Fa davvero strano pensare che l’ultimo domicilio conosciuto per Casertana e Catania sia stata la Serie D. Una categoria dove i due club erano giunti per diverse, sfortunate, vicissitudini e in cui hanno disputato tornei differenti- gli etnei hanno stravinto il proprio girone mentre i campani sono stati ammessi a ridosso dei nastri di partenza – trovandosi tuttavia a condividere la medesima categoria nella stagione corrente. Casertana e Catania, due piazze divise da una rivalità storica, che poggia sul trasversale incrocio dell’asse amicizie/rivalità e che negli anni non si è mai fatta desiderare nell’offrire tensioni, scaramucce, turbolenze e situazioni al limite della cronaca nera. Tra gli eventi da ricordare spicca certamente un colpo di pistola sparato in aria da un agente nel 2015, quando all’esterno del Pinto i supporter siciliani misero in netta difficoltà il servizio d’ordine, cercando il contatto con i rivali. Due tifoserie che senza dubbio hanno scritto pagine importanti nella storia del movimento ultras italiano e che, nella melma delle categorie inferiori, sono state capaci di forgiare i propri effettivi e temprare la scorza, anche in tempi duri e contraddistinti da restrizioni e divieti come questi.

A proposito: sebbene in prima battuta l’Osservatorio avesse deciso di aprire a tutti la trasferta (come si evince dal comunicato del 19 settembre che indicava come unica prescrizione quella della vendita del settore ospiti nella sola provincia di Catania), dalla riunione del GOS la settimana prima del match emerge l’ormai classica (e minima oserei dire) limitazione di vendita dei tagliandi ai soli possessori di Fidelity. Un giorno qualcuno avrà il coraggio di porre domande sensate e pertinenti a questi signori che ogni settimana tirano fuori dal cilindro scuse e cavilli per non lavorare; nel frattempo dobbiamo tristemente constatare come il Protocollo d’Intesa sottoscritto nell’agosto del 2017, con cui si impegnava ad abolire gradualmente la tessera del tifoso, trasformandola in una fidelity card al massimo necessaria per assistere agli incontri più a rischio, non solo venga puntualmente disatteso, ma sia ormai letteralmente accantonato in luogo di una recrudescenza di interdizioni e limitazioni alla libera circolazione su territorio nazionale, nonché al libero accesso in luogo pubblici come gli stadi.

In cosa si traduce questa situazione: Curva Sud del Catania regolarmente presente perché sottoscrittrice di Fidelity, Curva Nord non tesserata e quindi impossibilitata a comprare il tagliando, che si presenterà ugualmente all’esterno del Pinto tifando e facendosi sentire. E creando, ovviamente, qualche problema in più alla gestione di un contingente che, altrimenti, sarebbe stato completamente “confinato” all’interno dello stadio. A loro va tutto il mio plauso, comprendo quanto sia forse impossibile fare una cosa del genere ogni domenica, ma se probabilmente il mondo ultras si ponesse questo genere di obiettivo in maniera massiva e trasversale, a fine anno ci penserebbero dieci volte prima di inventare divieti senza fine e spesso e volentieri senza alcun motivo.

Fatte le dovute considerazioni sulla vendita dei biglietti (che in Italia spesso e volentieri è più difficile rispetto ad accendere un mutuo da disoccupato) veniamo al match. Per i campani il campionato è iniziato in ritardo, cosa che ha costretto i falchi a giocare più partite in una settimana, strapazzando letteralmente pubblico e giocatori. Questi ultimi arrivati a inizio stagione senza una vera e propria preparazione. La tifoseria ha risposto numericamente bene nelle prime uscite casalinghe contro Benevento e Monopoli, portando discreti numeri anche nelle trasferte di Latina e Potenza. In generale, va detto, l’aver riottenuto il professionismo per Caserta è stata una vera e propria manna dal cielo. Il club e la città attraversano un periodo storico delicato e fondamentale per la crescita futura; la probabilissima costruzione del nuovo stadio è notizia di qualche giorno e attende solo la ratifica comunale prevista per il 19 ottobre. Pertanto trovare una stabilità almeno in Serie C è vitale per qualsiasi progetto riguardi una città così complessa, che vive spalla a spalla con la terza metropoli d’Italia e dispone di una provincia grande e popolosa. Probabilmente il tentativo di rendere calcisticamente grande il centro ai piedi della Reggia passa proprio per gli anni a venire e molta della gente da stadio sembra averlo capito, stringendosi ancora più forte attorno ai colori rossoblù.

Ho un’immagine di Caserta per ogni lustro, almeno negli ultimi quindici anni. Dalla Reggia incerottata e oggettivamente non tenuta come dovrebbe, al sito bellissimo e curato quasi maniacalmente che è diventato oggi. Dal centro cittadino un po’ losco a quello a tratti anche fighettino odierno, con stradine e vicoletti ricolmi di locali e ragazzi a godersi la propria città, passando per le osterie tipiche dove le maglie dei falchi sono esposte in bella vista, o nei caseifici dove l’odore acre della mozzarella di bufala pervade le narici riconciliandoti almeno per dieci minuti con il cosmo. E la Casertavecchia che dall’alto domina la valle e ti restituisce pace con le sue stradine medievali e quelle impegnata e lavoratrice di San Leucio. E poi c’è la città più agreste, violentata in passato da chi con il territorio ha voluto fare i propri affari e da un carrozzone mediatico che troppo velocemente ha etichettato e giudicato, stroncando parte dell’economia senza mai provare a metterci una toppa. Certo, nessuno me ne voglia, Caserta è anche quel Sud che troppo spesso si nasconde dietro alle proprie mancanze puntando il dito altrove, perché troppo orgoglioso (e a volte poco lungimirante) per fare autocritica. È un posto – soprattutto nel suo hinterland – dove il malaffare ha fatto danni forse irrecuperabili, sia da un punto di vista territoriale che sociale. Se ci si mette poi la bomba a orologeria del conflitto creato con l’immigrazione selvaggia (e ovviamente sfruttata barbaramente dai latifondisti moderni), si comprende ancor più l’asprezza di queste latitudini. Eppure quando passi nel casertano quelle montagne aguzze, appuntite, le guardi quasi con sospetto. Non c’è la commercializzazione di Napoli, non c’è quella una storia retorica da raccontare e imbellettare al turista spendaccione. Caserta è Campania ma non è Napoli. Come esattamente tutte le altre province di questa regione. E non che essere Partenope sia un’offesa, chiaramente, ma per capire una zona bisogna anche entrare nelle sue radici. Ovvio che poi le affinità con una città che per secoli (e ancora oggi) ha mosso e determinato cultura, usi e costumi sia palese.

Di certo a Caserta ci sono un riferimento e una propensione importante allo sport. Qui ti imbatti in sciarpe rossoblù, in ragazzi che camminano per il corso con la maglia della Juvecaserta, in palloni da basket resi monumento e piazzati nel bel mezzo di rotonde e in stencil ultras disseminati praticamente ovunque. Ecco perché malgrado una storia calcistica non fulgida, venire al Pinto rappresenti sempre un’esperienza in grado di riservare importanti spunti di riflessione. Figuriamoci poi se l’avversaria di turno è il Catania. E infatti il dato della prevendita parla chiaro: circa cinquemila biglietti venduti, di cui 227 destinati ai supporter etnei. Le danze sono aperte e una delle domeniche più importanti del calcio casertano sta per iniziare.

Quando mancano tre ore alla partita l’area perimetrale dello stadio è già ampiamente sorvegliata da svariate camionette della polizia. Devo dire che rispetto a qualche anno fa alcune dinamiche hanno abbastanza ripreso quota e si respira infatti un’aria alquanto frizzantina. Dicevo dei vari incroci di gemellaggi e rivalità. Per dare un quadro che spiega abbastanza chiaramente il perché fra queste due tifoserie non regni propriamente il rispetto: padroni di casa in ottimi rapporti con cosentini, messinesi e avellinesi, tutte curve arcirivali dei siciliani. Inoltre, senza nulla togliere a nessuno, quella rossazzurra è senza dubbio in ottima forma e dopo anni di stenti causati dalla cieca repressione post Raciti ed è tornata su ottimi livelli evidenziando la sua proverbiale anima rognosa e tutt’altro che accomodante. Di fatto parliamo di due curve diverse, distanti anni luce su molte tematiche e sull’approccio da stadio, ma anche dal modo di concepire il proprio territorio. Sono i casi in cui una rivalità è impossibile da arginare e da appassionato di questo mondo non può che farmi piacere leggere negli occhi dei ragazzi più giovani l’attesa e la voglia di farsi valere.

Con il ritorno tra i professionisti il Pinto è stato tirato a lucido e, da amante degli stadi retrò, ho sempre piacere a entrare sulla sua pista d’atletica. Quando mancano pochi minuti al fischio d’inizio il settore dei Fedayn Bronx va popolandosi, mentre gli ospiti ancora non sono stati fatti entrare. Come da tradizione campana (ma non solo a dire il vero) il loro ingresso avverrà pochi minuti dopo l’inizio della partita, scaldando il clima e facendo nascere le prima schermaglie verbali tra le due tifoserie. Malgrado sia presente solo la Sud, l’impronta del tifo catanese è ben marcata e si mantiene su ottimi livelli per tutti i 90′, anche aiutati da una squadra che dopo la prima frazione conduce già 0-2. Torce e fumogeni vengono accesi di soppiatto, mentre i due aste fanno sempre la loro figura e vedono spiccare senza dubbio lo storico Odiati e Fieri. Stendardo che fa il paio con il bandierone Melior de cinere surgo, divenuto giocoforza l’emblema della rinascita del club. Questa frase è infatti incisa su una porta della città (Porta Garibaldi) in prossimità di uno scudo del timpano che raffigura una fenice intenta a risorgere dalle fiamme.

I casertani, va detto per onestà, partono un po’ in sordina. Forse travolti dal gran caldo (altra genialata della Lega: giocare alle 14 questo match) e sicuramente colpiti in pieno dall’avvio scioccante che vede i dirimpettai quasi subito in vantaggio grazie a un gol realizzato da dietro la linea di centrocampo, in pieno stile Mascara durante il derby col Palermo vinto 0-4 dai rossazzurri. Gli va riconosciuto, però, di crescere lentamente e in maniera speculare alla loro squadra che nel frattempo viene fagocitata da quella avversaria con uno 0-4 finale che lascia poco ai commenti tecnici. In particolar modo la seconda frazione dei campani è su ottimi livelli: tanti battimani, cori a rispondere, canti tenuti a lungo e una bella sciarpata che suggella una grande prova d’orgoglio. A partita finita, manco a dirlo, si scatena il classico sfottò tra le due fazioni, con i padroni di casa che restano all’interno mentre il resto dello stadio svuota, rendendo quindi il confronto “oratorio” prettamente ultras.

Rimango a godermi gli ultimi scampoli di questa giornata, prima di riporre la mia camera e guadagnare lentamente l’uscita. Penso tra me e me che in fondo dalla Serie C in giù ancora si possano vedere cose interessanti e maledico l’ipocondria con cui ormai si gestisce ogni evento calcistico nel nostro Paese. Una sana e oculata gestione, nonché l’evitare la spettacolarizzazione di ogni singolo episodio fuori posto, garantirebbero davvero uno spettacolo costante nei nostri stadi. Di base è rimasto un humus molto importante a tutte le latitudini e noto con piacere un diffuso ricambio generazionale, che sta permettendo a molte curve di ricostruirsi e portare avanti i propri progetti. Ergo: no, per me il movimento ultras non è finito. Semmai si è adattato, si è modellato. Ma questo è un suo tratto caratteristico, quasi fisiologico direi.

Mi fermo al baretto posto proprio all’esterno dello stadio. Una signora parla animatamente con un tifoso, in dialetto si scambiano battute e visioni sulla vita (sic!) mentre tutti intorno sono impegnati a sorseggiare birra e borghetti. I catanesi sono definitivamente usciti, ricongiungendosi ai ragazzi della Nord e prendendo la via che li riporterà a casa. Il sole delle 16 non è affatto clemente da queste parti e induce a faticare anche con una camminata veloce. Casertani 100%, è l’ultimo murales in cui mi imbatto. Ed è anche un celebre coro degli ultras rossoblù. L’appartenenza stampigliata sul marmo, difficile da scalfire, impossibile da cancellare. In fondo è quello in cui tutti i ragazzi di stadio credono. La motivazione che li spinge a essere quell’elemento in più per ogni squadra. L’elemento senza cui campionati come quelli di Serie C varrebbero davvero poco. Se non niente.

Simone Meloni