Qualcuno, prima di questa partita, ha scritto: “La gente del Matusa, non gli spettatori dello Stirpe“, evidenziando una differenza sostanziale, che spesso e volentieri funge da vero e proprio spartiacque tra ciò che fu nel vecchio impianto frusinate e quello che è nel nuovo stadio Casaleno. Tradotto: sentimento, tigna e anima al servizio della causa giallazzurra, in uno degli appuntamenti più importanti degli ultimi decenni della storia calcistica dei ciociari. L’appuntamento per suggellare una crescita sportiva iniziata ormai tanti anni fa: il mantenimento della massima categoria. Cosa che non è riuscita nelle due precedenti occasioni, quando il Frosinone – de facto – salutò la Serie A con lauto anticipo. Di fronte un’Udinese che, come poche volte negli ultimi trent’anni, rischia seriamente il declassamento e raggiunge la Ciociaria seguita da circa mille tifosi, un vero e proprio esodo per il popolo friulano. Non ci si gioca scudetti, coppe o piazzamenti europei. Bensì la sopravvivenza, cosa a volte molto più importante di qualsiasi lustrino.

Certamente di fronte si ritrovano anche due modi ormai distanti di fare calcio: il club granitico, marchiato famiglia Pozzo – perfetto nel programmare e fare mercato – che aveva impressionato l’Italia tra la fine degli anni ’90 e la metà dei duemila, ha lasciato spazio a un ondivago vivacchiare nella zona destra della classifica, con campionati anonimi se non addirittura pericolanti. Mentre dall’altra parte si può senza dubbio parlare di un “modello Stirpe”, creato dal presidente frusinate lentamente e in maniera oculata. In grado di dare alla società fondamenta solide che ormai da anni la fanno oscillare tra le prime due categorie, un settore giovanile all’avanguardia, uno stadio costruito con le proprie forze e una comunicazione mai pomposa o prosopopeica, come si dimostrerà anche al termine di questa giornata. Considerata l’approssimazione e lo sperpero in cui il calcio italiano sovente versa, va sicuramente evidenziato il modus operandi dei laziali, mosca bianca assieme a pochissime altre realtà.

Tornando all’incipit dell’articolo, ammetto che il passaggio dal Matusa allo Stirpe anche per il sottoscritto ha rappresentato una vera e propria linea di demarcazione. Troppo abituato a vivere con trasporto gli stadi vecchio stampo e genuini e sempre poco incline ad accogliere con gioia nuove gradinate, che talvolta uccidono quell’aria popolare e “rozza” di cui gli spalti edificati a inizio ‘900 erano capaci. C’è poi un dato che credo sia alquanto incontrovertibile: i successi, le promozioni e l’andamento sportivo condizionano anche la composizione di una tifoseria. Se da una parte sono fondamentali per avvicinare nuove generazioni e far consolidare una fedeltà che sarà utile soprattutto nei momenti bui, dall’altra avvicinano anche una fetta di pubblico “dalla bocca buona”, che poco si confà alla trincea e allo sporcarsi le mani. Succede a Frosinone, come ovunque. Sebbene abbia sempre evidenziato quanto il trend del club ciociaro dovrà essere sfruttato al meglio per creare nuove generazioni di tifosi esclusivamente del Frosinone, che non strizzino l’occhio – come poteva comprensibilmente accadere nei decenni passati – alle big.

La Leganella sua classica miopia e nella sua consueta mancanza di rispetto dei tifosi che seguono la squadra in trasferta – ha deciso di far disputare la gara dello Stirpe ed Empoli-Roma alle 20:45, creando ovviamente grandi problemi per l’organizzazione dei supporter friulani, chiamati a tornare a casa il lunedì mattina, in virtù dei 707 chilometri di distanza tra le due città. Quando arrivo in città, con abbondante anticipo sul fischio d’inizio, le strade sono tutto un brulicare di sciarpe e bandiere giallazzurre, con la gente che staziona nei vari chioschi, attendendo l’arrivo della squadra. Una pratica molto frequente ai tempi del Matusa, quando nei pressi della stretta rotatoria davanti alla Nord si assiepavano centinaia di persone, brandendo sciarpe e fumogeni. Oggi l’importanza della posta in palio si può senza dubbio paragonare alle partite con il Lecce nel 2014 (promozione in B) e a quella con il Crotone, l’anno successivo, che valse il primo, storico, approdo in A. Il torpedone passa venendo inghiottito dalla pirotecnica, con tanti bambini che, sulle spalle dei loro padri, sognano di giocare ancora una volta all’Olimpico, a San Siro e al Maradona.

Diversi manifesti sono stati affissi dalla società nelle due tribune e in Curva Sud per coordinare una coreografia composta da cartoncini, mentre in Nord anche gli ultras hanno organizzato qualcosa, indicando ai presenti i comportamenti da adottare per non vanificare il lavoro. Nel settore ospiti, alla spicciolata, prendono posto i tifosi bianconeri, tra i quali spicca la presenza dei ragazzi di Arezzo. Di contro, tra le fila ciociare, da menzionare messinesi e olbiesi, storici gemellati. I primi cori si levano durante la fase di riscaldamento, con i presente che sanno bene dovranno esser sintonizzati su due campi. Il risultato del Castellani, infatti, può decidere inesorabilmente la corsa salvezza: con una vittoria dell’Empoli e un pareggio o una sconfitta dell’Udinese, i friulani sarebbero in B. Mentre in caso di sconfitta dei giallazzurri e vittoria dei toscani sarebbero i primi a trovare il baratro della cadetteria. Mio parere personale: tutti conosciamo come vanno certe cose nel nostro calcio, pertanto si deve puntare esclusivamente sulle proprie forze. Anche perché, gettando uno sguardo alla squadra di Di Francesco, avere a disposizione due risultati su tre è un vantaggio non indifferente. Maturato al termine di un campionato pieno di luce nel girone di andata e colmo di ombre in quello di ritorno, dove i ciociari hanno sprecato una caterva di punti. E pur partendo favoriti si ritrovano al cospetto di due squadre navigate, che “sanno come si fa” in queste circostanze.

Le due squadre sbucano dagli spogliatoi e in Nord i cartoncini vanno a formare la scritta TI AMO, con lo striscione “Nel guardarti mi togli il fiato come la prima volta”. Di contro, gli udinesi si mettono in mostra con una fitta sciarpata, in cui spicca uno storico stendardo con Asterix degli Ultras 1995. Era stato fatto già a fine anni ’90 (se non ricordo male stagione 97-98) tutto a mano. Era stato scelto Asterix e il loro villaggio in quanto rispecchiava un po’ loro. Pochi, confinati in un angolino, ma testardi, orgogliosi del proprio essere e pronti a tutto per difendere la propria terra. Oltre a questo tanti altri due aste che danno al settore davvero un bel tocco di colore. Caso vuole che una delle più belle prestazioni dei friulani di cui ho memoria sia legata proprio a Frosinone, sebbene al vecchio Matusa, ancora lui, quando nella stagione 2015/2016 si presentarono in buon numero impressionando per colore e costanza del tifo. Ma su di loro credo davvero che incida particolarmente la distanza da percorrere in ogni trasferta e l’anonimato calcistico in cui versano ormai da diversi anni. L’impronta data alla Nord negli ultimi tempi ha reso, potenzialmente, i bianconeri una delle migliori tifoserie in A se si parla solo di sostegno, colore e approccio curvaiolo. Il materiale sempre curato e le pezze portate da una parte strizzano l’occhio all’Europa germanofona, mentre dall’altra gli ultras sono stati capaci di rilanciare alla grande il modello italiano. Un mix che, in queste situazioni, produce davvero performance degne di nota.

E se per gli ospiti c’è da evidenziare la bella prestazione, altrettanto occorre fare per il pubblico di casa e in particolar modo per la Curva Nord. Quello che non mi ha mai convinto dello Stirpe è la grandezza del settore e il disperdersi del sostegno, causato anche dalla distanza tra la parte centrale e i gruppi posti alle estremità. Oggi, senza dubbio, questa distanza è stata colmata dalla partecipazione di tutti i presenti. I supporter ciociari sapevano di dover dare tutto e l’hanno fatto, malgrado l’esito finale si sia rivelato per loro drammatico: tante manate a tutto settore, cori a rispondere e canti tenuti a lungo, ben forgiati dai lanciacori. L’onda emozionale legata dapprima ai risultati provenienti da Empoli – dove gli azzurri vanno in vantaggio facendosi poi riprendere dalla Roma – e poi alle molteplici occasioni mancate dal Frosinone, sono un po’ lo specchio della stagione ciociara. E come da antica regola non scritta del calcio, alla fine sono gli ospiti a passare in vantaggio con Devis. Una rete che arriva quando al Castellani permane ancora una situazione di parità e che, con il passare del tempo, lascia sempre più intendere che il campo su cui riporre tutte le speranze non sarà lo Stirpe. Quando gli uomini di Di Francesco sembrano a un passo dalla storia, Niang gela tutti segnando il 2-1 per l’Empoli e spedendo in B il Frosinone. Una rete che getta nello sconforto tutti i tifosi presenti e che risuona come un’atroce beffa. C’è chi se la prende con la Roma e chi rinfaccia ai giocatori giallazzurri i punti persi durante tutto l’arco della stagione. L’Udinese è salva e corre sotto al proprio settore per festeggiare, trovando l’abbraccio dei propri tifosi, che tra un coro e l’altro invitano anche Pozzo a mollare la presa.

Per i giocatori di casa ci sono ovviamente fischi, figli di una grande delusione. A margine dell’incontro il presidente Stirpe si presenterà ai microfoni prendendosi tutte le responsabilità dell’insuccesso e non recriminando su niente. Un comportamento senza dubbio avulso da quel grande baraccone del calcio dove presidenti, allenatori, giocatori e dirigenti cercano sempre di fare scarica barile. Un comportamento che ancora una volta pone l’accento sul modo di fare calcio del club laziale, lontano da determinate dinamiche e sempre alla ricerca di una “sostenibilità” molto difficile da promuovere e difendere nel nostro Paese. Certo, i risultati sportivi sono – alla stregua di tutto – quello che conta e quello che restituisce a un progetto il proprio peso specifico e il proprio valore. Se i giallazzurri non sono mai riusciti a mantenere la categoria è ovvio che manchi quel passetto in più, ma è altrettanto ovvio che il sistema costruito da Stirpe da ormai oltre un decennio fa scuola e lascerà radici solide al proprio passaggio.

Finisce con il deflusso silente e deluso dei padroni di casa e il settore ospiti ancora impegnato a cantare e saltellare. Complessivamente mi viene da dire che queste gare, ancora oggi, rappresentano quel poco che resta dell’anima vera della nostra massima serie, sempre più difficile da trovare nella parte sinistra della classifica. Mi rimetto in macchina quando ormai è calata la notte, riprendendo lentamente la strada del ritorno, con le luci dello stadio che si allontanano. Fino a sparire. L’ultimo atto di questa Serie A è andato in archivio. La “gente del Matusa“, invocata da quel qualcuno, in fondo ci ha provato. Ha provato a essere ruvida e “scortese” per tutti i novanta minuti. Ovviamente, anche solo per la conformazione dello stadio, il risultato non poteva essere totalmente aderente ai propositi. Ma se dal cuore dei gruppi ultras riuscirà ad arrivare una spinta, se – come avvenuto in parte quest’anno – si comincerà a lavorare sul seguito, anche su quello in trasferta, Frosinone potrà contare sul suo bacino, composto anche da parte della provincia, che nei colori giallazzurri si identifica. La B del prossimo anno, almeno per chi mastica ultras, metterà i ciociari di fronte a piazze storicamente rivali e a tifoserie di livello. Senza contare che la dimensione del club è ormai palesemente cresciuta, attestandosi tra una solida cadetteria e alcuni tentativi di massima divisione. E in un Paese dove la costanza calcistica è sempre falcidiata da fallimenti e “porcate”, questo è in assoluto un punto di ripartenza.

Simone Meloni