Un po’ tutti i calciofili avranno letto dell’aggressione subita dal presidente del Verona Setti e dal d.s. degli scaligeri Toni sabato scorso ad Avellino. Un gesto sicuramente sconsiderato e deprecabile, che va condannato senza giri di parole (come fatto peraltro anche dalla tifoseria organizzata dell’Avellino per bocca di un suo portavoce) ma attorno al quale si rischia di montare un caso troppo grande rispetto all’accaduto. Prestando il fianco a pericolose e sommarie interpretazioni della parola “giustizia”. Con le solite conseguenze a cui ormai siamo abituati ad assistere quando determinati avvenimenti si contestualizzano attorno a delle manifestazioni sportive. La prima reazione della Questura del capoluogo irpino, manifestatasi proprio poco dopo l’episodio, è sintomatica per tutto quello che verrà dopo: alla tifoseria organizzata biancoverde viene vietato l’accesso dei megafoni, del tamburo e degli striscioni. Una vera e propria “ripicca” che ovviamente non ha alcuno scopo realmente utile nell’individuazione dei colpevoli e soprattutto (come da italico costume) va a colpire la parte popolare e passionale del tifo per delle tensioni registratesi a diverse centinaia di metri dal rettangolo di gioco.
Nella giornata di ieri, invece, sono filtrate notizie più specifiche su quelli che saranno i provvedimenti adottati nei confronti dei presunti responsabili: otto Daspo dai tre agli otto anni di durata, denunce e una licenza revocata per sette giorni a un panificio reo di aver venduto bevande alcoliche in vetro nonostante il divieto in essere. “La ricostruzione dei fatti – si legge su una nota della Questura – ha permesso di ipotizzare carattere preordinato dell’assembramento del gruppo di ultras alla rotonda di via de Gasperi, con il chiaro fine di intercettare e porre in essere atti di violenza verso autovetture dei tifosi del Verona e – nel contempo – assicurare “copertura” e impunità agli autori materiali del gesto violento, rendendo complicata l’individuazione di singole responsabilità in una massa di persone”.
Si potrebbe subito constatare come l’espressione “ha permesso di ipotizzare” sia assolutamente vaga rispetto alle sanzioni previste. Inoltre va ricordato come i tifosi del Verona siano stati regolarmente scortati, senza problemi, fin dentro il loro settore, mentre la macchina con a bordo i dirigenti sia evidentemente “sfuggita” al servizio d’ordine finendo per transitare in una zona generalmente frequentata da tifosi avellinesi. E infine appare chiaro come la bottiglia incriminata sia partita da una mano sola, pertanto non si capisce perché a pagare debbano essere ben otto persone.
Nel comunicato si parla di gente impegnata ad “assicurare copertura”, ma come si può dire con certezza tutto ciò? Si hanno registrazioni video? Quella macchina non sarebbe proprio dovuta passare di là, quindi come si può parlare di “premeditazione”? A maggior ragione se si considera che poco prima di lì erano transitati anche il pullman del club veneto e la terna arbitrale, senza riscontrare alcun problema. Inoltre si sapeva che i tifosi del Verona sarebbero transitati per l’autostrada uscendo ad “Avellino Est”, quindi appare molto strano che l’obiettivo di un eventuale attacco premeditato fosse una macchina, di cui fino a cinque minuti prima neanche si sapeva l’esistenza, piuttosto che i mezzi con a bordo i “veri e propri avversari”. E comunque la responsabilità è un qualcosa di individuale. Ciò vuol dire che in qualsiasi Stato di diritto non è possibile appioppare simili procedimenti a caso, pur di dar in pasto all’opinione pubblica il colpevole e indebolire un movimento di aggregazione molto sentito in città, come quello costruito dalla Curva Sud negli ultimi anni.
Ovvio che l’autore del gesto vada punito, ma altrettanto ovvio che questo non deve diventare il giustificativo per colpire nel mucchio e cercare a tutti i costi il capro espiatorio. Al momento si stanno comminando delle denunce e delle diffide in base al concetto di “omertà”. E se è vero che questo strumento è ormai sbarcato anche nella società di tutti i giorni (basti pensare alla recente attuazione del “Daspo urbano”) occorrerà pur ragionare, dopo oltre vent’anni di decreti di urgenza e inasprimenti smentiti diverse volte persino da sentenze della Cassazione, sulla sua incostituzionalità e sull’utilità della sua applicazione selvaggia. Va ricordato infatti che – proprio al contrario di quanto avviene in quel Regno Unito spesso dipinto come feroce repressore del tifo – il Daspo in Italia viene comminato arbitrariamente dalla polizia (la stessa che generalmente effettua gli arresti o contesta il reato) senza che un giudice possa preventivamente stabilire se ci siano o meno le basi per la sua messa in atto (è vero che esiste la convalida del Gip, ma equivale soltanto a un mero pro forma). Così intanto suddetta sanzione amministrativa viene scontata a priori e spesso il lento processo che ne segue finisce per scagionare l’incriminato.
“Inoltre, è stato dato inizio al procedimento amministrativo – continua la nota – finalizzato alla sospensione della licenza di pubblico esercizio ai sensi dell’art.100 T.u.l.p.s., dell’esercizio commerciale “xxx” in quanto responsabile di aver somministrato bevande alcoliche ai tifosi ultras, contribuendo, quindi, all’allentamento dei freni inibitori e favorendo la commissione di condotte violente. Al titolare dell’esercizio su nominato è stata, inoltre, comminata una sanzione amministrativa per non aver ottemperato al divieto di vendita di bevande in bottiglie di vetro, così come disposto dall’ordinanza del Sindaco di Avellino nr.242 R.O. del 22.08.2016”. Questo forse il passaggio più intricato della nota. Rimane alquanto oscuro, infatti, come si faccia a stabilire che la bottiglia lanciata all’indirizzo della macchina fosse stata venduta proprio in quell’esercizio (anche perché il vetro è stato infranto da una bottiglietta di plastica piena d’acqua). Posto che se lo stesso ha contravvenuto alla prescrizione valida durante gli incontri di calcio al Partenio (cioè di non somministrare bevande in contenitori di vetro) la sanzione pecuniaria resta incontestabile, appare almeno “bizzarra” la sospensione della licenza per una settimana per aver “somministrato bevande alcoliche ai tifosi ultras, contribuendo, quindi, all’allentamento dei freni inibitori e favorendo la commissione di condotte violente”.
Se la vendita degli alcolici è comunque consentita (seppur non in vetro) come si fa ad addossare al commerciate una colpa così grande costringendolo addirittura a chiudere il proprio esercizio per sette giorni? Un’imposizione che s’incastonerebbe bene nell’era del Proibizionismo americano, a cavallo tra il 1919 e il 1933, se non fosse però un qualcosa di realmente sinistro. Nel 2013 il Comune di Avellino emise un’ordinanza con la quale, ottemperando a disposizioni provenienti dal Ministero dell’Interno, si vietava in determinate zone della città la vendita di alcolici superiori ai 5 gradi in occasione di manifestazioni sportive. Ma questo può voler dire tutto e niente. L’assunzione di alcolici è un qualcosa che produce effetti diversi di soggetto in soggetto e paradossalmente anche con qualche birra da 5 gradi si potrebbero allentare i propri freni inibitori. Inoltre: come si fa a esser certi che i presenti fossero davvero ubriachi? Ci sono dei test o delle analisi che lo provano?
Nel frattempo sono in arrivo forti restrizioni per la tifoseria irpina, con la prossima trasferta di Cittadella interdetta ai supporter residenti in Campania e la Curva Sud probabilmente chiusa per la sfida con il Vicenza (con tanto di possibile – quanto inconcepibile – divieto di trasferta per la tifoseria berica): l’ennesimo proiettile sparato in mezzo alla folla. Senza un colpevole ben individuato inoltre si chiude “a intuito” il settore al quale quest’ultimo dovrebbe appartenere. Ma siccome “il peccato originale” proviene sempre dalla curva, facendo così non si sbaglia mai. Così come negando una trasferta in base ai concetti di provenienza geografica e “punizione di massa”. Ci sarà sicuramente da seguire lo sviluppo delle vicende ma non ci sarebbe da sorprendersi se tra qualche tempo venissimo a sapere che le persone chiamate in causa sono estranee ai fatti e nei loro confronti si è commessa una grave ingiustizia. Nel frattempo ci saranno spese legali da pagare, libertà a cui rinunciare e l’onta del fango gettato su loro e sulle loro famiglie dagli ineffabili moralisti del ventunesimo secolo.