Dopo il solito posto di blocco all’uscita di Genova ovest per i controlli della polizia, arriva l’ok per partire direzione Marassi.
Si arriva alle 14.40. Scendo, mi stacco dal gruppo (senza nessun problema con la sicurezza), faccio una corsa per fare il biglietto ed entro 5 minuti prima dell’inizio della partita, appena in tempo.
La curva del Genoa è già al completo, con bandiere di diverse misure situate soprattutto nella zona centrale della gradinata nord inferiore. Bandiere che, per tutta la partita, non hanno mai smesso di sventolare, con qualche interruzione solo per far vedere alcuni quali “Ciro tieni duro” o “Brugos c’è”.
Nella parte superiore ci sono altre scritte come “Benvenuta Giulia”, “Vicini al dolore di Carola e Riccardo”, “Benvenuta Camilla”. Sopraggiungerà un altro, in un secondo momento, che occuperà quasi tutto il settore e poi rimarrà esposto per tutta la partita: “Milanetto in società è un disonore per la maglia e per la città… cacciamo l’infame”. Obiettivo, facile capire, l’ex calciatore rossoblu e la paventata ipotesi di un suo ingresso in società.
A livello di tifo non sono continui, forse anche perché la squadra non ha ormai più nulla da chiedere al campionato. Tra i cori, si staglia netto ed ottimo un “Napoli-Napoli” in nome dello storico gemellaggio che dura da anni.
Il settore del Bologna, disposto nei distinti superiori, è quasi completo (circa 700 persone). Presenti tutti i gruppi con tante, tante pezze. Per citarne solo alcune: Bgv, Ctb, Freak Boys, Vecchia guardia, Mods, Urb, Settore ostile e tanti altri minori.
Per tutta la partita non hanno mai smesso di cantare, una pausa di soli 5 minuti, verso la fine del primo tempo, poi un’infinita di cori diversi per incitare la squadra
A Genova sono le 17 quando l’arbitro fischia la fine. I giocatori del Bologna si guardano sconsolati, alcuni si accasciano a terra, stravolti, mentre quelli del Genoa incassano il feroce disappunto dei sostenitori di casa e, dopo un fugace cenno di saluto alla nord, riparano negli spogliatoi. Scene già viste mille volte in una classica e mediocre partita di fine stagione della Serie A italiana.
Poi nel settore ospiti succede qualcosa di inedito. È un attimo brevissimo, vivido, indimenticabile. Un lanciacori si alza per l’ennesima volta e grida “Fino al 90°, siamo il 12°, Bologna alé…”. L’urlo contagia le gradinate in pochi secondi, il coro dilaga, diventa assordante, rimbomba nella pancia di un Marassi annoiato che si sta svuotando.
I giocatori del Bologna che stavano guadagnando il tunnel si fermano, si cercano: sei o sette di loro raggiungono la metà campo e indicano lo spicchio felsineo. “Hai visto quelli là?”. E cominciano ad applaudire. I calciatori che applaudono i tifosi. Prima uno, poi tutti. Antonsson si batte la mano sul cuore, Lazaros arriva con la tuta, Krhin è incredulo e quasi spettinato.
Il coro aumenta ancora, reso più fragoroso dai piedi che battono sulle scalette metalliche; sventolano tutte le bandiere dei gruppi e qualcuno alza la sciarpa al cielo. Sono le 17:10, la partita è finita da un quarto d’ora e forse, a decifrare le lacrime di Natali, è finito anche il campionato del Bologna.
Kone e l’accompagnatore della squadra Sanfelice sono gli ultimi a lasciare il campo, sempre con lo sguardo fisso al settore. Increduli. C’è ancora tempo per un altro coro, mentre i genoani indugiano e osservano il triste giorno dei loro dirimpettai che, con orgoglio e dignità, salutano il campionato ormai perduto.
Fabio Bisio e Marco Pirani.