L’ultima vittoria dell’Ascoli al Curi di Perugia risaliva al 22 settembre del 1985. Il dato interessante non è tanto quello statistico, quanto che autore di quel successo fu un certo Massimo Barbuti, autore di una tripletta. Per chi non lo ricordasse, Barbuti è il celebre (almeno per noi malati di queste storie di calcio) ex attaccante del Parma che, esultando per un gol realizzato contro la Carrarese in Serie C1, si aggrappò alla rete dove campeggiava lo striscione dei Crusaders facendola letteralmente crollare, mentre sia lui che i supporter emiliani continuavano incuranti ad esultare. Un’istantanea che ci dà bene l’idea di come fosse inteso un tempo questo meraviglioso sport. Per la precisione, Barbuti, con la maglia dei marchigiani, fu fondamentale per la promozione in Serie A del 1986, in cui l’attaccante realizzò ben 14 reti.

Come ebbi modo di dire due anni fa, quando seguii la stessa partita al Del Duca, Perugia-Ascoli è un confronto d’altri tempi, che giocoforza richiama alla mente casacche sporche di fango, battaglie epiche in due degli stadi che più amo in assoluto e trasferte sanguigne, condite da una rivalità che un tempo, molto più di oggi, assumeva chiari connotati politici. Per farla breve, anche il solo contrasto tra le divise biancorosse e quelle bianconere mi affascina e con grande piacere mi preparo per raggiungere il capoluogo umbro. Rigorosamente in treno, con le sue due ore e mezza da Roma che ti danno ancora quel senso di sana lentezza, utile ad ammirare il verde paesaggio del Centro Italia, squarciato di tanto in tanto dalla superstrada E45, anch’essa compagna di tanti viaggi in questi anni.

Lungo la strada ferrata, poco prima che il convoglio arresti la propria corsa, non posso non buttare un occhio alla stazione di Ponte San Giovanni. Ai più non dirà nulla, in realtà ogni volta che ci passo mi viene in mente Serse Cosmi, nato e cresciuto da queste parti, in questa frazione che viene bagnata dal Tevere. L’uomo del fiume, come è intitolata la sua biografia, era solito raccogliere lungo il corso delle acque le canne che generalmente vi crescono, per utilizzarle come aste di bandiera da esibire in Curva Nord. Inoltre Cosmi, con la squadra locale, il Pontevecchio, riuscì nell’impresa di conquistare cinque promozioni consecutive, portando i rossoverdi dalla Prima Categoria all’Interregionale. Uno può provare simpatia o meno per le squadre chiamate in causa, ma se si amano il calcio e tutte le sue sfaccettature antropologiche, non si possono non apprezzare storie simili. Un po’ come, per l’appunto, quella di Massimo Barbuti.

Perugia mi accoglie con un bel sole primaverile ed essendo alquanto presto, mi concedo un giro nel vecchio stadio Santa Giuliana. È una fissa che da un anno a questa parte mi ha letteralmente pervaso. Visitare gli impianti in disuso, spesso decadenti e abbandonati, per avere ancor più il tatto di dove mi trovi e di come il calcio sia inteso sin dagli albori. Come tutti gli stadi di una volta, anche questo è ubicato a due passi dal centro, proprio sotto Piazza Partigiani, da dove le numerose volte che sono stato qui ho usufruito delle scale mobili per raggiungere il bellissimo centro storico della città. Senza mai sapere che proprio là, a dieci metri, erano rimaste in piedi un paio di tribune a testimoniare una struttura storica, abbandonata a metà anni settanta per trasferirsi al Comunale di Pian Massiano, poi Renato Curi. Meglio tardi che mai.

Quando mancano un paio d’ore al fischio d’inizio riscendo a valle, superando la stazione di Fontivegge e arrivando in breve tempo nei pressi dello stadio. C’è già un buon via vai di gente. Il Grifo sta attraversando un buon momento e, a prescindere da questo, Perugia è una di quelle città in cui la squadra di calcio è una vera e propria istituzione. I tifosi biancorossi sono passati per fallimenti e annate grige, soprattutto nell’ultimo decennio, ma questo ha rafforzato la loro fede, come attestano i numeri dei campionati disputati in Serie D o in quelle che furono la C1 e la C2. Basta entrare nei bar e nelle attività commerciali del resto, ovunque ci sono foto di giocatori con la maglia biancorossa, dai mitici Imbattibili al Perugia di Gaucci, l’ultimo ad aver disputato la Serie A, togliendosi anche diverse soddisfazioni.

Ritirato l’accredito posso portarmi verso gli ingressi. In quest’anno ho imparato, anche involontariamente, a confrontare sempre gli stadi che visito con la penuria repressiva dell’Olimpico. E anche qua, fondamentalmente, provo tanta invidia ma anche un forte piacere nel vedere come pratiche consolidate in decenni di tradizione curvaiola, siano bene o male ancora accettate, dallo striscione, alla bandiera, passando per i tamburi. E di fatto i tifosi arrivano alle entrate con una relativa tranquillità, vivendo il calcio ancora come un momento di aggregazione e divertimento. Sarebbero cose che non andrebbero neanche sottolineate, ma quando si è abituati a vedere una tale, vigliacca, distorsione della normalità, ci si fa per forza caso.

La Curva Nord registra davvero un buon colpo d’occhio, mentre le tribune sono mediamente occupate. Nel settore ospiti i dati ufficiali parlando di 600 tagliandi staccati sugli 800 a disposizione, tuttavia il contingente piceno farà il proprio ingresso per intero soltanto a partita iniziata. Nel frattempo gli ultras biancorossi si sono già esibiti in una bella sciarpata sulle note dello storico inno, scaldando successivamente i motori con cori ben eseguiti e cantati da tutti i presenti.

Ovviamente il salto di qualità si ha con l’arrivo degli ultras marchigiani. La sfida ora si infiamma anche delle schermaglie dialettali tra le due fazioni, che di certo non se le mandano a dire. I sostenitori del Picchio si dispongono per verticale, attaccando le proprie pezze e gettando un paio di fumogeni in campo, atteggiamento che richiama ai vecchi tempi che furono, quando il fischio d’inizio era sempre rimandato di qualche minuto per far pulizia del materiale pirotecnico piovuto sul manto di gioco.

Se in campo il match è chiuso, con il Perugia che inizialmente amministra per poi perdere propulsione con il passare dei minuti, sulle gradinate il confronto è di ottimo livello. Dicevamo della Curva Nord, che con i suoi occupanti che indossano sempre una maglia o una sciarpa della propria squadra, fornisce un impatto visivo molto bello, foraggiato anche da un sostegno che non mancherà per tutta la gara. I bandieroni sempre sventolati, le manate e i coristi che spronano il settore a non mollare mai, fanno da contraltare a una partita che vede l’Ascoli imporsi, abbastanza sorprendentemente. E l’apprezzamento è proprio per non aver mollato nonostante la sconfitta. Di questi tempi, con le curve spesso trascinate dal risultato, anzichè il contrario, merita assolutamente menzione.

Su fronte ascolano, dopo una settimana turbolenta in seguito alla rovinosa sconfitta interna patita per mano del Vicenza, c’è voglia di mettere da parte i problemi e fare semplicemente il tifo per il Picchio. E la cosa riesce più che bene. Se personalmente avrei optato per una disposizione differente, più protratta verso il basso, per il resto dei 90′ i bianconeri sono davvero inappuntabili. Cori tenuti a lungo, fumogeni, canti a rispondere eseguiti con un’ottima intensità e belle esultanze in occasione dei due gol. Insomma, un copione perfettamente rispettato che ha messo in evidenza l’ottimo stato di forma della Curva Sud, cui va dato atto di esser stata capace di uscire da un periodo non felice, riconducibile all’ultimo anno di Serie B prima della retrocessione.

Con questa vittoria l’Ascoli di Devis Mangia può essere più tranquillo, mentre per Bisoli le probabilità di agganciare la zona playoff si fanno sempre più ristrette. Nonostante ciò al termine del match ci sono applausi da ambo le parti e questo fa sempre piacere. Non tanto per un ipocrita discorso di sportività che interessa davvero il giusto, a me che scrivo come al pubblico che legge, ma perché dà un bel contorno a una giornata segnata da una storica rivalità e un tifo degno della Serie B dei tempi che furono.

Non resta che riprendere tutto il materiale e avviarsi verso la stazione. Il sole è ancora ben alto in cielo e faccio giusto in tempo a salire sul treno, che già lo stesso si muove alla volta di Roma. Altra traversata, stavolta trascorsa interamente a dormire, e altro ritorno verso casa dopo un pomeriggio intriso di calcio, storia, tifo e tradizione. Componenti imprescindibili per godere in maniera ottimale dello stadio e dei suoi tifosi.

Simone Meloni.