Dici partite di coppa e si risvegliano ricordi, più lontani di quanto vorresti, di un calcio trasmesso su un piccolo televisore in bianconero: la notturne della Roma di Falcao e Di Bartolomei, l’urlo di San Siro negli anni in cui a Milano l’Europa era solo neroazzurra, le sfide tra la Vecchia Signora e mitiche formazioni d’Oltremanica del calibro di Aston Villa, Man Utd e Liverpool. Quasi tutte partite che, quando andava bene, vedevo a metà perché per me il triplice fischio erano poche semplici parole del babbo: “Adesso a dormire, domani c’è scuola”. Non era nemmeno immaginabile fare melina, si andava dritti in cameretta e, al più, dal letto si tendeva l’orecchio per capire come andava a finire… anche per esser pronti, magari, a sfottere qualche compagno di banco il giorno a venire…

Nostalgie di un calcio che fu e che fai fatica a riconoscere oggi, cambiato tanto quanto è cambiato il mondo in questi quasi quarant’anni di tempo. Poche, pochissime cose sono rimaste uguali e tra queste c’è la passione del popolo del pallone che, in alcune piazze più di altre, tiene alti i colori e le tradizioni e ti regala l’illusione di essere un eterno Peter Pan del football. È una malattia che non va più via e che prevede come cura una mezza giornata di ferie nel bel mezzo della settimana lavorativa per andare a vedere Atalanta-Apollon; e nemmeno a Bergamo ma a Reggio Emilia, roba che se te lo chiedesse la moglie o la fidanzata per sbrigare qualche incombenza di famiglia la fulmineresti con lo sguardo.

Partenza di buon’ora, quindi, soprattutto per non mancare a quello “spettacolo nello spettacolo” che continua a piacerci tanto. Da casa raggiungo la provincia bergamasca e da qui dritti verso la Città del Tricolore, aggregandomi a nuovi compagni di viaggio conosciuti “sui social” e che, come e più di me, non vogliono perdersi la seconda partita in casa di Europa League, loro che la Dea l’hanno seguita in A, in B, in C ed anche in Europa tre decenni or sono. Il piede deciso di Carlo frusta a dovere l’auto del fratello (in arte “nonno Lino”) e così raggiungiamo lo stadio prima dell’imbrunire, trovando peraltro già parecchi tifosi nei pressi dei tanti baracchini che lo circondano: si mangia, si beve e si sceglie un souvenir a ricordo della serata. Un po’ sorpreso noto che le sciarpe in lana jacquard spopolano come nei tardi anni Ottanta e sono in tanti che per un deca se la mettono al collo.

Entro con ampio anticipo, l’impianto emiliano è stato ammodernato di recente e si vede, ma continua a sembrarmi uno stadio freddo e con un appeal molto relativo. De gustibus… naturalmente. L’Atalanta si conferma società ben organizzata ed i quattro piani su cui si divide la tribuna centrale sono tirati a lucido, con notevole spiegamento di forze dedicate all’accoglienza e gran cura perfino nei dettagli dell’abbigliamento di hostess e steward.

Breve sosta in sala stampa e poi veloce a prendere posto in tribuna, con una buona ora di anticipo rispetto al fischio iniziale. La curva riservata ai sostenitori bergamaschi è quella normalmente occupata dagli ultras della Regia e si riempie alla spicciolata: nella parte bassa è stato tirato un cavo utile ad appendere, senza che vengano nascosti dal fossato, alcuni dei principali striscioni. Da sinistra verso destra, dunque, fanno bella mostra “A guardia di una fede”, “Bergamo” e “Mai sola”; a metà gradinata, sul balconcino di sinistra “Insieme da sempre, insieme per sempre” e su quello di destra il vessillo dei Forever . Non passa inosservato, infine, “Orda balorda” posizionato in Tribuna, striscione cult degli anni novanta.

Gli ospiti cominciano presto a farsi vedere e sentire, compattandosi al centro della curva opposta e facendo abbondante uso di mani e sciarpe, oltre che di voce. “Ciprioti, chi sono costoro?!” devono essersi forse chiesti, un po’ alla don Abbondio di manzoniana memoria, gli ultras orobici nel vederli così attivi ed agitati, ed io con loro. Finanche troppo attivi ed agitati per non essere bersaglio del primo coro degno di questo nome che si alza dai Berghem, quel “Vaffanculo Apollon”, intonato sulla melodia di “Atalanta olè, impazzisco per te”, sembra un po’ un insulto obbligato ma bonario, quasi un dovere previsto dal decalogo (quale?!) del perfetto ultras. Ma gli ospiti se la legano al dito e da quel momento in poi dedicano un buon 30% dei loro cori per ricambiare le cortesie.

L’ingresso delle squadre è salutato da una bella torciata dei ciprioti e dalla coreografia dei bergamaschi, che prima alzano fogli di carta argentata riflettente e poi fanno salire un bandierone con il profilo di Città Alta; a sovrastare il tutto la scritta “DA 110 ANNI UNA FANTASTICA STORIA… ATALANTA REGALACI QUESTA VITTORIA” che ricorda l’anniversario della fondazione della Società, caduto pochi giorni prima.

La squadra di Gasperini parte a testa bassa e sin dai primi minuti si porta nell’area avversaria, lasciando presagire una certa facilità a bucare la retroguardia cipriota. “Adelante, Papu, con judicio” è senza dubbio il pensiero che passa per la testa di quei ragazzi della curva che stanno riavvolgendo il bandierone per poi portarlo sottocoperta e che, se il goal arrivasse subito, non potrebbero gustarselo. La marcatura giunge quindi solo al 12° minuto, quando tutti nel frattempo hanno potuto raggiungere il proprio gradino: bella azione in profondità di Spinazzola che serve ad Ilicic, liberissimo nell’area piccola, una palla che deve semplicemente essere accarezzata in rete. Passano tre minuti ed il copione si ripete pressoché identico ma il portiere ci mette una pezza.

Cresce verticalmente il grido della Nord e lo stadio emiliano non è più né il Giglio né il Mapei: è una spettacolare bombonera che dal primo all’ultimo gradino salta come un sol’uomo.

L’Atalanta offre scampoli di un gioco davvero spettacolare che, anche per la capacità di verticalizzare la manovra, a tratti assomiglia al miglior Napoli visto la sera precedente in Champions League. Unica pecca, casomai, l’incapacità di dare la zampata decisiva in altre tre/quattro nitide occasioni da goal e mettere così in sicurezza il risultato: anche perché l’accademia va bene ma il due-a-zero va meglio.

Sull’altro fronte i tifosi ospiti non si fanno condizionare dall’andamento del match e proseguono per la loro strada, in un misto di stile greco e stile balcanico che non passa inosservato ma che alla lunga, forse, risulta anche un po’ uguale a se stesso ed alla fine noioso.

Dopo un Despacito durato dieci minuti d’orologio, il “Noi cantiamo tutti insieme Bergamo” chiama a raccolta tutta la curva e trascina la tribuna per l’ultimo assalto prima dell’intervallo, ma il risultato resta inchiodato sull’1 a 0.

L’inizio di ripresa dei neroazzurri è a razzo e dopo nemmeno un minuto Gomez ha un’altra buona occasione, ma il tiro finisce sul portiere avversario. La curva tiene il piede sull’acceleratore e propone di seguito un “Forza Atalanta vinci per noi” a ripetere ed un bel treno di mani, stroncato però al secondo giro dal pareggio colto dagli ospiti al primo serio tentativo di impensierire Berisha. Esplodono i tifosi ciprioti, che in un amen intonano l’ennesimo “Atalanta vaffanculo” della serata. La Nord non arretra di un decibel ed anzi apre il gas e sprona i propri beniamini a giocare l’ultima mezz’ora con il coltello tra i denti.

Detto e fatto: nel giro di due minuti, dal 19° al 20°, l’Atalanta si riporta avanti grazie alle marcature di Petagna e Freuler. Più che la gioia del pubblico orobico, fattasi quasi rabbia per lo scampato pericolo, non si può fare a meno di notare con quale energia si risponde agli sfottò degli avversari; la cosa mi fa pensare che la partita di ritorno potrebbe anche essere meno tranquilla del previsto. Del resto gli stessi ciprioti, con il risultato del campo ormai compromesso, concentrano i loro sforzi vocali quasi unicamente per punzecchiare i dirimpettai.

“Diffidati sempre presenti” e “Claudio libero” sono i cori che precedono gli ultimi minuti di passerella finale, tra gli “olè” da corrida ed il giusto tributo a Mister Gasperini. Il quadro si completa con il muro di sciarpe che si alza mentre l’intero stato intona “Atalanta mia”. Dopo il triplice fischio la squadra saluta la curva, poi la tribuna che la chiama a gran voce, ed infine ancora la curva che chiede un (meritatissimo) bis.

Serata da incorniciare, “pel de poia” insomma…

Lele Viganò.