Ma com’è possibile che tu non sia mai stato ad Andria?”. Una domanda che mi sono sentito porre diverse volte nei giorni precedenti alla mia partenza per la Puglia. È vero, per quanto possa sembrare assurdo considerati i miei tour spesso “esotici”, non ho mai avuto modo di vedere tra le mura amiche una delle tifoserie con più tradizione nel panorama ultras meridionale. La cosa che mi faceva più rabbia era che ogni qual volta puntavo una partita della Fidelis succedeva qualcosa: trasferta vietata, porte chiuse, orari improbabili e – ovviamente – emergenza Covid. Anche quest’anno era iniziato sulla stessa falsariga con il match contro l’Avellino cerchiato in rosso sul calendario ma poi saltato. Quindi non mi è rimasto che scegliere la prima partita interessante, prenotare il treno con lauto anticipo e impormi di andare qualunque cosa fosse successa. E alla fine la scelta è stata più che soddisfacente!

Grazie al ripescaggio di questa estate i biancazzurri hanno ritrovato la Serie C a distanza di tre anni e con una nuova società. Non ditemi che sono monotematico ma come mi succede spesso per il calcio, i miei ricordi e i miei approcci sono legati alle figurine Panini. In questo caso vado a ripescare l’album 1997/1998 e con nitida memoria vedo lo stemma della Fidelis, quel leone simbolo del comune di Andria e quell’ottagono che rappresenta Castel del Monte. E poi un nome che da piccolo mi ha sempre incuriosito. Manco a dirlo, in una gita di famiglia con destinazione Carnevale di Putignano, il primo pensiero nella sosta effettuata presso la bellissima fortezza fatta edificare da Federico II di Svevia, fu proprio alla squadra allora allenata da Giuseppe Papadopulo. Ma questo penso sia un “danno cerebrale” di cui molti calciofili sono stati vittime nelle proprie vite.

Se l’appellativo Fidelis riverbera alla perfezione il legame e le influenze lasciate dalla dominazione sveva, il nome dello stadio richiama a un’altra grande primizia di questa terra: l’oliva. Il che significa olio. Elemento della nostra cucina davanti cui buona parte del Mondo può solo togliersi il cappello e riconoscerne la manifesta superiorità. Questo per rimarcare quanto sport, tradizione, storia e appartenenza non smettano mai di permearsi gli uni con gli altri. E non a caso quando visito un nuovo stadio o una nuova città cerco in tutti questi elementi le risposte alle mie curiosità al fine di farmi un’opinione a trecentosessanta gradi su ciò che i miei occhi vedono.

Arrivando al Degli Ulivi molto trafelato devo rimandare al dopo gara ogni considerazione sul bel parchetto in cui lo stadio andriese è immerso. Sebbene provi una certa emozione nel varcare i cancelli di un impianto che conserva appieno tutto il suo fascino e che oggi sarà gremito in ogni ordine di posto, salvo i Distinti ancora inagibili. Sinora conosco il pubblico andriese soltanto in versione trasferta e malgrado tra le due tifoseria esista una solida amicizia stasera ho un bel banco di prova per saggiarne le capacità. Il motivo è presto detto: l’inizio di campionato non è stato affatto semplice per gli uomini di Ginestra che occupano il penultimo posto pur essendo reduci dall’inaspettato successo di Pagani. Inoltre arriva il Bari e questo vorrà dire settore ospiti sold out e tifosi biancorossi presenti un po’ ovunque. Quindi, su sponda andriese, mi aspetto tutto l’orgoglio necessario per ribadire ancora l’attaccamento della tifoseria ai propri colori e il tentativo di trasmettere questa grinta a una squadra che, sulla carta, sembra aver poche possibilità contro un’avversaria finora quasi impeccabile nel suo cammino (anche se una delle poche sconfitte è arrivata proprio contro la Fidelis, ma in Coppa Italia).

Per il tifo organizzato barese è la prima trasferta dopo due anni. Gli ultras biancorossi infatti sono rientrati sulle gradinate solo una settimana prima, nella vittoriosa sfida contro la Vibonese. Per loro è la seconda volta in quel di Andria, le due sfide precedenti sono datate 1992/1993 e 1993/1994, entrambe finite con un pareggio a reti bianche. C’è ovviamente entusiasmo per una squadra che sembra aver imboccato la giusta strada per la promozione, anche se ogni campionato fa storia a sé e la Serie C rimane una kermesse tosta e piena di sabbie mobili a cui prestare attenzione per non venir risucchiati. Soprattutto in un girone come quello di quest’anno, con piazze e squadre abituate a ben altri palcoscenici.

Le due squadre fanno il loro ingresso sul terreno di gioco e su ambo i lati prende forma una bella sciarpata “condita” da un discreto utilizzo di torce flash. Avvertire l’odore della pirotecnica è sempre un qualcosa di primordiale. Probabilmente uno di quei cavilli che ancora mi tiene attaccato allo spettacolo delle gradinate, più che a quello degli undici in campo per il quale ho perso tanto dell’interesse di un tempo. I due anni di inattività sembrano non aver minimamente scalfito i baresi, anzi. Certo, il risultato aiuta, il primo posto pure. Ma non è poi così scontato vedere un intero settore tifare per tutti i 90′ alternando voce, torce, bandiere e una sciarpata finale davvero da dieci e lode. Peraltro da segnalare l’assenza di materiale dei gruppi sulla vetrata ma un solo, unico, striscione: “Il nostro è un giorno che non avrà mai fine”. Un messaggio che affonda le radici nella storia del tifo barese e che qualche scafato curvaiolo ricorderà affisso sui vetusti e gloriosi spalti dello stadio Della Vittoria.

Se per gli ospiti la serata parte e finisce come una festa per la Nord biancazzurra c’è da mettersi l’elmetto e scendere in trincea. La squadra sembra non dare segni di vita e già nel primo tempo incassa due reti, che nella ripresa diventano tre solo perché il Bari decide di smorzare i ritmi e preservare le forze. E qui entra in scena l’orgoglio di una curva che negli anni si è sempre contraddistinta per senso di appartenenza e seguito. Gli ultras della Fidelis ci sono e si fanno sentire a gran voce durante tutto l’arco della giornata, riuscendo a trascinarsi dietro buona parte dei presenti anche a risultato acquisito. Dal sapore retrò la coreografia a inizio secondo tempo con tantissime “stelline” accese a illuminare la curva e una sciarpata finale che racchiude tutto l’orgoglio dei tifosi di casa. Non scopro certo io gli andriesi ma trovandomeli per la prima volta di fronte tra le mura amiche posso solo avere la conferma del loro spessore.

Al triplice fischio ci sono ovviamente mugugni verso una squadra rea non tanto di aver perso, quanto di non aver profuso l’impegno richiesto, anche in virtù del prosieguo del campionato. Ci sarà da sudare per conquistare la salvezza, questo appare più che scontato.

A pubblico sfollato non mi resta che immortale i Distinti vuoti dietro cui fa capolino una bella luna piena e poi concedermi un lungo giro per le piazze e le viuzze di Andria in attesa del mio pullman. A tal proposito resto sempre sorpreso nel vedere come in questi paesoni del Sud la sera ci sia tanta voglia di uscire e ci siano sia famiglie e ragazzini per strada. Non sarà come qualche lustro fa ma da queste parti credo che abbiano mantenuto un po’ di quella sana voglia di aggregazione “stradaiola” che può solo far bene alla crescita personale. Questa analisi spiccia e pure un po’ qualunquista (sic!) la faccio mentre divoro panzerotti e focaccia tra i bei vicoli del centro storico. Mettendo un perfetto punto sulla giornata.

Simone Meloni