Meno male che esistono ancora i campionati dilettantistici, con i loro spareggi di fine stagione e, non me ne vogliano i tifosi, le loro nobili decadute che sono in grado di spostare buoni numeri per lo Stivale dando vita ad incontri spassosi e piacevoli come quello di oggi.
Avevo programmato una puntatina in Valdarno non appena visti i possibili accoppiamenti. Vuoi perché al Fedini non ero mai stato, neanche ai tempi della C, vuoi perché gli avezzanesi visti quest’anno mi erano apparsi una tifoseria in buona forma e vuoi anche perché, generalmente, in questi eventi c’è sembra un buon pubblico ed un bell’ambiente. Volevo poi uscire un po’ dal circondario Lazio, Campania, provincia di L’Aquila in cui, per ragioni più che valide, mi ero chiuso ultimamente.
Ai bei tempi si macinavano molto più che gli attuali 700 km a/r per vedere lo spettacolo delle curve ma oggi, con quel poco che rimane e con i tempi di magra a livello economico, oltre al fatto che non ho più 19 anni spensierati in cui la scuola mi permetteva di fare ciò che volevo, devo pensarci più di una volta prima di allontanarmi da Roma. Fatto il preambolo, passiamo al racconto.
Il treno è quello delle 11:10 dalla Stazione Tiburtina. Un orario anche clemente che mi permette di dormire un quantitativo di ore decenti, prima di preparare tutto minuziosamente ed incamminarmi verso la metro. La troppa tranquillità di questa soleggiata mattina capitolina mi fa perdere di vista l’orologio e così, quando sto per prendere la Linea A, mi accorgo che forse è il caso di sbrigarmi, perché dovendo fare il cambio con quella sottospecie di metropolitana chiamata Linea B, che forse neanche Woody Allen ne “Il dittatore dello stato libero di Bananas” avrebbe utilizzato come attrazione speciale, mi rimarranno davvero pochi minuti per risalire in superficie e montare al volo sul treno.
Ed infatti le cose vanno proprio così, però almeno posso dire di avercela fatta. Ora la locomotiva fischia e dal finestrino vedo lentamente scomparire la stazione, le banchine, i passeggeri e tutto il quartiere Pietralata che probabilmente sarà immerso nei suoi mercati rionali, nei suoi negozietti di pasta all’uovo o nei suoi campetti di calcio dove bambini ed adolescenti staranno giocando.
È un paese strano l’Italia. Se ci nasci sei portato ad odiarlo sistematicamente, a criticarlo ed a giudicarne con severità i tanti, e troppi, comportamenti al limite di qualsiasi civiltà che si dica moderna. Ma spesso, quando viaggio ed ai miei lati vedo passare paesaggi stupendi, fatti di montagne a picco sul mare, colline, pianure, fiumi ed opere d’arte, capisco anche perché sia ancora gettonatissimo a livello turistico e non solo.
Mi viene il sorriso quando penso ai molti stranieri che vivono qui per pura scelta e che, a sentirli parlare, hanno sempre da sputar sentenze sull’Italia, sugli Italiani, sul nostro modo regresso di vivere la società. È tutto vero, a tratti pure troppo, per carità. Ma chi ha un animo sentimentalista, in fondo, ama questo paese per quello che è, soprattutto se può permettersi di viverlo a pieno.
Passata Orte in poco tempo arriva l’Umbria prima e la Toscana poi, una distesa di prati e campagne che mi fa pensare a come, in fondo, il contadino di quel casolare o la famigliola di quella villetta poco dopo Chiusi, non se la passino propriamente male rispetto a me che per fare 10 km ho dovuto prendere due metro e per poco non rischiavo di perdere lo stesso il treno. La digressione logorroica pertanto ci sta tutta.
Alle 14 circa ecco arrivare la stazione di San Giovanni Valdarno. Tutto a misura d’uomo in questo piccolo paesino di 17.000 anime. La stazione ordinata, il centro a pochi passi, poca gente in giro all’ora di pranzo e le colline in fiore (probabilmente portatrici sane di buon vino) che lo circondano.
Ne approfitto per mangiare e farmi un giro per il corso e per la piazza centrale. Poi, quando manca un’ora al fischio d’inizio, mi avvio verso lo stadio. Arrivarci non è difficile, basta portarsi sul Lungarno e costeggiare un fiume che appare quanto mai in secca e denutrito.
Un quarto d’ora ed eccomi davanti al Fedini. Lo stadio è piccolo ma accogliente, molti tifosi sono in procinto di entrare, così io ritiro il mio accredito, ben stampato su una copia e consegnatomi alla mano dal segretario della Sangiovannese, e poi eccomi in campo.
Oggi è una giornata importante per il tifo organizzato biancoazzurro, la Gradinata verrà infatti ufficialmente intitolata a Marco Sestini, al secolo Vongolo, storico capo degli ultras toscani scomparso ormai qualche anno fa. Una piccola cerimonia è stata allestita proprio sotto il cuore del tifo di casa e viene applaudita da tutti, compresi i primi tifosi ospiti che cominciano ad entrare nello stadio.
La partita sta per iniziare e lo stadio presenta un buon colpo d’occhio. Mentre lo spicchietto riservato ai tifosi abruzzesi si popola di un centinaio abbondante di supporters biancoverdi. Il caldo picchia come non mai, non sapessi di essere in una vallata dove scorre un fiume, non farei fatica ad immaginarlo, considerando la percentuale allucinante di umidità.
Ecco le squadre spuntare dagli spogliatoi con le due tifoserie che si fanno belle per accoglierle. I Sangiovannesi offrono una fumogenata bianca e blu, colorata da tante bandiere e sciarpe alzate all’unisono, mentre gli ospiti si prodigano in una bella sbandierata condita da qualche torcia.
Come inizio non c’è male, soprattutto se penso alla criminalizzazione che viene fatta nei confronti della pirotecnica in altre sedi. Ed allora, in casi come questi mi chiedo, se una torcia è pericolosa, non lo è anche in Eccellenza? Perché però qua è tollerata ed in Serie A è vista come il male assoluto? Sarebbe bello se ogni tanto chi crea questo genere di allarmismi si ponesse questi quesiti e, a regola, trovasse anche una risposta con nesso logico. Ma dubito che ciò succeda. Tuttalpiù sarebbero capaci di scatenare la caccia criminale anche in questi meandri del calcio.
Se in campo le squadre risentono giocoforza dell’afa, sugli spalti le cose non vanno affatto male. Possiamo tranquillamente dire che le due tifoserie si equivarranno, spartendosi un tempo a testa in cui primeggiano l’una sull’altra, senza tuttavia scendere mai al di sotto della sufficienza.
Partono a razzo gli avezzanesi, che con numerosi battimani ed il continuo sventolio delle loro bandiere danno davvero un bell’effetto, tenendo un paio di cori anche per diversi minuti. I marsicani, come detto in precedenza, hanno fatto vedere buone cose quest’anno, si carpisce ad occhio che la loro è una piazza affamata di calcio ed ha voglia di lasciarsi alle spalle anni di tribolazione ed anonimato. Senza contare che Avezzano vanta oltre 40.000 abitanti e potrebbe tranquillamente occupare un posto nelle categorie professionistiche.
Tanti sono i cori contri L’Aquila e molto belle le manate eseguite da tutto il settore, oltre al continuo utilizzo di torce e persino di qualche bombone che viene immediatamente fischiato dalla tribuna coperta.
Nella ripresa, il tifo avezzanese cala un pochino, rimanendo comunque su ottimi livelli, soprattutto per quanto riguarda la continuità. Da segnalare, peraltro, la presenza dei gemellati fermani al loro fianco.
Capitolo Sangiovannesi. Come detto era la prima volta che me li ritrovavo davanti e devo ammettere di non esser rimasto deluso. Impeccabili sotto il punto di vista del colore, con bandieroni, torce, fumogeni, stendardi e sciarpe. Molto buoni anche sotto il profilo canoro. Si vede che non c’è nulla di improvvisato, ma che a San Giovanni Valdarno esiste una vera e propria base ultras con una sua storia, una sua identità ed una sua tradizione.
Non dimentichiamoci mai che siamo davvero ad un passo da Firenze e che per molti il Franchi potrebbe avere un fascino a cui difficilmente rinunciare, soprattutto se dall’altra parte ci sono i campi fatiscenti e spesso pericolanti dell’Eccellenza. Eppure il gruppo segue regolarmente in casa e fuori, organizzando iniziative e cercando sempre di far valere il nome di questa piccola cittadina in riva all’Arno.
Certo, oggi la giornata ha chiaramente aiutato numericamente e la Gradinata conta all’incirca 250 tifosi in piedi a fare il tifo. Secondo me, almeno inizialmente, ha influito (sembra strano a leggersi forse, ma perché non potete avere la percezione atmosferica del momento) e non poco l’esposizione al sole. Così i biancoazzurri hanno carburato minuto dopo minuto, raggiungendo l’apice nella ripresa con un bel tifo accompagnato dal puntuale suono del tamburo.
In campo il gioco latita, così come le occasioni ed alla fine l’ovvio riassunto è uno 0-0 che non soddisfa i padroni di casa, i quali in Abruzzo dovranno assolutamente andare in gol. Al triplice fischio del direttore di gara, le due squadre si recano sotto i rispettivi settori ricevendo gli applausi dei proprio ultras.
Lontani dalle luci del calcio professionistico si riscoprono i veri valori di questo sport, con il giocatore che, come natura vuole, è semplicemente contento di portarsi vicino a chi lo ha sostenuto per 90’.
Anch’io mi trattengo un po’ all’interno dello stadio nel tentativo di ingannare il tempo che mi separa dal treno di ritorno, che passerà alle 19:40. Bevuto un sano Caffè Borghetti al baretto dello stadio, dove lavora una simpatica coppia che si sofferma a raccontarmi alcune storie circa la città di San Giovanni Valdarno, posso di nuovo riprendere la strada per la stazione.
Ma chiaramente non fila tutto liscio. Il mio Regionale porta un ritardo di ben 40’ e la cosa mi snerva, perché rischio di perdere l’ultima metro utile con la conseguenza di dover prendere il notturno, facendo notte fonda e con la sveglia che la mattina successiva suonerà alle 5.
Comunque nel disagio diciamo che sono fortunato ed il ritardo non lievita ulteriormente. Così il sole comincia lentamente a nascondersi dietro le colline del centro Italia, che nuovamente accompagnano il mio viaggio.
Arrivo a Tiburtina alle 23:15 riuscendo tranquillamente a prendere la metro ed a cambiare con la Linea A. La stanchezza comincia a farsi sentire, così come la voglia di una sana doccia dopo una giornata passata fuori. Mi aspetta l’ultima camminata giornaliera, dalla stazione della metro a casa. Ma in questi casi è sempre un qualcosa che apprezzo.
Il silenzio delle strade mi rilassa prima di mettermi a dormire. Qua non ci sono colline o prati verdi. Ma in compenso, attraversando un grande vialone vicino casa, noto che il comune ha pensato bene di non fare la disinfestazione quest’anno. Risultato? Milioni (e non esagero) di scarafaggi fermi sul marciapiede che mi contemplano quasi a dirmi “Cazzo ci fai a casa nostra?”. Giusto. A ognuno il suo.
Simone Meloni.