Quello che più mi attrae quando giro per seguire una sfida sugli spalti, è cercare un possibile abbinamento. Che sia un match posticipato o anticipato. Che sia una partita di pallacanestro, mio vecchio amore a cui negli ultimi anni ammetto di aver dedicato meno tempo rispetto al passato. Quasi casualmente mi accorgo che dopo il derby di calcio tra Treviso e Mestre, al PalaTaliercio è in programma la sfida di Serie B Nazionale (terzo livello della piramide cestistica) tra Basket Mestre e San Vendemiano. La cosa attira fortemente la mia curiosità. Ho ricordo di immagini sfocate, viste su YouTube, della compagine mestrina impegnata nei derby degli anni ottanta contro la Reyer, a cavallo tra Serie A1 e A2, e so che da qualche anno è stata rifondata. Ma, a parte qualche immagine dei tifosi presenti a Livorno in occasione dei playoff della scorsa stagione, non ho molte altre informazioni. Non sapevo neanche, a dirla tutta, che i biancorossi fossero riusciti a tornare nello storico impianto di Cavergnago. Il match viene peraltro posticipato alle 19, quindi per me è davvero tutto estremamente comodo e facile: finita la partita del Tenni mi dirigo in stazione e con poco più di venti minuti sono a Mestre, pronto a raggiungere il palazzetto.

Torniamo un attimo a ritroso: a Mestre la palla a spicchi comincia a rimbalzare nel 1958, quando il club viene fondato presso il campetto della chiesta di Sant’Antonio, a Marghera. Già dall’anno successivo la società si trasferirà nel Dopolavoro Montedison, sempre in località Marghera, continuando un percorso di crescita che negli anni sessanta la porterà al secondo livello del basket italiano, nonché a disputare i primi derby con la Reyer. La richiesta da parte del pubblico e la necessità di avvalersi di strutture più consone alle categorie disputate, fa sì che i biancorossi si spostino al Palazzetto CONI di Via Olimpia, a Mestre, successivamente dedicato al compianto Davide Ancilotto. Tuttavia, con la storica, prima, promozione in A1 (1973/1974) anche questo impianto diventa non omologabile, costringendo i mestrini a trasferirsi temporaneamente in quel di Castelfranco Veneto. Questo fino al 1978, quando verrà inaugurato – proprio per volontà del club, che successivamente lo cederà al Comune di Venezia – il PalaTaliercio, utilizzato poi dal 1990 anche dalla Reyer, impossibilitata a giocare al PalaArsenale, non più adeguato alle allora vigenti normative in fatto di sicurezza.

Il primo anno di A1 culmina con la retrocessione scaturita in seguito agli spareggi di Genova contro Fortitudo Bologna e Virtus Roma. La società sul finire degli anni ’70 rischia di tornare in B per una retrocessione ottenuta sul campo, ma viene rilevata dall’allora patron di Alessandria, Pieraldo Celada, che trasferisce in Veneto il titolo di A2 dei piemontesi e ridà nuova vita a Mestre. Celada, di fatto, sarà croce e delizia per il club, ridando linfa vitale per un decennio, quello degli anni ’80, che vedrà Mestre stabilmente in A2, con tre nuove parentesi in A1 e ben due partecipazioni alla Coppa Korac, ma favorendone poi la cessazione di ogni attività quando nel 1989 trasferirà tutti i giocatori a Desio, società che nel frattempo aveva rilevato e portato in A1. Il titolo di Mestre passerà invece a Montichiari, sancendone di fatto la morte.

Sono gli anni in cui si disputa ripetutamente il derby con Venezia, infiammando il Taliercio e facendo crescere una rivalità già esistente anche nel calcio. In un periodo storico dove gli ultras hanno definitivamente preso piede negli stadi e hanno cominciato ad attecchire pure nei palazzetti, ovviamente non mancano gruppi organizzati al seguito del Grifone (simbolo che riprende l’omonima figura stampigliata sul Palazzo della Provvederia). Nella fattispecie i nomi che contraddistingueranno l’epopea del tifo biancorosso dell’epoca sono Prima Linea, Vecchia Guardia Ultrà, Club Aleardi (dal nome di una via di Mestre) e Fighters, tutti posizionati in Curva Nord. Mentre in Sud prendeva posto la Fossa degli Indiani.

Al netto di tutti i suoi aspetti positivi e stimolanti, la pallacanestro – nella sua sfera burocratica e dirigenziale – è spesso uno sport spietato e poco rispettoso della tradizione di un club e di una città. Dove si fatica tantissimo a ripartire da un fallimento e in cui ci possono volere anni prima di tornare a veder le proprie maglie e il proprio marchio calcare nuovamente il parquet. Nel caso di Mestre ne serviranno ben venti. Bisognerà infatti attendere il 2009, quando la squadra sarà rifondata da un gruppo di tifosi (con Claudio Prosperi presidente) e iscritta al campionato di Promozione. Successivamente (2011) gli stessi passeranno la mano a Guglielmo Feliziani, attuale presidente e socio di maggioranza, che inizierà un certosino lavoro di ricrescita, innanzitutto salendo di categoria.

Beffardamente, proprio come nei primi anni di vita, per i biancorossi torna in auge il problema “campo”. Inizialmente si gioca nella palestra della scuola Gritti, per poi trasferirsi al palazzetto di Trivignano. La volontà, sempre più crescente, è quella di rimetter piede al Taliercio. Volontà che viene corroborata anche dai risultati sportivi, che vedono i Grifoni risalire la china fino a conquistare la B Nazionale. Il sogno diventa realtà il 14 maggio di quest’anno, quando grazie all’accordo con la concessionaria Reyer, Mestre torna nel suo storico impianto per disputare i playoff contro la Pielle Livorno, di fronte a 2.500 spettatori. Accordo che viene confermato e rinnovato anche per la stagione corrente, la prima dopo ben 34 anni a rivedere il Basket Mestre impegnato in un campionato intero della regular season a Cavergnago.

La rinascita comporta anche un risveglio di quella frangia di tifosi e ultras che mai si sono arresi alla morte della loro squadra. Nei primi anni sono i ragazzi della Banda Nialtri a riaccendere il tifo organizzato, successivamente al loro scioglimento viene creato il gruppo Curva Nord, poi affiancato da Gioventù Biancorossa, 7 maggio, Gruppo Bissuola e Vecchia Guardia. Chi segue un po’ la palla a spicchi sa bene quante e quali siano le difficoltà a dar seguito alla propria militanza, con gironi che anche in terza serie rispondono a una suddivisione verticale del Paese (il che vuol dire poter andare a Ravenna, ma anche a Ruvo di Puglia) e orari spesso impossibili o turni infrasettimanali. Eppure il contingente mestrino cerca di presenziare ovunque, malgrado l’età media sia vistosamente alta e il ricambio generazionale sia un qualcosa di delicato e difficile da portar avanti in una realtà complessa come quella di Mestre e, soprattutto, in un contesto dove il basket a buoni livelli è mancato per vent’anni. Eppure, convogliati nella Gioventù, uno stuolo di giovani sta cercando di porre le basi per gli anni a venire, cosa non affatto da sottovalutare.

Tutto questo sottobosco di informazioni e storie, mi invoglia ancor più a fare un salto in un palazzetto dove, peraltro, finora non ho mai messo piede. Certo, non mi aspetto il pubblico delle grandi occasioni, ma mi interessa tastare con mano la caparbietà di chi – come cantano proprio in un loro coro – “con la Reyer in A1, mi domandano perché…”. Poi il bello di queste realtà è che non ci sono troppi patemi d’animo nell’entrare nel cuore dell’evento: con la richiesta fatta meno di ventiquattr’ore prima, trovo senza problemi il mio pass e mi avvio tranquillamente sul parquet, sistemandomi sotto canestro e fotografando senza nessun esaltato che mi ricorda questa o quell’altra regola dettata dalla Lega o da qualche altro sceriffo. Il Taliercio peraltro è davvero una bella struttura, che per alcuni tratti mi ricorda il caro e vecchio PalaTiziano di Roma. Impianti di una volta, raccolti e a favore di frastuono. Non cattedrali nel deserto.

L’avversaria di turno è la Rucker San Vendemiano, club proveniente dall’omonimo paesino in provincia di Treviso che ai nastri di partenza è tra i più accreditati per il salto di categoria. Un match importante quindi, sebbene gli ospiti non possano contare su nessuna forma di tifo organizzato. I quattro quarti vanno via in crescendo, sia in campo che sugli spalti. Il quintetto in maglia rossa prende sempre più confidenza andando a conquistare una bella vittoria, mentre sugli spalti la Curva Nord non smette praticamente mai di cantare, con il picco raggiunto negli ultimi due quarti. Facevo cenno all’età media vistosamente alta: se da una parte c’è il discorso di ricambio generazionale di cui sopra, dall’altra è sempre suggestivo notare come gente che in passato ha speso parte della gioventù a dar lustro alla storia del tifo cittadino, non abbia affatto dimenticato le proprie origini ma, anzi, si sia rimessa senza indugi in prima linea nel tentativo di dare un futuro alla propria curva. Appare altrettanto ovvio, come del resto succede anche nel calcio, che i risultati e la continuità sportiva saranno fondamentali da qui ai prossimi anni per dar vita a un nuovo filone di appassionati mestrini.

Sempre bello, infine, notare la sinergia tra calcio e basket. Più di qualcuno, infatti, tornando dalla trasferta di Treviso ha fatto tappa al palazzetto. Una simbiosi che, a qualsiasi latitudine avvenga, rafforza il senso d’identità e permette uno scambio umano e aggregativo tra le due entità.

Finisce con i giocatori di casa sotto al settore, a ricevere applausi e abbracci. Magari questa non sarà la stagione che riporterà Mestre in A2 (o forse sì), ma sicuramente col Taliercio ritrovato e uno zoccolo duro del tifo che sembra avere una sua quadratura, la strada intrapresa è quella giusta. E lasciatemi dire che con le tante realtà improvvisate e discutibili viste in A1 e A2 negli ultimi anni, ogni tanto il ritorno di qualche marchio storico è una boccata d’ossigeno. Di certo questa stagione darà ai supporter del Grifone la grande opportunità di salire un ulteriore step da un punto di vista partecipativo e del proselitismo. E perché no, guardando a quei vecchi video degli anni ottanta, da appassionato esterno a qualsiasi contesa, chissà che un giorno non torni qui per scattare durante un derby contro la Reyer…

Simone Meloni