Mi ritrovo a Catania per la terza volta nel giro degli ultimi mesi. Succede spesso così: per anni mi prefisso un posto, uno stadio o una tifoseria da vedere, non riuscendoci per le più disparate ragioni. Quando poi, finalmente, riesco a infrangere il tabù, sovente ci torno a più riprese, facendola diventare questi un’abitudine. E pensare che dopo la partita col Monopoli, nel rispetto di quella ricerca ossessiva di stadi e città nuove, mi ero ripromesso di tornare alle pendici dell’Etna solo a tempo debito. Ma una semifinale del genere, che sin dal sorteggio si preannunciava intrigante e atipica, meritava assolutamente viaggio e tempo speso.

Arrivato a Fontanarossa ho due scelte: aspettare due ore il primo treno per la stazione Centrale o salire sull’odioso e turistico Alibus. Ovviamente opto per la terza: camminata di circa cinque chilometri, che con la scusa mi permetterà dapprima di visitare il cimitero monumentale e, dunque, la tomba di Giovanni Verga, e poi di pranzare in una delle tipiche bracerie poste su Via Acquicella, dove il tempo si è fermato e tutto assume un aspetto genuino e tipicamente meridionale. Piccole (grandi in realtà) soddisfazioni delle partitelle in giro per l’Italia.

Dopo il fallimento e la risalita dalla Serie D, Catania sta vivendo una stagione interlocutoria, con la squadra di Lucarelli che annaspa in campionato e punta forte sulla coppa per accedere ai playoff. La piazza mugugna, sebbene riempia regolarmente lo stadio e per stasera abbia staccato quasi ventimila biglietti. Se non fossimo in tempi di caccia alle streghe, divieti, demonizzazioni di ragazzi con la sciarpa al collo potremmo tranquillamente essere, almeno dalla Serie C in giù, ancora l’eden di un tempo. Ma bisogna accontentarsi delle briciole e allora queste occasioni vanno vissute e non sprecate. Credo sia lo stesso pensiero che abbiano fatto i ragazzi di Rimini: circa duecento biglietti acquistati in riva all’Adriatico e una di quelle trasferte che per i biancorossi risuona sicuramente come storica e al contempo stimolante. Nota a margine: la mia scelta a occhi chiusi di venire a Catania è stata anche figlia della certezza di una loro presenza massiccia e motivata. Ci avrei messo la mano sul fuoco. E infatti non mi sarei scottato!

Dopo il classico giro nel centro di Catania, concluso manco a dirlo con cannoli e zibibbo, quando l’orologio segnale 18:45 posso avviarmi lentamente verso lo stadio. Ormai ho imparato la strada e inoltrandomi per le strade di Cibali provo sempre una sensazione elettrizzante nel passare per vicoli e vicoletti che circondano l’impianto. Le lamentele di alcuni cittadini, l’indomani sui vari portali che parlano di Catania e del Catania, mi ricordano quelle di chi vive nei quartieri centrali di Roma e si lamenta per il troppo movimento che c’è in strada di giorno e notte. Gente a cui solo il potere dei social, purtroppo, ha potuto dar parola. Considerato che lo stadio si trova qua dal 1937, non mi sembra affatto una novità il caos che si crea nel suo perimetro per massimo due volte al mese (sic!). Posso comprendere il disagio creato dall’ipocondria della pubblica autorità, con transenne e blocchi posti in essere già diverse ore prima del fischio d’inizio, ma bisognerebbe sempre contestualizzare anziché chiedere a gran voce la costruzione di un nuovo impianto fuori città, come va tanto di moda ora. Senza contare – discorso generale e generalista – che buona parte degli italiani dovrebbe abbandonare il “vizio” della macchina anche per fare qualche centinaia o decina di metri. Catania forse non sarà la città con il miglior trasporto pubblico del Paese (sebbene negli ultimi tempi la gestione della metro prima e dopo i match abbia apportato notevoli miglioramenti) ma se facciamo il conto di quanta gente ha davvero bisogno di uscire con l’automobile e quanta invece la prende per pigrizia o “abitudine”, forse capiremmo che traffico e disordine non sono, in fondo, solo colpa di quegli “scalmanati” dei tifosi (sta a vedere che ora pure questa colpa ci dobbiamo accollare!). Non me ne voglia nessuno, ma io mi auguro che stadi come il Massimino durino più a lungo possibile, perché danno ancora quella sensazione di sinergia tra città e tifoseria, restituendo alla perfezione l’immagine del calcio italiano che fu.

Superate le transenne con cui gli steward hanno approntato, oggi, un primo (utilissimo…!) prefiltraggio, mi appropinquo verso il mio ingresso e come le altre volte entro in campo davvero in men che non si dica. Nota di merito per la società rossazzurra: mai un problema, mai una scortesia e sempre cordiali nell’agevolare tutte le procedure per accedere sul terreno di gioco. Pensando a quelle società dilettantistiche che si permettono anche di deriderti se gli dici che stai venendo da lontano per scattare e scrivere su di loro, quando le cose funzionano “normalmente” vale la pena sottolinearlo. Lo stadio presenta un gran colpo d’occhio quando mancano ancora quarantacinque minuti all’inizio, io ne approfitto per fare un paio di giri del campo, finendo poi per assistere alla piccola cerimonia con cui Filippo, un bambino disabile tifoso del Rimini, viene portato a centrocampo assieme a Leonardo, piccolo tifoso del Catania che nella gara di andata gli aveva regalato una sciarpa rossazzurra. Ai due viene regalata una maglia del club siciliano, in un momento tutto sommato bello. Non sono un amante del fair play gratuito e dei gesti mielosi, ma francamente in questa occasione ho trovato il tutto davvero garbato e austero. Inoltre è sempre bello vedere ragazzi avvicinarsi alle squadre delle proprie città di nascita anziché ai grandi club della Serie A.

L’applauso del Massimino saluta l’uscita dal campo dei due e funge da proscenio all’ultima parte del prepartita, con i tifosi riminesi che cominciano a fare il proprio ingresso nel settore, sistemandosi in breve tempo dietro lo striscione della Curva Est e alle pezze dei gemellati novaresi e civitanovesi. In più bandieroni, qualche stendardo e distribuzione di bandierine biancorosse che saranno agitate all’ingresso in campo delle squadre. Il tutto promette molto bene. Come massiccio sembra il fomento nelle due curve catanesi: la Sud sta vistosamente preparando una coreografia che vedrà protagonista dei teloni, mentre in Nord campeggia uno striscione per Smeraldina Camiolo, figlia di uno dei leader del tifo rossazzurro prematuramente scomparsa qualche anno fa. Per lei verranno liberati in cielo anche diversi palloncini bianchi, accompagnati da un piccolo telo raffigurante il suo nome e una farfalla. Fermento anche tra i gruppi disseminati in tribuna, a completamento di un ambiente davvero notevole. Parliamo pur sempre di una Coppa Italia di Serie C che, è vero, darà pure l’accesso alla fase avanzata dei playoff ma vale sempre la pena ricordare come questi siano un vero e proprio terno al lotto e come questa competizione, di suo, abbia davvero un valore relativo. La fame di calcio del popolo catanese è un qualcosa di tangibile.

Sebbene pure qua la musica delle casse sia fastidiosamente assordante, alla fine prevale la voce dello stadio, con i primi cori che si levano al cielo per spronare le squadre in campo. Sento uno dei ragazzi di Rimini col megafono in mano dire ai suoi: “Godiamocela eh, dai!”. Spirito giusto, nonché cartina al tornasole del celebre concetto “Oltre il risultato”. Quando i ventidue giocatori fanno capolino dal tunnel lo stadio comincia a colorarsi, anzi ad accendersi sarebbe meglio dire. La Sud omaggia Ciccio Famoso con una coreografia contornata dalle classiche fontanine luminose che si usano a Capodanno, le stesse che contemporaneamente vengono accese anche in Nord, prima che il settore si illumini a giorno con torce e flash. Pirotecnica anche per i gruppi posizionati in tribuna, mentre su fronte riminese, come detto, bandierine biancorosse sventolate e divise perfettamente su base cromatica. Cosa dire? Spettacolo è forse l’unica parola per descrivere l’immagine offerta dallo stadio. Uno spettacolo che chi è intento a lamentarsi (vedi sopra) non può probabilmente minimamente capire. Piccola postilla: scattare a Catania non è mai facile. Oltre alle luci sparate e forti nelle partite serali, la presenza di due settori ultras rossazzurri, più i gruppi in tribuna e il settore ospiti, costringe agli “straordinari”, cosa da un lato bella e stimolante, ma che dall’altro mi fa sempre temere di mancare qualche scatto.

Si parte dall’1-0 dell’andata in favore dei romagnoli. Risultato che induce il Catania a spingersi subito in avanti e il suo pubblico a soffiare con veemenza sul pallone. La Nord comincia forte e spesso e volentieri tutti i presenti partecipano ai cori, mentre anche la Sud fa la sua parte e dalla mia posizione riesco nitidamente a sentirlo, oltre ad ammirare alcune manate davvero possenti. Al 18′ Cicerelli porta i siciliani in vantaggio e il boato è davvero di quelli memorabili. Negli ultimi anni noto un “calo” delle esultanze in Italia. Sembra esserci meno pathos, meno trasporto. E anche meno rumore. Quindi sentire una simile esplosione è senza dubbio emozionante e ben collide con la serata che sto vivendo.

Gli ultras etnei spingono sull’acceleratore e i primi 45′ sono davvero di pregevole fattura, con una sciarpata della Nord a tutto settore. Nella ripresa le due curve ricordano Zio Padella, storico esponente del tifo napoletano scomparso qualche anno fa, mentre il sostegno si mantiene sempre su ottimi livelli, fino ad arrivare al minuto 85′, quando Castellini – con una staffilata potente e precisa dalla lunga distanza – sigla il 2-0 e porta i suoi in finale. Il boato, se possibile, è ancor più forte del primo e viene corroborato da torce e fumogeni accesi a volontà, cosa che rappresenta sempre un bel vedere. Soprattutto in una città e in uno stadio che da anni sono tutt’altro che zona franca, distinguendosi spesso per una cieca e gratuita repressione. Considerazione personale: del tifo organizzato catanese apprezzo la fattura degli striscioni di carta: sempre ben realizzati a vernice, con un font che è rimasto fermo a quelli belli e marcati che si vedevano negli anni novanta. Forse, a far da contraltare, c’è un materiale (striscioni e bandiere) che in alcuni casi non sembra essere molto curato, preferendo la stampa alla realizzazione manuale.

Capitolo ospiti: come ho lasciato intendere la performance degli adriatici merita davvero un elogio. Arrivati in Sicilia con numeri importanti, i riminesi non fanno una piega, cantando da prima a dopo il match, con la sola sosta fisiologica dell’intervallo. Bandiere, bandierine, cori a rispondere e tenuti a lungo, uno striscione per gli ultras scomparsi e una sciarpata finale. Davvero perfetto, poco da dire. La conferma di quanto scritto per la partita di andata: il progetto Curva Est ha riportato il movimento ultras cittadino su ottimi livelli e in queste occasioni un po’ tutti ne raccolgono i frutti, potendo tornare a casa con il petto gonfio d’orgoglio. Rimini è un capoluogo, vero, ma non parliamo di una città grande e di una tifoseria che può contare su numeri stratosferici, eppure l’opera aggregativa ha palesemente fatto proseliti e militanti con un certo modo di ragionare e vivere la curva. Non è la classica trasferta “occasionale”, in cui molta gente si è unita per fare la gitarella in Sicilia, mangiare un cannolo e poi anche vedere la partita. Tra le loro fila c’è sostanza e voglia di dimostrare. Serate come quelle del Cibali ti gratificano e per novanta minuti gettano alle spalle amarezze e passaggi a vuoto. Nonché la spietata pressione di chi ti vuol distruggere e disincentivare a frequentare le gradinate. E anche se alla fine la delusione viene raddoppiata da un gol annullato sul fischio finale – una rete che poteva mandare le squadre ai supplementari – l’abbraccio finale alla squadra, il ribadirle che “Siamo con voi” è più forte di ogni sconfitta e ben racconta la trasferta dei biancorossi a 1.096 km da casa (aggiungo: è vero, con gli aerei oggi è più facile muoversi, ma alla fine bisogna pur sempre stare minimo due giorni fuori, quindi resta uno spostamento ostico, a maggior ragione se infrasettimanale).

Grande giubilo, ovviamente, tra il pubblico di casa, che applaude la squadra ricordandole tuttavia come la stagione non sia finita né “interrotta” e il campionato vada affrontato con serietà e abnegazione. La finale vedrà il Catania affrontare il Padova, in una sfida che si preannuncia calda e a dir poco interessante. Ci sarà da vedere se i geni dell’Osservatorio (coadiuvati dagli esperti in rustichelle di Autogrill e dai docenti in ritardo di Trenitalia) si inventeranno qualche supercazzola per far disputare le due gare a ranghi ridotti. Da loro c’è da aspettarsi di tutto, anche che propongano una finale unica a campo neutro. Ovviamente sede designata El Alamein o Seattle.

Personalmente mi trattengo sul tartan della pista d’atletica finché quasi tutto il pubblico – eccezion fatta per i riminesi – è sfollato, per trasferirmi poi nella sala stampa e perdere un po’ di tempo ascoltando le conferenze dei tesserati. Quando l’orologio segna la mezzanotte e anche l’ultimo giocatore del Catania ha deliziato i giornalisti, posso riprendere lentamente, a piedi, la strada per l’aeroporto. Il mio volo partirà alle 6 e, manco a dirlo, a Fontanarossa trovo tutti i supporter romagnoli, anch’essi in partenza la mattina successiva. Così le ore passano tra qualche coro e il mio sguardo divertito nell’osservare la polizia aeroportuale marcare stretto i ragazzi, che nel frattempo si divertono a rumoreggiare ed esibirsi in vari momenti goliardici. Chissà che l’indomani qualcuno non abbia parlato di violenze ultras per una lattina di birra lasciata in terra o un coro politicamente scorretto. Quando finalmente arrivo a Roma la stanchezza prende il sopravvento, tanto che mi addormento sul treno rischiando di saltare la fermata e ritrovarmi a Orte. Sono gli ultimi scampoli di una “giornata” infinita, iniziata alle sei del mattino precedente. Ma va bene così. Anche perché, evidentemente, mi toccherà nuovamente tornare a Catania. Guardoni dell’Osservatorio permettendo!

Simone Meloni