Albino – parafrasando De Gregori – è solo una parentesi tra un’attesa e l’altra. Finisce con Broni 30 punti avanti e con la squadra sotto la tribuna a ricevere la formale richiesta dei Viking (l’A1): ritmata, ovvia, naturale, automatica richiesta per una formazione ancora senza macchia in stagione, quasi costretta a una lunga anticamera del sogno fatta di partite con squadre che ci provano e poi si squagliano.
Con il pullman per la partita di ritorno già pieno (Bergamo è ’na passeggiata de salute per gente che è andata anche a Catania, Alghero e, soprattutto, Ariano Irpino, 1600 km praticamente in giornata), con la molto relativa preoccupazione di affrontare una squadra cui hai dato 49 punti in regular season al PalaBrera (più i 31 al ritorno fanno 80: si poteva aver paura di Albino, seriamente?), i Viking nel prepartita si occupano anche di minuto mantenimento. Chi meglio di Gregory per spaccare il lucchettone di cui si era persa la chiave e che bloccava la fondamentale transenna d’angolo? Intorno, umarell preoccupati che tutto si concretizzasse prima dell’inizio della partita, o comunque dell’arrivo del grande vecchio.
Sarà l’unico vero imprevisto di tutta la giornata, eccezion fatta per un paio di botte che rischiano di allungare la lista degli acciacchi e per quei primi 5 minuti di partita in cui, senza la Soli a dirigere l’orchestra, l’Omc sembrava un po’ persa. Ci hanno messo più tempo le ragazze a fare due canestri di fila che Gregory a far saltare il lucchetto. Un segno che a Broni, intorno al parquet dove la squadra domina, ci si arrangia, ma molto molto bene. Il volontariato degli ultras ormai ha assunto contorni mitici (dalle coreografie da serie superiore alle trasferte in doppia cifra, tutto in autotassazione) e in tanti vengono a dare una mano così, per il gusto di partecipare. Tipo Gianfranco il cassiere, che stacca i biglietti e mette in cassa i 5 euri (il suo sorriso invece è gratis, e il cassetto lasciato aperto sembra un segnale in più di benvenuto). O tipo Piero Maggi, che ha ritinteggiato il PalaBrera per la Coppa Italia e che, al centro del campo, prima del match riceve la targa dalla società e un applauso dai compaesani.
In tribuna, gente di quattro generazioni, forse cinque. L’Igino Montagna, l’uomo che ha portato il basket a Broni, può parcheggiare a un metro dall’ingresso e vedersi la partita in campo, nell’angolino vicino alla transenna appena liberata da Gregory, lo stesso passaggio da cui i bambini entrano all’intervallo e a fine partita per correre palleggiare, tirare, rotolarsi eccetera sul parquet. Igino 89enne, quaranta bambini in campo: passato, presente e futuro.
In campo la partita – colpa della superiorità Broni, e un po’ dell’inconsistenza di Albino – non è granchè avvincente. Non ce n’è, Broni è l’Imbattuta e Albino, senza offesa, è l’ottava della classifica, che si sbatte per mantenere un minimo di equilibrio, poi perde dieci palloni di fila (o meglio, è Broni che li ruba) ed è un fiorire di maglie biancoverdi che se ne vanno in contropiede e appoggiano in tabella mentre si aggiorna il pallottoliere.
Nell’angolo a sinistra, si canta e si tifa senza tregua, come se Albino fosse la nazionale russa, e anche questo – un tifo così, un calore così, in un palazzetto sempre pieno – è un fiore all’occhiello che in pochi possono permettersi. Anzi, in A2 quasi nessuno. La voglia di promozione non è solo una questione sportiva, ma anche la maledetta tentazione di esportare il modello Broni in serie superiore, confrontandosi finalmente con palazzetti più grandi, piazze ancor più storiche, pubblici più tosti.
Broni che nutre orgoglio per la sua squadra, Broni dove tifare basket femminile non è una roba da sfigati: «Prima c’è l’amore per Broni, poi quello per il basket – dicono in curva -. Ecco, siamo gente che ama Broni e la pallacanestro. E’ passione
autentica”. Lo si capiva mezz’ora prima della partita, quando il pubblico – ultras, mamme, nonni, bambini, sciure, e anche due cagnoloni – arrivava al PalaBrera alla spicciolata, con quella stessa rilassatezza e al contempo solennità con cui, per dire, nei paesoni si va alla messa.