La vigilia della partita fra Cesena e Pescara parte da molto lontano. Prima della sconfitta della Torres a Gubbio giovedì sera, e quindi della concreta possibilità di festeggiare la matematica promozione in Serie B, i biglietti residui della Curva Mare erano stati già polverizzati nel giro di poche ore. L’incentivo è servito forse solo ai più scettici o recalcitranti per portare l’ammontare ai 15.547 spettatori finali. Se n’erano già visti oltre 12.000 contro il Rimini e 14.000 contro la Torres, quindi probabilmente il gran totale non sarebbe cambiato di molto.

La vigilia di Cesena-Pescara parte da ancora prima, dal tiro con cui Lepore del Lecco decide ai rigori la semifinale dei playoff calpestando il sogno bianconero del ritorno in B, costringendo ad un altro lungo anno di purgatorio. A voler essere precisi fino in fondo, questa vigilia risale indietro nel tempo fino al 16 luglio del 2018. Quando l’AC Cesena dopo il fallimento sportivo dell’ultima stagione in cadetteria (conclusa con il ventiduesimo posto e un’annunciata retrocessione, frutto anche di una pesante penalizzazione di quindici punti), fece seguire l’ancor più bruciante fallimento economico, cancellando un’eredità sportiva cominciata nel 1940 e che mai aveva conosciuto tale onta. Riprendersi quel maltolto, chiudere il cerchio di quella maledizione, ritornare in Serie B non è in tal senso un traguardo ma un punto di partenza. Di ripartenza, esattamente da dove si era rovinosamente caduti.

Perfino un procrastinatore cronico come me muove anzitempo alla volta del “Manuzzi”, dove già con largo anticipo notevole è il flusso di persone, auto e mezzi di ogni sorta. Un servizio d’ordine più presente e pesante del solito accentua le difficoltà di movimento. Pure l’ingresso al parcheggio dell’attiguo centro commerciale è chiuso sul lato che affaccia verso il settore ospiti. Evidentemente al fine di limitare gli incroci, i locali vengono dirottati a fare il giro dell’oca per cercare un posteggio in zona. Secondo i dati ufficiali del botteghino, sono 491 i pescaresi attesi e che siano già in loco, frementi di confrontarsi con i dirimpettai e tutt’altro che intenzionati a fare da comparse, lo si capisce dal rumore di bombe carta che squassa l’aria, prima ancora che il settore ospiti li veda ufficialmente apparire.

Dentro c’è fin da subito un colpo d’occhio notevole, la Curva Mare appare quasi del tutto piena quando ampio è il margine che divide dal calcio d’inizio. Presenze ancora risicate nel settore avversario, mentre più lentamente ma inesorabilmente si riempiono tribuna e distinti. Settore, quest’ultimo, dove campeggia lo striscione “Quella maglia che portate è il mio sogno da bambino”, preludio ad una coreografia che saluterà l’ingresso delle squadre in campo: sei copricurva che riproducono altrettante maglie del Cesena, recanti i numeri e i nomi di alcuni grandi protagonisti di questa squadra, provenienti tutti dal vivaio romagnolo: David, Pieraccini, Francesconi, Berti, Giovannini e Shpendi. Non è solo una favola perché quella è buona giusto per la narrazione bulimica di questi tempi. È piuttosto una consolidata tradizione di questa terra, figlia della passione per questo sport, della competenza di chi in piazze piccole come Cesena ha intuito che l’unico modo per giocare al tavolo dei grandi è puntando sui propri piccoli. Quando qualcuno nel recente passato ha provato a giocare puntando tutto quel che aveva e cedendo alle pretese di grandezza, ha appunto cominciato a scavare quella fossa che ha portato al fallimento. Sebastiano Rossi, Lorenzo Minotti, Massimo Agostini, Ruggiero Rizzitelli, Adriano Piraccini, Alessandro Bianchi, Massimo Ambrosini e tanti ancora i nomi passati dalle giovanili bianconere, che a metterli insieme ci si potrebbe fare uno squadrone ipoteticamente capace di competere per l’Europa, dove già tra l’altro il Cesena aveva giocato nel 1976-77, uscendo al primo turno contro il Magdeburgo di Sparwasser.

Facendo un passo indietro, doveroso spendere altre due parole sulla coreografia dei club, certo non trascendentale ma nemmeno trascurabile volendola contestualizzare. Sono davvero pochi gli stadi dove è possibile vedere qualcosa del genere, non organizzato e messo in scena direttamente dagli ultras, e laddove ciò avviene, restituisce anche la portata della fede e della passione per la propria squadra sul territorio. Ripeto, non parliamo di ultras ma meritano comunque tanto di cappello per l’iniziativa, lo sforzo e la riuscita, oltre che per il bel significato.

Di notevole impatto è invece l’irruente entrata in scena dei pescaresi che calano compatti dall’alto. Provocando i locali non solo con gesti inequivocabili ma anche con una pioggia di bombe carta e torce che volano verso il campo. Attirando i fischi e i primi cori contro, amorevolmente ricambiati. Non che servisse, ma l’arrivo degli ospiti aggiunge ancora più slancio ad una gara già di per sé ricca di spunti.

La Curva Mare, oltre che piena è particolarmente carica: i primi cori che si alzano dalla sua parte, sono potenti come solo nelle migliori giornate li si era sentiti. Fra i primi motivi intonati, ci sono quelli per ringraziare Brescia e Stoccarda, presenti oggi al loro fianco. Colpisce l’assenza dello striscione Viking al centro della parte bassa della curva. Colpisce ancora di più “Romagna capitale”, rituale coro del prepartita che richiama e compatta i presenti in una sciarpata più bella e fitta del solito.

In un mondo ultras sempre più propenso a barattare la tradizione per le mode esogene (che poi è pur vero che le mode che si consolidano, diventano col tempo e a loro volta tradizione…), la particolarità dei cesenati è proprio quella di rimanere fortemente ancorati alle proprie radici. Dopo la bella sciarpata, quando le squadre fanno finalmente il loro ingresso in campo, il cuore del tifo cesenate si colora con una corposa fumogenata bianca e nera, tanto per restare nel solco della tradizione. Nulla di eclatante rispetto a quello che la grande occasione poteva far supporre, eppure uno spettacolo che nella sua semplicità è sempre molto bello e ben riuscito. Reso ancora più suggestivo dall’immancabile tappeto di bandiere, bandieroni e due aste che s’è sempre visto in tutta la stagione, in casa e fuori.

Quando l’arbitro dà il via alle ostilità, la contesa fra ultras emette immediatamente scintille, con i pescaresi davvero molto convincenti e costanti in questa prima fase. Cesenati forse un po’ più discontinui ma che chiaramente, quando partono, schiacciano gli avversari. Con la loro potenza numerica ma soprattutto grazie alla partecipazione che quest’oggi è davvero capillare. Lo zoccolo duro al piano superiore è molto più folto del solito ma ancor di più partecipe e vasto è il contributo della parte bassa, che si accoda più del solito ai cori e ai battimani che partono dall’alto. Se alcuni cori come quello sulle note di “Easy lady” di Spagna non sembrano pagare particolarmente (introdotto da poco, non fa presa e i frutti di questo tentativo di “catechizzazione” magari li si vedranno nel futuro…), più proficui sono cori di vecchia data o quelli ripetuti, fra i quali il più riuscito è “Forza Cesena portaci via…”.

Un primo tempo di altissimo livello si chiude con i romagnoli che pur senza strafare, si mantengono sempre abbondantemente al di sopra della velocità di crociera con cui hanno condotto questa stagione, grazie alla fattiva collaborazione generale dei presenti. I pescaresi invece, dopo una mezz’ora clamorosa si sono assestati su livelli più umani, portando a termine un primo tempo davvero ottimo. Specie se si considera la perdurante contestazione al presidente Sebastiani e l’ennesimo campionato mediocre, già da diverse giornate senza più altri obiettivi, se non appendersi al labile filo della speranza che la contorta formula dei playoff può garantire.

Se nel secondo tempo i cesenati cominciano al piccolo trotto, gli ospiti faticano più del dovuto a rimettersi in moto. Forse per aver dato davvero tanto in precedenza o forse perché più di qualcuno si attarda nel tentativo di reidratare le ugole. Ci pensano dunque gli eventi del campo, dove ancora regna l’equilibrio iniziale, a restituire benzina all’entusiasmo. Prima dei padroni di casa, che inanellano un “Bianconeri alé” e successivamente un “Fino alla fine forza Cesena” figli di un paio di incursioni pericolose, che però producono nulla più che tre calci d’angolo.

È invece poi il Pescara a rischiare seriamente di portarsi in vantaggio al cinquantaduesimo: la deviazione su un tiro di Accornero spiazza Pisseri, lascia tutto lo stadio con il fiato sospeso ma si spegne in corner. La sortita biancazzurra influenza parallelamente il ritorno di fiamma dei suoi tifosi che, qualche minuto dopo, fanno segnare un bel “Segna per noi, vogliamo vincere”. Nettamente in calo però questa seconda frazione degli ultras adriatici, che per trovare ulteriore combustibile si affidano ad una serie di cori offensivi, che danno il la ad uno scambio di schermaglie molto piccante fra le due parti. Sulla stessa falsariga, una manciata di minuti dopo sono i cori contro il patron Sebastiani a rinserrare le fila. È uno degli ultimi sussulti, dopo di che declinano lentamente verso il novantesimo, chiudendo il cerchio dei secondi più che sufficienti quarantacinque minuti. Che seguono i primi giri di lancette in cui hanno pienamente espresso tutto il proprio potenziale, ossia quello di una tifoseria che – tanto quanto quella di casa – meriterebbe a mani basse quanto meno la Serie B, se non addirittura tornare a sfidare a viso aperto le grandi del nostro calcio. Vedendola tifare, palpabile è la sensazione di trovarsi al cospetto di una piazza fiera, combattiva e rognosa come poche. Non lo raccontano d’altronde solo questi novanta minuti ma tutto il suo percorso storico. E la storia non mente e prima o poi torna a rimettere in pari i conti e restituire ad ognuno la propria dimensione. O almeno è quello che si augurano gli amanti di quel calcio in cui, oltre al vile denaro e ai giochini dei fondi di investimento, anche la passione del tifo concorre all’ascesa sportiva dei propri sodalizi.

Più lineare il percorso di WSB e soci nel continuo di gara, che vede sì sempre il massimo impegno della parte centrale, ma anche un minor contributo del resto del settore. Incide la tanta la tensione per il risultato in campo che non si schioda. Non cambierebbe molto, si tratterebbe al massimo di pazientare un altra giornata per un destino ormai incontrovertibile. Sarebbe però un peccato per uno stadio vestitosi con l’abito di gala. Si vede, in questo frangente, uno striscione per i diffidati firmato con il simbolo della Gioventù Bellariese, mentre mi colpisce molto, in due diverse circostanze, la scelta dei cesenati di riprendere cori cantati poco prima dai rivali. Forse per dimostrare di saperli e poterli cantare più forte? Non saprei dirlo con certezza, mentre più di una certezza sembra covare la squadra di Toscano in campo. Negli ultimi venti minuti, sospinta più dalla caparbietà che dalla logica, oltre che da un pubblico che non smette mai di crederci, costringe gradatamente il Pescara a cedere terreno. È all’ottantasettesimo minuto che la convinzione fa breccia nel muro costruito dagli abruzzesi guidati in panchina dall’ex Cascione. La provvidenza veste la maglia di Pierozzi che, subentrato una decina di minuti prima, incorna in rete un cross da punizione di Donnarumma. Liberatorio e roboante è l’urlo dello stadio. Da pelle d’oca.

Il tifo che era cresciuto di pari passo con il forcing finale del Cesena, negli ultimi minuti diventa commovente, raggiungendo tratti da brividi. Gli ultimi quattro minuti di recupero sono solo l’anticamera di una festa che al triplice fischio diventa apoteosi, prima di riversarsi per le strade non solo della città ma di tanti altri centri della Romagna. Il rito del “Romagna mia” cantato all’unisono da squadra e tifosi, se possibile, è più bello che mai. Anche la notte romagnola sembra la stessa cantata da Casadei, una di quelle che vede brillare il bianco delle stelle nel nero del cielo. Finalmente ora può tornare a splendere anche il sole. Bentornati!

Matteo Falcone