmacht e restaurato successivamente fino all’attuale struttura capace di ospitare poco più di 53mila spettatori. Il teatro delle epiche finali della grande Inter di Armando Picchi e Sandro Mazzola e del Milan sacchiano di inizi Anni ’90 è così pronto ad ospitare una serata dal blasone inferiore, almeno agli occhi di molti. Ma non di tutti. Non dei miei”.

Gianvittorio: “Ma tu, che hai vissuto tante partite all’Italia e all’estero, che impatto hai avuto con la città?”

Simone: “Già dalle prime ore del mattino le strade del centro sono prese d’assalto da tifosi giallorossi, accorsi in massa anche grazie alla poca distanza. Sono circa 2.000 i biglietti venduti e questo ha visibilmente messo in allerta le autorità locali, che presidiano ogni angolo delle vie centrali. Mentre con il passare del tempo i supporter si concentrano sempre più a Stephenplatz, vero e proprio cuore turistico di Vienna. Minuto dopo minuto la preoccupazione delle forze dell’ordine si fa sempre più frenetica. E a dirla tutta ciò è proprio una novità a queste latitudini. Essendo abituato a vedere agenti quasi sempre cordiali e coscienziosi, mi fa un certo effetto notare l’arrivo, a sirene spiegate, di almeno una decina di camionette, nonostante il clima sia complessivamente tranquillo.

Decido di avviarmi verso lo stadio quando manca un’oretta al fischio d’inizio. Per arrivare al Prater mi è sufficiente seguire le sciarpe viola, immergendomi nel classico clima rilassato da calcio nordico. Apro una piccola parentesi calcistica per sottolineare i legami esistenti tra l’Austria Vienna e l’Italia. In questi club, infatti, hanno militato due celebri calciatori come Herbert Prohaska e Walter Schachner, entrambi transitati in Italia con un discreto successo. Se il secondo ha costruito le sue fortune a Cesena, ispirando addirittura il nome in tedesco delle Weiss Schwarz Brigaden, storico gruppo guida della Mare, il primo è entrato di diritto nella storia della Roma, essendo una colonna della squadra che nel 1983 conquistò il secondo scudetto. Protagonisti anche della Nazionale, che in quegli anni riuscì a ritagliarsi uno spazio nell’Europa del pallone, cosa che difficilmente gli è riuscita nel recente passato.

Il fatto di vivere un campionato pressoché anestetizzato, come quello austriaco, non ha tuttavia intaccato l’ascesa del movimento ultras anche nella terra che fu di Francesco Giuseppe. Le due viennesi, i ragazzi di Graz, Innsbruck e Salisburgo sono realtà consolidate, che hanno ben assorbito il modello italiano ritagliandosi uno spazio importante nel mosaico del tifo. È ovvio che il confronto con le nostre tifoserie rappresenta un banco di prova a tutti gli effetti. Al di fuori delle Alpi siamo ancora visti come l’esempio da seguire, sebbene spesso delle curve italiane resti solo il mito e la nomea”.

Simone: “Cosa ne pensi di come sono stati gestiti i tifosi della Roma dalle autorità locali?”

Gianvittorio: “Il Prater Park si staglia davanti al mio sguardo in tutta la sua magnificenza, nonostante le tenebre siano già calate sul suo verde corpo e la nebbiolina rimbalzi tra le sue fronde e le rive del Danubio. Qualche timido accenno di cori e battimani allevia i dolori causati dal vento gelido, mentre alla testa del corteo sopraggiungono in massa le forze dell’ordine pronte a scortare la masnada di tifosi fino alle pendici del settore ospiti.

Nella mia precedente apparizione in terra asburgica ricordo di aver costatato un trattamento diametralmente diverso rispetto a quello a cui siamo abituati da questa parte delle Alpi.
Non ricordavo male e per questo mi ha stupito la durezza dei loro comportamenti e l’arroganza con cui, per percorrere poco meno di un chilometro a piedi, abbiano costretto il corteo ad un passo talmente lento da farmi balzare alla mente le processioni tipiche del paesino che, da qualche tempo a questa parte, caratterizza diversi fine settimana coccolato dalle bellezze della Tuscia.
Arrivato ai piedi dell’impianto ad una ventina di minuti dal fischio iniziale, noto con particolar fastidio quanto segue: i duemila tifosi ospiti sono infatti costretti all’accesso mediante due tornelli, nei quali ovviamente si può entrare uno ad uno. Tuttavia, non soddisfatte del loro operato, le forze dell’ordine e gli steward locali rallentano talmente tanto le operazioni da creare una fila mostruosa e un ammassamento di persone tale da comportare inevitabilmente un malcontento destinato a sfociare in una reazione. Lanciato il guanto di sfida e il tranello, molti cascano a piè pari, spingendo i dirimpettai al fine di rompere il cordone e garantirsi un ingresso entro il primo minuto di gioco (avendo pagato un biglietto, anche questa dovrebbe essere la normalità delle cose).

In barba ad ogni logica e metodologia di controllo di una folla, gli agenti agitano con fare ardito i manganelli, colpendo senza batter ciglia e soprattutto alla cieca, ristabilendo un ordine diverso e dannoso. Senza giri di parole: il video degli scontri tra una minoranza dei sostenitori giallorossi, viennesi e forze dell’ordine l’avranno visto in molti, e prima di me con buona probabilità, in quanto offerto al pubblico ludibrio senza un’adeguata visione a trecentosessanta gradi dell’evento e soprattutto una sua contestualizzazione. Non spetta a me far da avvocato del diavolo, né giustificare o demonizzare un modus operandi vecchio come è vecchio il giuoco del pallone. Il mio compito, semmai, è quello di dar voce anche ad altre voci, illuminare una zona d’ombra troppo spesso lasciata nell’oscurità della peggior menzogna.

In sintesi: tanto quanto sono stati fermati dei ragazzi, allora altrettanto meriterebbero gli agenti che hanno brandito le loro armi senza alcun motivo valido; se esiste un motivo valido che non sia la legittima difesa in casi veramente eccezionali. Oppure, al contrario, non deve esser punito nessuno.
La normalità dovrebbe imporre un equo trattamento di chiunque, a prescindere dall’indossare un capo della North Face o Aquascutum che sia o una bella divisa contornata da scudo, casco, manganello e pistola. Ma come già ripetuto a lungo la normalità è la più rara delle eccezionalità.

Gianvittorio: “Ora chiedo a te, che hai visto tutto ciò da un’altra angolazione, cosa ne pensi?”

Simone: “Inutile girarci attorno: vuoi per quella voglia di confronto di cui parlavo prima e vuoi per alcune amicizie di segno opposto, gli ultras dell’Austria Vienna non vedono di buon occhio i giallorossi. All’andata non hanno lesinato insulti e questo non è ovviamente passato inosservato. Voglio lanciare una piccola pietra nello stagno. Nessuno mette in dubbio il diritto all’informazione, ma il modo con cui essa viene fatta. La violenza non va giustificata, siamo d’accordo, ma qualcuno mi spiega qual è il senso di diffondere video dove si vedono chiaramente volti e fisionomie? Oltre ad essere deontologicamente scorretto, non se ne capisce l’utilità a fini giornalistici. La notizia è che ci sono stati disordini, non dovrebbe interessare se a farli sia stato Mario Rossi o Gianni Bianchi. Innanzitutto ad acclarare ciò ci sono degli organi preposti, secondo poi la diffusione di un video (che riporta quasi sempre gli eventi in maniera parziale) rischia di travisare il reale andamento dei fatti, facendo pendere la bilancia verso condanne e processi mediatici che spesso si sono rivelati del tutto immotivati e inesatti. Oppure interessa solo e soltanto ottenere qualche click in più, fregandosene se ciò avvenga sulla pelle degli altri? Qualcuno dovrebbe ricordarsi che tutti gli esseri umani, anche quelli che si macchiano dei più efferati delitti, hanno il diritto al rispetto della propria dignità. E ciò che avviene attorno o dentro agli stadi, non esula da ciò. Ma forse in una società che deve demonizzare il mondo del tifo e delle curve, rafforzando un determinato cliché senza mai approfondire con un’analisi, è molto più semplice così. La chiudo qui”.

Simone: “E dentro lo stadio com’era il clima? Io ho vissuto tutta la partita dalla lontana tribuna stampa”.

 

“Entrato allo stadio schivando un colpo a destra e uno a manca, mi accorgo di aver lasciato dietro di me un compagno di viaggio, fattore che mi costringe moralmente ad aspettarlo fin oltre la rete del vantaggio dei padroni di casa e l’immediato pareggio degli uomini di Spalletti.  Dopo esser riuscito ad accomodarmi sugli spalti con colpevole ritardo, quello di chi dovrebbe garantire il rispetto del tifoso/cliente, il mio umore però è ormai viziato dalle scene cui ho assistito, tanto da negarmi e negare a te la descrizione di una partita di Europa League e di un buon tifo del settore ospiti fino al minuto 70, attimo in cui cala il tardivo silenzio come forma di rispetto verso chi, pur essendo approdato sul medesimo suolo, non è presente. Da ragazzo, quando per le prime volte ho mosso piede nella mia curva, mi hanno insegnato a fare così. Ed è bene non dimenticarlo perché è anch’essa una forma di aggregazione che rende più umana una comunità di persone. Quindi alla descrizione delle gesta della tifoseria in trasferta e di quella di casa, notevolmente influenzata dalla eco della maniera italiana e autrice di uno striscione in favore di tutte le popolazioni del Centro Italia colpite dall’inarrestabile potenza di Madre Natura, ho preferito in questo caso il silenzio.
Perché in fondo questa “è una storia da dimenticare, è una storia da non raccontare; è una storia un po’ complicata, è una storia sbagliata”.

Gianvittorio: “E tu, da laggiù, cosa come l’hai vissuta?”

“Un po’ come te, avendo passato parte della mia gioventù in quel settore, ne ho compreso movenze e logiche. Ho compreso la cessazione di quel buon tifo, di cui parli, per cause di forza maggiore. Ho osservato questi ragazzi dell’Austria, senza rimanerne poi così impressionato. Nessuno me ne voglia, ma rispetto ai cugini sono ancora qualche gradino di sotto. Inoltre il Prater, con tutti quegli spazi vuoti, risulta assai freddo e distaccato. Di certo è stata una serata strana. Dove, peraltro, all’ingresso mi è stata anche sequestrata la fedele macchinetta fotografica, costringendomi a scattare con il cellulare. Ma evidentemente è stata una giornata in cui ci hanno ricordato come per taluni aspetti tutto il mondo sia Paese, e guai ad esaltare ciecamente ciò che ci circonda senza conoscerlo o vederlo con i nostri occhi. Sebbene, amico mio, la nostra situazione rimanga assurda e testimone di un’involuzione lapalissiana a livello sociale e gestionale. Ecco, mi auguro solo che i soliti sapientoni nostrani non utilizzino le distorte informazioni e i mal raccontati avvenimenti di questa serata, per calcare la mano e giustificare il proprio operato. Del resto tutto lo sappiamo: è da un anno e mezzo che non aspettano altro. Anche per questo sarebbe importante avere un stampa illuminata e lungimirante”.

Testo di Simone Meloni e Gianvittorio De Gennaro.
Foto di Simone Meloni.