Una domenica di metà maggio, a Vienna. Piove a dirotto. È il giorno del trecentoquarantesimo derby tra i viola dell’Austria e i biancoverdi del Rapid. Qui infatti i derby li contano, uno alla volta, come fanno a Belgrado. E per restare in termini di paragone sovranazionali, in tutta Europa solo nell’Old Firm di Glasgow si sono giocate più stracittadine.

È la quartultima giornata della fase finale del campionato austriaco, al quale Rapid ed Austria hanno sempre partecipato. Il Rapid occupa la quarta posizione in classifica, con due punti di vantaggio sull’Austria, che è al quinto posto (ultimo piazzamento valido per le coppe) con un margine di vantaggio di un solo punto sulla sesta: le due squadre della capitale vengono entrambe da un periodo negativo, nel quale hanno collezionato sconfitte brucianti e pareggi beffardi. Il RedBull Salzburg – potere dei soldi – fa un campionato a sé, ed i primi tre posti – quelli dell’Europa “che conta” (Lady Cerci dixit: i tifosi del Toro ricorderanno) – sono lontani anni luce: in palio restano la supremazia cittadina e la qualificazione ai preliminari della Conference League, che fra le altre cose deve passare attraverso un perverso playoff finale, introdotto da un paio di anni, fra quarta, quinta e sesta in classifica a margine di un’altrettanto contorta Poule che assegna scudetto e qualificazioni europee.

In realtà c’è dell’altro. È il primo derby che si disputa nello stadio dell’Austria Vienna dopo lo scioglimento dei Viola Fanatics, l’ex gruppo principale – quantomeno per il suo posizionamento centrale nel settore più caldo (la Ost-Tribüne, e cioè la tribuna est) – della tifoseria dell’Austria.

Lo scioglimento dei Fanatics, nati nel 2001, risale infatti ai primi di aprile: la causa scatenante – o forse solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso degli equilibri interni di una tifoseria già in fermento? – è stato il furto, da parte dei rivali del Rapid (precisamente, da parte di membri dei gruppi dei Lords e dei Lions), del telone facente parte di una coreografia realizzata dalla sezione giovanile dei Fanatics. Telone poi esposto dai biancoverdi, insieme all’irridente striscione “can’t stop Fanatics?” (per “fare il verso” a una recente coreografia dei rivali), durante il derby giocato a metà aprile nello stadio del Rapid e terminato 3 a 3.

Diversamente da quanto avvenuto in molti altri derby di Vienna, questa volta gli ospiti non raggiungono lo stadio in corteo. Forse a causa della pioggia battente, forse per altre ragioni. Si gioca al Franz Horr Stadion, un impianto di appena 17 mila posti che è stato ristrutturato da pochi anni. Siamo nella zona sud-est di Vienna, nei pressi della stazione della metropolitana Altes Landgut e a pochi chilometri dal Belvedere, la residenza barocca del principe Eugenio di Savoia che venne completata proprio trecento anni fa, nel 1723.

Il biglietto per la partita non è nominale; la polizia è presente in forze e con numerose camionette, ma, nonostante la prossimità tra l’area ospiti e i settori di casa, non si avverte tensione.

I tifosi del Rapid occupano lo spicchio nord-ovest dell’impianto. Sono circa 1.600, assiepati al secondo anello, dove campeggiano gli striscioni dei gruppi principali. In posizione centrale, gli Ultras Rapid: età media relativamente alta e impronta vagamente italiana. Da lì partono i cori, accompagnati da alcuni tamburi. Sopra il loro striscione sono esposte le pezze dei gemellati di Venezia (con lo stendardo Ventisei giugno 1987) e Norimberga. A lato degli Ultras Rapid, da una parte stanno i Tornados e dall’altra i Lords e i Lions. Qui l’età si abbassa, l’abbigliamento è prevalentemente nero e, striscioni a parte, lo stile sembra tendere a quello hooligan.

La coreografia iniziale dei tifosi del Rapid è semplice ma originale: le centinaia di magliette biancoverdi tenute in mano dai sostenitori ospiti creano un colpo d’occhio colorato e d’impatto. Ecco spiegato il comunicato che era comparso sul sito degli Ultras Rapid, nel quale s’invitava, a prescindere dalle condizioni meteo, a portare con sé qualcosa di biancoverde.

Dall’altra parte, nella Ost-Tribüne, la coreografia è costituita dalla grande scritta “FK Austria Wien” accompagnata da strisce verticali e palloncini viola, bianchi e rossi, con una spruzzata di coriandoli. Non certo stupefacente, ma “pulita” e ben riuscita.

Il tifo parte forte su entrambi i fronti – d’altronde è un derby –, ma ciò che stupisce è la sua costanza: in particolare, i sostenitori del Rapid mantengono una continuità vocale apprezzabile al cospetto della pochezza calcistica palesata dalla squadra biancoverde, presto in doppio svantaggio e capace soltanto di accorciare le distanze verso la fine del primo tempo, che si conclude con l’Austria in vantaggio per 2 a 1.

Nella Ost-Tribüne dell’Austria Vienna, dopo un breve periodo di vacatio successivo allo scioglimento dei Fanatics, la posizione al centro del primo anello è ora presa dal KAI 2000: gruppo che vanta un’amicizia coi triestini, di cui però in quest’occasione non compare lo stendardo. Ai lati del KAI 2000 sono posizionati gli altri gruppi: Alcatraz, Gladiators, Alte Schule (“Vecchia scuola”). Più laterale, il gruppettino dei Boys, composto da una dozzina di ragazzini. Il secondo anello, sulla cui balconata è esposto – tra gli altri – lo striscione Bulldogs, è meno partecipe al tifo, ma, anche grazie al repentino vantaggio dell’Austria, il sostegno dei viola non sembra risentire dell’assenza dei Fanatics. Anzi.

Lo dimostra anche la coreografia di inizio secondo tempo. Viene dapprima srotolato lo striscione “Wien ist violett!” e poi arriva, finalmente, ciò che in un derby non dovrebbe mai mancare: un’imponente fumogenata, ovviamente viola, che nasconde la tribuna est ed invade il campo di gioco ritardando l’inizio della ripresa. Un vero piacere per gli occhi di chi si è ormai disabituato a queste possenti nuvole di colore.

È fin quasi superfluo rimarcare l’elevatissimo numero di torce accese durante la partita: l’accompagnamento pirotecnico, anche se un po’ disordinato, è incessante, soprattutto nel settore di casa. Ed amareggia pensare che in certi stadi d’Italia il medesimo spettacolo avrebbe comportato la sottoposizione a DASPO e la denuncia (potenzialmente addirittura l’arresto) di centinaia di spettatori.

A proposito di torce, il bello deve ancora venire: a venti minuti dalla fine ci si accorge che qualcosa bolle in pentola. Un consistente numero – almeno qualche decina – di tifosi del Rapid indossa un passamontagna giallo. Ciascuno di loro tiene in mano una torcia. Lo schiocco dell’accensione del primo artifizio – ci sia perdonato il lessico da legulei – è il segnale d’avvio dello show pirotecnico. Innumerevoli torce vengono accese ed il settore ospiti s’incendia – metaforicamente ma nemmeno troppo – per alcuni minuti. Gli steward non si scompongono, né si scorgono funzionari di polizia intenti a filmare la torciata, che fa parte, a pieno e legittimo titolo, dello spettacolo del derby, di cui gli astanti beneficiano con visibile compiacimento.

A pochi minuti dalla fine della partita, il numero 9 del Rapid fallisce clamorosamente l’occasione del pareggio e nel recupero – gol sbagliato, gol subito, ça va sans dire – l’Austria Vienna mette a segno la rete del 3 a 1. Inizia così la festa dei tifosi viola, che andrà avanti ancora per una ventina di minuti dopo il fischio finale: un giocatore sale sulla postazione del lanciacori e da lì dirige i canti di scherno ai rivali. Giocatori e tifosi paiono, adesso, un tutt’uno. Alcuni ultras dell’Austria, scesi dal settore, restano appollaiati – molti di loro a volto coperto – sui cartelloni pubblicitari dietro la porta. Anche questo fa, a suo modo, coreografia.

Dall’altra parte, gli ultras del Rapid dapprima allontanano con gesti inequivocabili i giocatori, che si erano avvicinati al settore ospiti per salutarli, e poi lasciano velocemente lo stadio: per loro è un derby da dimenticare, anche se, avendo tifato con encomiabile continuità, sanno di avere fatto la loro parte.

Circa mezz’ora dopo la fine della partita si nota un gruppetto di una trentina di ultras dell’Austria in formazione compatta nei pressi dell’ampio snodo stradale prossimo alla fermata della metropolitana di Altes Landgut, che al suo interno è ampiamente presidiata dalla polizia: le intenzioni appaiono potenzialmente bellicose ma non è dato sapere se si sia trattato di un semplice appostamento o di qualcosa di più.

La pioggia battente – che comunque non sembra infastidire granché i viennesi – non dà tregua e sospinge lo spettatore neutrale verso i sotterranei della metropolitana. Rimane la sensazione di appagamento per un derby che sugli spalti non ha tradito le attese e che ha confermato che la capitale d’Austria merita di essere raggiunta, oltre che per godere delle sue bellezze culturali, anche per respirare l’atmosfera che le due tifoserie cittadine sono capaci di generare. Lunga vita, allora, al derby di Vienna!

Testo di Paolo Alberto Reineri
Foto di Jürgen De Meester