Quando l’urna dice Finlandia, un brivido percorre la schiena di molti habitué del palcoscenico europeo. E non è dovuto solo all’idea di trovare temperature rigide, quanto più alla suggestione di affacciarsi in un posto insolito, null’affatto rinomato per il calcio. Ma che proprio con il calcio assume connotati ancor più affascinanti. Peraltro la Roma può vantare un solo precedente con squadre finniche: l’ottavo di finale della Coppa Uefa 1991/1992 giocato contro l’Ilves Tampere (1-1 in trasferta e 5-2 all’Olimpico). In quell’occasione uno sparuto manipolo di ultras capitolini presenziò regolarmente (facendosi anche notare con un paio di torce accese durante il match). Trasferta stoica, anche considerati gli elevati costi dell’epoca per questo genere di viaggi.

Per raggiungere Helsinki organizzo una logistica tutto sommato semplice: aereo fino a Tallinn e da lì traghetto il giorno successivo. Approfittando dei soli 80 km di Mar Baltico che dividono le due città. Nella sua fluidità è un percorso interessante, che mi dà modo di buttare un occhio anche sulla capitale estone, finora ancora mancante alla mia lista. Un gioiellino, raccolta in poco spazio e resa godibile dal suo centro medievale e dalla sua tranquillità (forse anche eccessiva). Visitabilissima in un giorno, Tallinn si conferma appieno una città baltica. Distante – come le “sorelle” Riga e Vilnius – dalle tipiche conformazioni delle ex conurbazioni sovietiche, lasciando ampiamente intendere che la sua storia, sin dalle radici, abbia sempre avuto molti legami con la parte nord-occidentale del continente. Intendiamoci, la dominazione russa ha lasciato in eredità molto, dai cibi agli influssi linguistici. Ma il fatto che Estonia, Lituania e Lettonia siano stati tra i primi Paesi a rendersi indipendenti dall’URSS e, successivamente, ad adottare l’Euro, la dice lunga sulla loro forma mentis. Così come la sovrabbondanza di bandiere ucraine (esposte veramente ovunque) e la miriade di cartelli anti Putin affissi sul cancello dell’ambasciata russa, suggeriscono un rapporto tutt’altro che amichevole con quelli che per quasi sessant’anni hanno avuto giurisdizione sul territorio estone.

Ma sullo scontro etnico estone/russo bisognerebbe scrivere un articolo a parte, molto più serio e profondo rispetto a questo. Sarebbe sufficiente ragionare sul fatto che nel Paese, ormai da diversi anni, esiste una frattura resa quasi inconciliabile anche da scelte relative alla cittadinanza (diviene cittadino estone solo chi è nato nel 1940, prima dell’invasione sovietica, e i suoi discendenti; chi è nato dopo il 1991 o chi riesce a superare il complicatissimo – quasi impossibile – esame di lingua estone). Effetto collaterale di questo scontro è addirittura l’assegnazione di due diversi passaporti: blu per gli estoni, grigio per gli altri (russi e russofoni, che a oggi sono circa il 30 percento della popolazione). A prescindere dai torti o dalle ragioni, a fronte del grande sviluppo economico dei Paesi Baltici, la deriva sociale intrapresa è sicuramente complessa e difficile da appianare, almeno nel breve termine. La storia ha lasciato ed esercita tutt’oggi strascichi pesantissimi.

Varcando il Mar Baltico

Chiusa la parentesi Tallinn, quando, l’indomani, la sveglia suona alle 4:30, è tempo di riprendere lo zaino in spalla e dirigersi al porto. Una breve camminata e sono a destinazione. La mia nave salperà alle 6 e solo una grande forza di volontà mi permette di non addormentarmi davanti all’imbarco, dove davvero poche persone mi fanno compagnia. È buio pesto e prima delle 8:30 non si vedrà uno spiraglio di luce. Che poi, considerato il grigiore e l’infima pioggerellina trovata, anche parlare di luce è assolutamente relativo. In compenso sul traghetto, i pochi presenti pensano bene di sorseggiare birre e vodka, facendo felici gli assonnati baristi e regalandomi una grande lezione di antropologia. Curiosità: queste immense navi che con un paio d’ore fanno la spola tra Estonia e Finlandia, sono dotate anche di cabine. Cosa che inizialmente mi risulta alquanto inspiegabile, ma che grazie all’imbeccata di un amico avrà successivamente una delucidazione: chi vuole può passarvi la notte, utilizzando il natante a mo’ di hotel, sfruttando queste stanzette e dormendo, di fatto, sulle soffici acque del Baltico.

Una volta sbarcato su suolo finlandese non mi resta che prendere il tram numero 7 per raggiungere l’ostello. Il clima è freddo ma non rigido, tutto sommato sopportabile e ben lontano dall’idea media che possiamo avere di questi posti. Helsinki non è certo annoverata come una delle città più belle del Nord Europa, con il suo centro moderno e le sue costruzioni avveniristiche. Parliamo della Capitale di un Paese molto particolare, almeno per quella che è la storia socio culturale europea. Malgrado la vicinanza e la similitudine nella bandiera, la Finlandia non è per nessuna ragione uno Stato Scandinavo. Da questi differisce per corso storico, sviluppo sociale e linguistico.

Basti pensare che a queste latitudini si parla una lingua che non appartiene al ceppo indoeuropeo, bensì a quello ungro-finnico (parlato, per l’appunto, anche in Ungheria), mentre le lingue parlate in Svezia, Danimarca e Novergia vengono classificate da molti come le madri di tutte le altre lingue nord europee (tra cui inglese e tedesco). Questo, in realtà, ci dice molto sulla storia di questo popolo e sulle sue origini, discendenti con tutta probabilità da migrazioni provenienti dall’Asia Centrale. Resta comunque molto diffuso l’uso dello svedese e anche il russo, che risale dapprima nella dominazione subita (fu proprio sotto di essa che la città divenne Capitale, spodestando Turku) e poi nella forte emigrazione dagli ex Paesi socialisti.

Questo per dire cosa? Che sul tram ci metto cinque minuti a realizzare dove scendere e cosa fare, a causa di scritte che davvero non trovano neanche la minima familiarità con le più note lingue parlate nel Vecchio Continente. Il mezzo, peraltro, attraversa proprio il cuore della città, lasciandomi una prima impressione su di essa e dandomi modo di vedere centinaia di persone laboriosamente per strada, intente a recarsi nei vari posti di lavoro. Mentre io, da buon italiano, aspetto nullafacente col mio zainone l’arrivo della fermata!

A causa del fuso orario (un’ora in avanti) la partita si giocherà alle 22, ora locale. Se da un punto vi sta climatico non è il massimo, il risvolto della medaglia è il poter avere diverse ore a disposizione per girare la città.

Ora, diciamoci la verità: Helsinki non è propriamente una città che ti rimane nel cuore. O meglio, credo la cosa possa essere molto soggettiva. Se si è amanti di un certo tipo di architettura, perlopiù moderna, sicuramente il soggiorno assume degli spunti molto interessanti. Se generalmente si amano le città d’arte, camminare in mezzo ad antichi e sfarzosi palazzi, a nicchie che preservano storie e tempi memorabili, beh forse non è il posto più adatto. C’è da dire, tuttavia, che parliamo di un centro urbano relativamente giovane (e anche di moderate dimensioni: seicentomila abitanti a fronte dei dieci milioni totali del Paese, concentrati ovviamente quasi tutti nella zona meridionale), fondato da Gustavo I di Svezia “soltanto” cinquecento anni fa. L’importante, quindi, credo sia sempre interpretare positivamente l’esperienza.

La capitale finlandese ti lascia un’importante senso di operosità e di perenne movimento, una vitalità bella e spumeggiante, in cui spiccano decine di locali alla moda e saune, posizionate un po’ in ogni angolo.

E per gli amanti della storia e delle sue implicazioni belliche, resta ammirabile la fortezza di Suomenlinna, posta su un arcipelago di sei isole al largo della città e costruita dagli svedesi a metà settecento, con l’intento di arginare eventuali attacchi russi. In verità alla prima offensiva di questi ultimi (1808) l’apparato difensivo si arrese senza troppa opposizione, decretando il passaggio della Finlandia sotto il controllo di Mosca.

Verso lo stadio

Quando il vento prova a soffiare più forte, nel tardo pomeriggio, capisco che è il momento di avviarmi verso lo stadio. Lascio alle mie spalle strade e parchi di Helsinki, lascio dietro di me la visione solitaria del mare con qualche spensierato cane che si perde all’orizzonte rincorso dal padrone. E allora subentra il fattore calcistico, che anche in questa occasione ha funzionato da trait d’union per conoscere posti e città nuove e approfondire le radici del tifo e della passione calcistica, anche da queste parti.

Con le sue 32 Veikkausliiga conquistate, l’HJK (Helsingin Jalkapalloklubi) veste i panni del club più importante del Paese. Unica squadra, finora, ad aver partecipato alla fase finale di una Champions League (stagione 1997/1998, ultimo posto nel girone con 5 punti conseguiti, frutto di due pareggi e della storica vittoria contro il Benfica). Mentre con le italiane ci sono sette precedenti: sei sconfitte e una sola vittoria, maturata nel 2014 contro il Torino.

Va detto che rispetto al passato il calcio finlandese ha fatto dei passi da gigante, raggiungendo per la prima volta la qualificazione alla fase finale di una rassegna internazionale in occasione di Euro 2020 e sfornando tutta una serie di buoni giocatori che sono riusciti, almeno in parte, a farsi largo in un’opinione pubblica che difficilmente andava oltre Jari Litmanen. In un Paese dove ha sempre spopolato l’hockey su ghiaccio e in cui, nel passato, si era poco investito sulle strutture calcistiche, da qualche anno la sfera di cuoio sembra aver preso il sopravvento. Nei campi amatoriali come nel professionismo.

Un’evoluzione che ha ovviamente acceso l’interesse anche negli stadi, dove lentamente si sta creando un movimento aggregativo degno di nota. Rispetto alla vicina Scandinavia il tutto sembra ancora essere in fase embrionale, ma almeno per quanto concerne i club più celebri e titolati (Turku, Tampere, Helsinki, Valkeakoski, Espoo, Lahti, giusto per citare alcune delle località più note dal punto di vista del football) gli ultras hanno messo radici e oggi rappresentano una parte integrante dei fine settimana calcistici (anche se non vanno dimenticati i gruppi attivi e validi anche nel panorama hockeistico). Come già menzionato nell’articolo sul match di andata, i supporter dell’HJK sono recentemente balzati agli onori delle cronache per le turbolenze scatenate in occasione del derby cittadino contro i rivali dell’HIFK, “rei” di aver bruciato davanti ai loro occhi lo striscione del gruppo portante (Klubpaati) evidentemente rubato in precedenza. Incidenti che hanno costretto l’arbitro a interrompere il match dopo soli dieci minuti e alla polizia di intervenire con una certa solerzia, tra uno stuolo di fumogeni e bombe carta.

Piccola curiosità su questa stracittadina: l’HIFK (tornato in prima divisione nel 2015 dopo quasi cinquant’anni di assenza) vanta sette scudetti all’attivo e nei primi decenni del calcio finlandese è stato uno dei club più autorevoli. Il sodalizio biancorosso ha sempre strizzato l’occhio alla forte comunità svedese, tanto che il suo nome per esteso (Idrottsföreningen Kamraterna) deriva proprio da questa lingua. Posizione che, invece, è sempre stata in contrapposizione con l’HJK, fiero rappresentante della “finlandesità” (passatemi questa italianizzazione).

La sfida di questa sera si giocherà alla Bolt Arena, piccolo e grazioso gioiellino con diecimila posti a disposizione. Una capienza limitata che ha prodotto più di qualche grattacapo ai tifosi ospiti, per i quali teoricamente sono stati messi a disposizione solo cinquecento biglietti. Il “teoricamente” deriva dal fatto che qualcuno è riuscito ad acquistare tagliandi di altri settori mentre qualcun altro si è affidato ai… bagarini!

Già, proprio loro. Bagarini in Finlandia. Peraltro tranquillamente attorno allo stadio e di fronte a steward e polizia locale. Un “lavoro” che sembra aver conosciuto una seconda giovinezza da quando l’ineffabile Uefa ha spinto i club a vendere i biglietti solo ed esclusivamente online. Un atto di generosità estrema da parte del maggior organo calcistico europeo, bravo a mettere una piccola pezza alla piaga della disoccupazione. Anche in zone dove il lavoro non manca. This is fair play!

Se da una parte qualcuno si augurava la scelta dello Stadio Olimpico, situato proprio dietro la Bolt Arena e con una capienza di 40.000 spettatori, dall’altra mi rendo conto che giustamente l’HJK abbia voluto giocare nella propria casa, con il proprio pubblico raccolto e senza regalare altro a un’avversaria già molto più forte sulla carta. Io sono sempre per l’autodeterminazione di ogni squadra. Ove possibile è bello e giusto giocare fra le mura amiche e non trasformarsi in entità erranti, snaturando la propria anima.

Che l’embrione ultras sia vivo anche da queste parti lo si capisce dai tanti adesivi sparsi sia per la città che nei pressi dello stadio. Quando ci si comincia ad avvicinare al fischio d’inizio, inoltre, numerosi ragazzetti con indumenti North Face e vestiario simil casual affollano il perimetro dell’impianto. Ok, le facce non saranno di quelle inquietanti e, in fondo, si capisce che sono bravi ragazzi e che di strada ne hanno ancora tanta da fare, anche solo per arrivare almeno ai livelli della vicina Svezia, però il seme è stato gettato e qualcosa sembra prossimo a germogliare.

Ovviamente in Finlandia un prefiltraggio, un tornello vero e proprio e un biglietto nominale non sanno neanche cosa siano. E, aggiungo, i tagliandi vengono venduti anche a prezzi più che onesti (settore ospiti 20 Euro). Mettiamola come ci pare, loro non avranno un retroterra decennale di intemperanze che hanno costretto il governo a intervenire e sicuramente il tifoso da queste parti ha un’indole meno vibrante. Ma il dato di fatto è che andare allo stadio non equivale a rinchiudersi in una gabbia ed esser trattati spesso e volentieri da bestie. Ah, malgrado parliamo di uno stadio moderno, la parte commerciale è praticamente assente. Segnalo giusto il negozio ufficiale del club.

Sapete cosa mi ha dato davvero da pensare alle differenze tra noi e loro? Il fatto che a 100 metri dall’impianto, presso il palazzetto dello sport dove generalmente l’HIFK di hockey su ghiaccio disputa le proprie gare interne, ci fosse un concerto degli ABBA, col tutto esaurito. Vi immaginate, ora, un Prefetto o un Questore italiano nel dover organizzare lo stesso giorno e alla stessa ora una partita internazionale di calcio e il concerto di un gruppo storico della musica mondiale? Penso che piuttosto vieterebbero tutti e due gli eventi, chiedendo all’Osservatorio (feat. Trenitalia e Autogrill) parere sul rischio della giornata e mandando i NAS a cercare qualche borsone con coltelli e spranghe nei pressi dello stadio (ma anche del palazzetto, almeno potrebbero farneticare sulla volontà di qualcuno di uccidere Agnetha Åse Fältskog).

Bando alle ciance, con l’approssimarsi del fischio d’inizio le gradinate vanno riempiendosi. I supporter giallorossi espongono minuziosamente tutto il loro materiale, in una giornata che rappresenta una tappa storica per il tifo romanista: il 27 ottobre del 1972, infatti, nascevano i Boys. Gruppo tutt’oggi attivo e che, malgrado il passare degli anni e delle generazioni, ha saputo evolvere ed uscire dai momenti di crisi.

Quando le due squadre fanno il loro ingresso in campo, la curva di casa si colora dapprima con bandierine bianche e blu e poi si illumina a giorno, accendendo contemporaneamente moltissimi flash. Sì, so cosa state pensando: che anni fa mai avreste immaginato di vedere una torciata nella terra di Babbo Natale. Ma tant’è. Anzi, a queste latitudini ormai è normalità. Della pirotecnica ne hanno fatto una battaglia di principio e, almeno per il momento, riescono a mantenere livelli buonissimi.

E il tifo? La curva dell’HJK non sfigura affatto, realizzando una discreta prova canora e colorandosi di tanto in tanto con belle sbandierate. Certo, la partecipazione dello stadio è quasi nulla e l’intensità dei cori a volte risulta un po’ “moscia”. Però parliamo pur sempre di un popolo la quale indole non è esattamente eccessivamente festaiola. Sarei curioso di vederli in una gara di campionato, quando giocoforza il numero dei presenti cala (la media è di circa 3.800 spettatori) e l’appeal non è certo alto come in una sfida europea. Complessivamente, comunque, sono promossi. Magari da rivedere le presenze in trasferta, considerati i numeri scarni portati all’Olimpico.

Il settore ospiti, come detto, fa registrare il sold out. Una presenza che si può considerare la migliore – quantitativamente e qualitativamente – di tutte le tre gare disputate fuori casa in questo girone. I romanisti sfruttano uno stadio praticamente attaccato al campo e un settore logisticamente comodo per organizzare il tifo, realizzando davvero una buona prova canora e mostrandosi ancora una volta in un discreto periodo di forma. Se è vero che i numeri sono relativi rispetto alla materia umana, è altrettanto vero che portare circa mille persone così lontano da casa, in piena settimana, con un viaggio non propriamente economico, non è per nulla scontato.

L’unico appunto, generico, che mi sento di fare è relativo alle sciarpe: se tutti ne portassero una, al momento del classico “Roma, Roma, Roma” si creerebbe un vero e proprio muro giallo ocra e rosso pompeiano. Ma forse anche questo fa parte della maniera molto “tribale” di vivere per i capitolini.

In campo la Roma fatica oltremodo ma alla fine riesce a espugnare la Bolt Arena per 2-1, grazie alla doppietta di Abraham. A nulla serve il gol di Hetemaj, ex conoscenza del calcio italiano.

Ci sono applausi da ambo i fronti. La squadra di Mourinho dovrà giocarsi la qualificazione nell’ultima giornata contro il Ludogorets, tra le mura amiche. Mentre l’HJK, malgrado l’ultimo posto, ha dimostrato di lottare, onorando l’impegno e dando lustro al calcio nazionale.

Cala il sipario

Rimango ancora qualche istante sulle gradinate, prima di raggiungere la fermata del tram e dirigermi verso il mio ostello. Adesso il freddo si è fatto più pungente e a camminare al mio fianco, a pochi metri dalla fermata, ci sono di nuovo i ragazzi della curva di casa. Attaccano adesivi contro l’HIFK sui pali e continuano a canticchiare, anche loro in attesa del mezzo per tornare a casa.

Cammino in solitaria per gli ultimi metri, sceso dal tram. Fermandomi prima in un supermercato h24 per non restare a secco di acqua. L’indomani sarà ancora traghetto. Ancora una vista sul Mar Baltico. Grigio, unito alle nuvole dal riverberarsi della luce e scaldato dalla marea di gente che stavolta affolla l’imbarcazione. Ci sono italiani, ma ci sono anche tanti locals armati della solita vodka ma anche di gin tonic, tanto per non farsi mancar nulla.

Tallinn è a un tiro di schioppo e il suo aeroporto per me dovrebbe significare ritorno a casa. Peccato non aver fatto i conti con Wizzair: quasi quattro ore di ritardo sul mio volo per Napoli e praticamente parte della nottata da passare nella stazione ferroviaria del capoluogo campano, in attesa del primo treno utile per Roma. La stanchezza è talmente tanta da passare in secondo piano, probabilmente travolta dall’adrenalina del viaggio.

Cala il sipario anche su questa trasferta. Consegnando agli archivi una storia da raccontare e qualche scatto da mostrare a chi coraggiosamente arriverà fino alla fine di questo articolo. In attesa che il prossimo aereo decolli, il prossimo treno si muova su binari e la prossima nave salpi da qualche porto disperso per il globo. La mia nave, quella che nell’immensità del mare si porta storie, aneddoti e nuovi mondi da conoscere.

Simone Meloni