Come ogni anno a primavera, il FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano organizza delle aperture straordinarie di luoghi a valenza culturale di solito non accessibili al pubblico. Il FAI è una fondazione senza scopo di lucro nata nel 1975 per tutelare e valorizzare il patrimonio storico e paesaggistico italiano. Nella settimana precedente gli eventi la mia compagna Barbara, cui devo il merito di queste visite, essendo un’appassionata di questi incontri cerca di attirare la mia curiosità con le visite programmate nella nostra regione. Diverse e molto significative ma essendo fortunatamente molto curioso, spulciando i beni visitabili nelle regioni limitrofe scopro che nelle Marche, fra questi cosiddetti “luoghi del cuore” aperti al grande pubblico, c’è anche lo stadio “Riviera delle Palme” di San Benedetto del Tronto. Penso fra i denti che era ora che qualcuno se ne accorgesse dell’importanza di uno stadio per la sua comunità, ma non faccio in tempo a perdermi in recriminazioni perché, con mio grosso stupore, nella lista figura anche lo storico vecchio stadio intitolato ai “F.lli Ballarin”. Devo uscire e rientrare nel sito per accertarmi di non stare sognando e subito dopo parte la macchina organizzativa che include, come risarcimento morale alla mia compagna, altri siti FAI in zona oltre ad una cena ed un pranzo fuori. Il minimo per una così bella scoperta!

Ottimo in fase di pianificazione il sito del FAI che per ogni posto visitabile, oltre ai più canonici orari di apertura e chiusura, fornisce una serie di altre informazioni sulle tempistiche delle visite oltre ad ampie sintesi dei vari complessi. Partenza il sabato mattina e nonostante l’alzataccia riusciamo a visitare vari luoghi in zona che andrebbero recuperati ed aperti stabilmente al pubblico. Nel pomeriggio invece, venendo a questioni di più stretto interesse, è la volta del nostro primo “monumento” calcistico che è il “Riviera delle Palme” incluso nel percorso “Architettura da Premio”. Noi frequentatori degli stadi siamo da sempre sostenitori soprattutto dell’idea di conservare questi templi laici così importanti, ma dopo tanto è ancora più importante che finalmente anche qualcun altro si sia accorto del loro valore e dell’importanza di tramandarlo alle future generazioni assieme alle storie e alle vicende di cui sono stati teatro. Troppo riduttivo considerarli oggetti inanimati o vecchi ruderi: spesso anche una semplice gradinata si fonde con il tessuto sociale di quella città e degli abitanti che ne fanno parte.

Della prima visita e della prima struttura, qualcosa già conoscevo essendoci stato diverse volte a vedere la Sambenedettese come inviato della nostra testata, quindi conoscevo già alcuni posti interdetti al pubblico normale. È stato comunque interessante sentire parlare i volontari del Fai che assieme ad altri volontari delle scuole del comprensorio, tutti molto giovani ma altrettanto preparati, hanno colmato le curiosità di ragazzi, adulti e bambini dal loro pulpito della tribuna centrale dove io stesso vidi un Sambenedettese-Sanremese di Coppa Italia di qualche anno fa.

Dalla necessità che portò alla costruzione di questo nuovo impianto al modello di costruzione con tutte le varie storie legate all’inizio e fino al completamento dei lavori, sono passati a raccontare dell’inaugurazione nella partita contro il Milan dell’agosto 1985 e, senza snobismo di sorta, si è menzionata anche la Curva Nord, tempio del tifo, intitolata a Massimo Cioffi di cui hanno rievocato la sfortunata vicenda personale che portò l’intitolazione del settore allo storico ultras rossoblu.

Il passaggio successivo è stato nella sala stampa, dove hanno parlato diverse persone riportando, oltre alle informazioni più strettamente tecniche o storiche, anche tante altre curiosità molto interessanti. Ha parlato infine Luigi Cagni il cui messaggio, seppur registrato, ha trasmesso tutte le emozioni di un ex giocatore e bandiera della Sambenedettese in cui ha giocato dal 1978 al 1987, i cui trascorsi a San Benedetto sono passati soprattutto per il catino dello stadio “Ballarin”, con l’accento sulla “a” come usano pronunciare qui nelle Marche. Poi è la volta degli spogliatoi, prima quello degli ospiti e subito dopo quello dei locali, ed infine la possibilità di entrare in campo e calcare il terreno di gioco, dove un discorso di commiato ha chiuso questa interessantissima visita.

L’indomani, dopo il Palazzo Piacentini nel vero centro storico di San Benedetto, in alto rispetto al resto della città, ci dirigiamo in zona porto dove è situato lo storico impianto intitolato ai fratelli Ballarin, Aldo e Dino, giocatori del Grande Torino periti nella tragedia di Superga. A fare gli onori di casa Valentina, volontaria FAI, che dopo una breve introduzione passa la parola alle guide dell’Istituto Superiore Fazzini-Mercatini di Grottammare che dopo aver parlato del nome dello stadio e della gesta della Sambenedettese su questo campo a cui le tribune erano addossate incutendo timore agli avversari, hanno poi parlato della zona del porto dove lo stesso si trova, passando infine per le tragedie di cui il “Ballarin” è stato teatro, come quella del portiere Strulli nel 1965 o del più famoso rogo del 1981. A conclusione, l’ultima partita giocata nel 1985 e poi il suo abbandono fino all’attuale situazione, con diversi comitati ed associazioni che reclamano un fattivo recupero per quel che questo luogo ha significato nella vita di tante persone. E tra tutti, la Curva Nord è fra quelle che più di tutte si sono battute affinché se ne conservasse la struttura e la storia, attraverso manifestazioni, dibattiti, lotte e materiale (famosa la maglietta con la scritta “La storia non si demolisce”).

Al termine di questo interessante percorso, seduti sotto un gazebo, incontrano il pubblico Franco Chimenti e Nicola Ripa: il primo, nativo di Bari, ha giocato con la Samb dal 1972 al 1980 ma ne è stato anche allenatore in diverse e distinte occasioni, miglior marcatore dei rossoblu in serie B e talmente innamorato della città da fermarcisi a vivere; il secondo è invece nativo marchigiano, di Porto Sant’Elpidio ed anche lui ha giocato nella Samb ininterrottamente dal 1970 al 1976 e poi nella stagione 1979-80 per poi allenare seppur brevemente le giovanili. Prendono corpo racconti sui loro trascorsi a San Benedetto, le giocate, il clima del Ballarin e parlano anche della Curva Nord e dell’Onda d’Urto, il suo gruppo più famoso.

Dopo diverse chicche, aneddoti e curiosità, la parola passa ad Antonella Roncarolo, nipote di Domenico Roncarolo, storico presidente del sodalizio dal 1948 al 1966 che riporta vari episodi della vita dello zio che catapultano in un’epoca dove il calcio, lungi da ogni intento retorico, aveva sicuramente un retroterra di motivazioni ben più ampio ed ideologico del business spregiudicato a cui sembra unicamente orientato il pallone attuale.

In ultimo si approfondisce la storia del rogo avvenuto nel 1981, con due morti e sessantaquattro ustionati, per quella che viene considerata ad oggi la più grande tragedia accaduta in uno stadio italiano, ricordata anche da un murales sul muro di cinta che raffigura Maria Teresa Napoleoni e Carla Bisirri, le due sfortunate vittime di quella che doveva essere solo una giornata di festa. Altri murales della squadra, dello stadio, della tifoseria sono impressi nella parte interna del muro, ma restano tante domande inevase dall’amministrazione presente e passata sullo stato di salute di questo stadio.

Ho avuto il piacere ed il privilegio di vederlo per ben due volte e di ammirarne le due tribune con le due curve ancora integre, anche se fatiscenti, e di fronte a tanti positivi intenti di recupero e valorizzazione mi chiedo come si sia potuto permettere di demolire una tribuna ed amputarne l’altra? Siamo proprio sicuri che non si poteva recuperare per intero la tribuna, senza eludere i dubbi con i triti e ritriti discorsi sul degrado e sulla sicurezza delle persone a chiudere ogni dialogo?

Ulteriore conferma viene dal giro esterno che faccio spontaneamente, al di fuori del tour concertato a livello istituzionale e dal quale rilevo, nei pressi di entrambe le curve, calcinacci ed oggetti abbandonati che restituiscono cosa possano intendere le amministrazioni per preservare un bene collettivo. Ovvero se non c’è guadagno diretto ed immediato non c’è investimento. Un approccio miope, senza alcuna visione del lungo periodo e mortificante anche per l’impegno di quelle persone che, come nell’occasione odierna, hanno dimostrato di poter creare un indotto e un processo virtuoso legato a questi luoghi della memoria collettiva. Sarranno mai premiati queste persone e con loro chi in questi posti custodisce parte della propria storia personale e collettiva? Per ora il massimo sforzo profuso a livello politico, è la targa “Parco pubblico” mentre per il resto, non ci si può che augurare che l’oblio e il disinteresse della burocrazia non finisca per cancellali del tutto dalla toponomastica, nominalmente e fisicamente. Ben vengano queste manifestazioni come questa organizzata dal FAI che tramanda ai più giovani quello che è stato un pezzettino di storia degli anni passati, calcistica e non solo, ma che oltre alla tradizione orale che si tramanda di padre in figlio, come si suol dire, necessità di qualcosa in più delle parole di vuota propaganda di chi di dovere.

Marco Gasparri