L’Atalanta ospita in notturna il Crotone a meno di una settimana dall’exploit europeo contro l’Everton sul campo (teoricamente) amico di Reggio Emilia. Per motivi non dipendenti dalla mia volontà non ho potuto assistere dal vivo a quella partita ed il rammarico non è poco: seguito il match in streaming con tanto di commento inglese, la sensazione avuta è quella della vera e propria “partita perfetta”, tanto in campo, grazie al gioco spumeggiante della banda Gasperini, quanto sugli spalti, con oltre 16.000 pendolari atalantini protagonisti di un tifo incessante e a tratti commovente. Nei cori, nei treni e nelle sciarpate bergamasche c’era l’orgoglio di chi era presente alle ultime, lontane, esperienze europee, l’entusiasmo di chi ne ha raccolto il testimone, la rabbia di chi negli ultimi dieci anni ha dovuto difendere con le unghie e coi denti il proprio ostinato essere ultras, resistendo a divieti, diffide, processi giudiziari e mediatici.

Superfluo forse aggiungere che l’adrenalina di quella notte magica sia ancora in circolo ed infatti sotto i riflettori del Brumana giocatori e tifosi si rendono protagonisti di un’ottima prestazione benché l’avversario di turno non evochi, sotto il profilo della rivalità ultras, particolari rimandi storici. Stupisce a suo modo anche la presenza ospite: il fatto stesso di notare nel parcheggio dell’antistadio, oltre a varie auto, un pullman (mi pare a doppio piano ma non ci giurerei) è indizio di una presenza organizzata. I sostenitori rossoblù fanno quadrato sin dal pre partita e si distinguono per il frequente sventolare di bandiere.

Le ostilità vocali si aprono con un inatteso “Odio Bergamo” da parte Crotonese che trova la pronta risposta della Curva Nord, all’insegna di un classico “vaffa” e di un non meno collaudato “Terroni Terroni ci state sui c******i” che a queste latitudini è in voga almeno dalla metà degli anni ottanta.

L’ingresso dei ventidue in campo è salutato da una sciarpata atalantina che pare essere l’ideale prosecuzione di quella che accompagnò la fine del match al Mapei Stadium, sulla melodia di “Atalanta mia”.

Dopo le iniziali fasi di rodaggio, i padroni di casa al primo affondo sbloccano il risultato: Ilicic uccella in velocità un difensore avversario, si invola sulla destra e mette al centro, dove Petagna si fa trovare pronto alla deviazione. Esultanza con tanto di fumogeni in Nord, alla quale fa seguito un sostegno vocale che attinge ai più classici cori del repertorio orobico (nonne e minestrine comprese) e che a tratti trova il seguito nel pubblico degli altri settori.

Il Crotone, colpito a freddo, cerca per quanto può di restare in piedi, come quel pugile in difficoltà che cerca nelle corde del ring una sponda utile. Chi invece non pare accusare il colpo è il manipolo ospite, il cui tifo resta costante e si caratterizza soprattutto per la presenza di un tamburo. Ora, premesso che l’abilità di chi ha armeggiato sul rullante merita tanto di cappello e premesso inoltre che il solo rivedere sugli spalti questi strumenti regala, a chi scrive, autentico godimento dopo troppi anni di messa al bando, con altrettanta onestà va detto che per lunghi tratti ha prevalso un “effetto bonghi”: più che accompagnare e scandire i cori, infatti, le percussioni finiscono inevitabilmente per coprirli, rendendo quindi in parte vano lo sgolarsi dei sostenitori calabresi che osservo dalla mia inedita postazione a ridosso della sud.

Peccato, perché il confronto con gli avversari di casa, già impari per ovvie ragioni numeriche, diventa sempre più complicato perché nel frattempo l’Atalanta aumenta le distanze. Siamo al 24° quando, sugli sviluppi di un corner dalla destra, si replica uno dei meccanismi più rodati degli orobici: incursione sul secondo palo di un difensore (spesso Masiello, oggi Caldara) ed il raddoppio è servito. Tempo di un “Cro-to-ne” ben scandito mentre il tamburo tace, che parte il lungo “Despacito” della Nord: è da poco superata la mezzora e proseguirà quasi fino al duplice fischio arbitrale, appena interrotto dalla rete del 3-0 e per nulla turbato dall’offensiva ospite di fine tempo con la quale gli uomini di Nicola tentano di trovare quella marcatura che, almeno psicologicamente, darebbe un minimo di senso alla seconda frazione di gioco.

Con lo scoppio fragoroso di una bomba carta la Nord avverte i più distratti della ripresa delle ostilità: pronti, via e Gomez cala il poker. I padroni di casa viaggiano sull’onda dell’entusiasmo e dopo un quarto d’ora arriva la quinta marcatura: ormai la serata serve “solo per far confusione” come cantano gli ultras bergamaschi. Non si può certo dire che gli ospiti si siano arresi del tutto: se in campo trovano modo di segnare il goal della bandiera, sugli spalti continuano a sventolare ed abbozzano una sciarpata. Forse anche più belli che nel primo tempo, forse anche più attivi dei tifosi dell’Everton che la settimana precedente non sembrano avere scritto pagine memorabili di tifo.

Prima del novantesimo l’Atalanta arrotonda il risultato con un rigore trasformato da Gomez e l’impressione è di una squadra che sta crescendo a vista d’occhio, pronta a battagliare alla pari con tutti, sia sui campi del Belpaese che su quelli d’Oltralpe.

Lele Viganò.