Lo storico tra romagnoli ed etnei parla di soli dieci precedenti ufficiali, il che rende questa semifinale intrigante e se vogliamo inedita. La Coppa Italia di Serie C è una di quelle manifestazioni ritenute da molti solo una perdita di tempo. Sebbene da qualche anno la sua vittoria permetta di bypassare alcuni turni dei playoff, storicamente la coccarda della terza divisione non ha mai fatto breccia nei cuori dei tifosi, tanto meno in quelli delle società. Se ne potrebbe parlare a lungo, ma non mi sento di dar totalmente torto a tutti i detrattori di questa kermesse, che a tratti sembra essere la sorella ancor più sfigata di quella Coppa Italia maggiore ormai da diversi anni divenuta un discorso a esclusivo appannaggio delle big. E forse proprio qua sta lo snodo cruciale: non sarebbe ora di unificare le competizioni, permettere al club più debole di giocare sempre in casa e far sognare anche chi il grande calcio lo può vedere al massimo in televisione? Davvero ci vuole una laurea in marketing e un master in sociologia per capire che un semplice cambiamento restituirebbe tanto appeal a parte del nostro calcio? Poi si potrebbe anche mantener viva la Coppa di C, se qualcuno ne sente proprio l’esigenza. Benché, di fondo, la formula dell’ultimo campionato professionistico resti cervellotica e stucchevole. E andrebbe completamente rivista, cominciando nello snellire l’organico dei gironi. Ma considerato chi governa il nostro calcio, ho i brividi solo nel pensare a quali riforme potrebbero essere attuate: questi dove mettono mani riescono soltanto a far peggio (il che è pure difficile!)

Critiche a parte, va detto che le due semifinali di quest’anno racchiudono davvero una bella fetta di storia calcistica italiana: Lucchese, Padova, Rimini e Catania. Tre club su quattro hanno disputato campionati di Serie A in passato, mentre un po’ tutti ce li ricordiamo – anche recentemente – in cadetteria. Sodalizi che possono contare anche su tifoserie rodate, che sicuramente onoreranno alla grande questi impegni, confermando quanto il tanto bistrattato tifoso – soprattutto a certi livelli e in certi contesti – sia davvero l’unica stella a brillare in un cielo buio e tetro. La mia scelta ricade sul match del Romeo Neri. Un po’ perché per motivi personali mi trovo nella vicina Pesaro, un po’ perché sono sempre affascinato dal testa a testa tra Nord e Sud. Inoltre catanesi e riminesi, per diverse ragioni, accendono in me un discreto interesse, nonché la certezza che sapranno farsi valere nella fredda serata adriatica. Fredda soprattutto per il sottoscritto, palesemente febbricitante già sul treno per Rimini e letteralmente “mazzolato” dai novanta minuti trascorsi al gelo. C’è chi sogna di morire in gloria e chi compiendo gesta eroiche. Io mi “accontento” di una semifinale di Coppa Italia. Di Serie C.

Il primo dato importante è quello riguardante il settore ospiti. I tagliandi venduti sono un migliaio, cosa che potrebbe non fare così scalpore se si pensa al numero di catanesi residenti nel Nord Italia. Eppure, a conferma di quanto la tifoseria rossazzurra sia valida, va detto che sono oltre quattrocento i supporter partiti dalla Sicilia. Un numero davvero consistente se si considerano i 1.100 chilometri di distanza, l’orario notturno e il valore del match. Una risposta chiara e forte da una delle tifoserie più tartassate da divieti e limitazioni in questa stagione. Se già le trasferte “aperte” almeno ai tesserati si contano sulle punta delle dita, quelle totalmente libere sono pressoché una chimera. Così quella di stasera – neanche segnalata dalle menti eccelse dell’Osservatorio – diventa giocoforza un appuntamento da non mancare. Con la Catania Ultras al gran completo: tutte e due le curve a braccetto e la voglia di ribadire ancora una volta quanto ai piedi dell’Etna la militanza non abbia mai spento la propria fiammella.

Per i siciliani di contro c’è un avversario importante e dalla consolidata tradizione curvaiola. Rimini da qualche anno ha ricominciato a vivere ultras a tutti gli effetti: il lavoro dei ragazzi della Curva Est si tocca con mano ed è visibile domenica dopo domenica: sia nei numeri che nella passione attorno alle maglie biancorosse. Per l’occasione i romagnoli hanno chiamato la propria gente a raccolta e alla fine il colpo d’occhio sarà davvero importante. In passato mi sono già espresso su di loro, ma tanto vale ribadirsi. Non mi nascondo: apprezzo la Est innanzitutto perché è una di quelle curve che agisce a fari spenti. Senza proclami, senza pavoneggiarsi e senza pretendere cose più grandi di lei. I riminesi fanno ciò che devono e lo fanno pure bene. Rognosi fuori, costanti e compatti dentro. Anche grazie a un bel mix di gente navigata e nuove leve. Chi pensa che la cosa sia scontata si sbaglia di grosso e sarebbe sufficiente ricordare anche la recente, forte e folle, repressione subita dal movimento ultras locale. Una mano pesante che qualche anno fa portò addirittura la curva a sospendere le proprie attività di gruppo per un certo periodo, prima che la sigla Curva Est prendesse il timone del tifo lasciato vacante dai Red White Supporters. Qua non siamo a Roma, Milano o Napoli dove si può attingere a bacini infiniti. Per quanto ricambio ci possa essere è sempre difficile ovviare a defezioni importanti e il ricircolo dell’ideale ultras è un qualcosa legato al radicamento dello stesso sul territorio, nonché nei suoi personaggi. L’osservatore esterno compie spesso l’errore di paragonare questa realtà alla vicina – e odiata – Cesena. Ma è chiaro che da un punto di vista numerico parliamo di due entità distanti e separate, anche e soprattutto a causa delle vicende sportive che hanno caratterizzato la storia dei due club. Gli anni del Cesena in A hanno lasciato una grande eredità in tutta la Romagna, mettiamoci poi che come ovunque pure qua si tifano le strisciate del Nord tra i tifosi “normali” e allora si può davvero capire quanto importante lavoro ci sia dietro l’esistenza del tifo organizzato a Rimini.

Ritiro l’accredito, lascio il documento e Tachipirina alla mano sono in campo. I catanesi sono già nel loro settore e riscaldano l’ambiente con alcuni cori di incoraggiamento alla squadra. Qualche minuto dopo sono i massimi dirigenti etnei a sfilare sotto ai propri tifosi, che in un misto tra rabbia e sprono acclamano a gran voce la propria squadra e la propria città. Tornati quest’anno nel professionismo, i siciliani stanno vivendo una stagione forse al di sotto delle aspettative, sebbene il Girone C sia forse il più tosto e attrezzato, oltre a ospitare una sequela di piazze storiche e nobili decadute che ovviamente sgomitano selvaggiamente per far tornare i propri colori quantomeno in Serie B. Il ruggito delle due curve catanesi si fa subito sentire e viene contrastato, quanto mancano una decina di minuti al fischio d’inizio, dall’ingresso dei riminesi, che pian piano si dispongono nella loro curva andando a formare un bel blocco. A differenza del solito, lo striscione della Est viene messo nella parte centrale, per poter permettere ai lanciacori di coordinare meglio il buon afflusso di tifosi in questa serata. La scelta, oltre a denotare una certa intelligenza, si rivelerà vincente. Ma andiamo con ordine.

Le due squadre fanno il loro ingresso in campo e i rispettivi settori si accendono con un discreto utilizzo della pirotecnica, aspetto che denota il buono stato di forma da parte di entrambi i contingenti. Tra le fila ospiti si levano al cielo i classici due aste, molti dei quali richiamano ai quartieri di appartenenza e confermano quanto la militanza da stadio sia radicata e diffusa nella popolare e popolosa Catania, una città tosta e ruvida, che cresce spesso nelle sue strade ragazzi pronti a difendere i propri colori e che lascia sui suoi muri i segni indelebili della passione rossazzurra, nonché dei suoi personaggi storici. Due nomi su tutti: Fabrizio Lo Presti e Ciccio Famoso, ricordati eternamente dagli ultras e ben rappresentati – insieme a tutti gli altri che per sfortunate vicissitudini non ci sono più – dalla pezza Essere Ultras. Due parole semplici, che ben descrivono il mondo del tifo. E ben descrivono anche questa serata, dove la parola sostanza è forse quella che riassume meglio i novanta minuti. Basta guardare la minuzia e la rabbia con cui i ragazzi col megafono in mano sulle balaustre del settore riminese cercano di fomentare i presenti, spingendo affinché la curva alzi le mani, risponda ai cori e – poco prima dell’intervallo – si esibisca in una sciarpata pressoché perfetta sulle note di “Romagna Mia”. Sostanza che ovviamente pervade anche i tifosi siciliani: manate, bandiere sempre in alto e tifo che spesso rimbomba da una parte all’altra. Uniche critiche che mi permetto di fare, una per parte: su fronte romagnolo, per un mero discorso estetico e cromatico, forse sarebbe bello qualche stendardo in più, mentre su quello rossazzurro alcuni stendardi e il font utilizzato per realizzarli non destano molto l’idea di cura e attenzione. Ma ripeto, questo proprio volendo trovare il pelo nell’uovo.

Nella ripresa gli ospiti calano leggermente d’intensità, mentre la Est – sulle ali dell’entusiasmo per la vittoria di misura che sta maturando – continua a macinare tifo, suggellando davvero un’ottima performance. Alla fine sono i padroni di casa a imporsi per 1-0, un risultato che lascia aperta ogni possibilità e trasforma la gara di ritorno in un vero e proprio spareggio. Sono certo che i riminesi non si faranno pregare e al Massimino presenzieranno in buon numero. Questa sensazione nasce sulla scorta di quanto detto sopra: la coscienza dei propri mezzi ma anche la voglia di dimostrare quanto la parola ultras da queste parti abbia un valore e – talvolta fuori, talvolta sulle gradinate – vada onorata e posta in primo piano per guardarsi con soddisfazione e vedere il proprio lavoro ripagato. Inutile dire che il clima sarà infuocato anche su fronte etneo, del resto col cammino claudicante che caratterizza il campionato degli uomini di Lucarelli, la Coppa potrebbe essere un passaggio importante per accedere ai playoff e giocare anche qualche gara in meno.

È giunto il tempo di realizzare gli ultimi scatti e poi riporre l’attrezzatura, prima di riprendere il documento e avviarmi verso la stazione. Nel frattempo, a giudicare dal freddo spropositato che avverto, la febbre dev’essere salita. Ma non ho grandi scelte: posso solo aspettare un paio d’ore il mio treno. Un ritorno che, peraltro, non sarà propriamente agevole: Intercity Notte fino a Pescara e da lì primo regionale delle 5:45 per Roma. Ma sapete cosa c’è? Che ancora una volta è proprio il treno a ritirarmi su: il calore del vagone, infatti, mi getta tra le braccia di Morfeo, facendomi riprendere un po’. Certo, oltre sette ore per fare Rimini-Roma sono un tempo alquanto fuori dagli schemi, ma volete mettere col vedere il panorama delle montagne abruzzesi appena arrivata l’alba? In fondo anche queste sono le soddisfazioni di cui si vive facendo su e giù per lo Stivale. L’importante è poterlo sempre raccontare!

Testo Simone Meloni
Foto Simone Meloni e Gilberto Poggi

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