I tifosi del Martina calcio negli ultimi vent’anni hanno vissuto continuamente sulle montagne russe. Scalate improvvise e altrettante rapide discese, la serie B toccata e assaporata e poi sfilata per fare spazio alla Fiorentina dei Delle Valle. I fallimenti del 2008 e del 2016 ma anche le rinascite, l’ultima quella della passata stagione che ha riportato la squadra della Valle d’Itria nel massimo campionato dilettantistico. Anni intensi di gioie e dolori che hanno però forgiato la piazza martinese, capace di ritagliarsi con abnegazione un proprio ruolo, sicuramente più credibile e stabile rispetto a quel passato un po’ più remoto in cui, a definirli e fomentarli, erano esclusivamente i facili entusiasmi. Aver saputo soffrire insomma, li ha senza dubbio aiutati a crescere.

Rispetto a quel passato è cambiata la geografia ultras, non più il binomio Gruppo Kompatto e Ultrà Martina, ma Estremo sostegno e soprattutto Curva Nord, quest’ultima sigla quella più importante. Negli anni a Martina, sul solco di quanto accaduto in altre curve, si è puntato ad unire le varie entità, scegliendo nomi semplici ma d’impatto e anziché l’originalità, si è puntato questa volta sull’identità comune e sul senso di appartenenza, Curva Nord a Martina insomma, così come a Terni per esempio si è scelto di identificarsi dietro pari sigla Curva Nord, il consolidato Curva Sud a Milano, ecc.: il movimento ultras si muove continuamente, non resta a fermo a guardare ma cerca sempre nuove forme per adeguarsi e restare vivo.

Anche ad Altamura negli anni, soprattutto nell’ultima decade, si è cercato sì di adeguarsi ai tempi, ma scegliendo una ricetta diversa: nomi originali con una spruzzatina di date rievocative per chi le ha scelte; il cerchio si chiude con gli Irriducibili, sigla che sul finire degli anni ’80 era il nuovo che avanzava ma che oggi rappresenta invece la storia che ritorna.

In questo quadro “mosso”, il confronto sugli spalti appare subito interessante: i murgiani vengono da un periodo nero e vogliono provare a giocarsi le ultime chance promozione, il Martina invece cerca i tre punti per raggiungere quanto prima la salvezza diretta. Sugli spalti sono presenti circa 900 spettatori, con buona rappresentanza martinese, quantificabile in ottanta, novanta unità.

Appena le squadre entrano in campo, i padroni di casa si esibiscono in una riuscitissima sciarpata, nel mentre i soliti ritardatari arrivano alla spicciolata riempendo parte del settore dedicato al tifo organizzato. In merito a quest’ultimo aspetto apro una parantesi, ammetto dal sapore polemico: la cultura sportiva non è un’ideologia vuota ma è densa di contenuti che si traducono in azioni, quali per esempio arrivare allo stadio con largo anticipo per vivere l’evento sportivo che inizia ben prima del fischio d’inizio e va oltre il triplice fischio finale; mi chiedo quindi perché pagare un biglietto per vivere solo una parte dello spettacolo. La risposta? Scarsa cultura sportiva, nel caso di specie calcistica, che porta alcuni (ma non tutti, sia ben chiaro!) a vivere il calcio come un semplice evento sportivo dove 22 persone rincorrono una palla, ignorando tutta la poesia che c’è prima e dopo quei 90 minuti.

Il Martina si impone sin da subito e quando su rigore segna il raddoppio, dagli spalti Altamurani si sentono i primi fischi di disapprovazione che però servono a smuovere le acque, i biancorossi non a caso iniziano a giocare e sfiorano il pareggio che però non arriva. Al termine dei 90 minuti la squadra esce tra i mugugni del pubblico di casa apparendo ai più, dopo la ripresa del campionato a seguito della sosta natalizia, stanca e demotivata, incapace di esprimere il gioco spumeggiante del girone di andata. Gli ospiti invece raccolgono i meritati applausi dei propri sostenitori: i martinesi, al netto delle difficoltà di chi decide seguire una piccola realtà di provincia, hanno offerto un’ottima prestazione, fatta di cori e colore, tifando gli undici in campo per tutti i 90 minuti.

Sul fronte dell’ordine non si registrano episodi di cronaca, tra le due realtà c’è stata reciproca indifferenza.

Michele D’Urso