Quando per la tua mente una cosa è normale ed assodata, questa può anche non accadere per anni e addirittura decenni, ma appena si ripresenta non sembra poi così strano osservarla, ascoltarla e raccontarla. Un po’ come se lasciassimo in un angolo sperduto di casa una scultura in marmo ritrovandola dieci anni dopo. Sarebbe uguale, ed i suoi panneggi assieme alle sue particolarità ci sembrerebbero assolutamente normali, non sorprendendoci. Così una partita come quella tra Battipagliese e Cavese, derby a tutti gli effetti, senza divieti e restrizioni può sorprendere a livello di notizia, vista l’ormai totale e cieca chiusura verso i tifosi del calcio, ma vivendola ed osservandone gli sviluppi non ha nulla di eclatante. Proprio perché per la stragrande maggioranza degli anni da quando il calcio è nato, questa è stata solamente la prassi.

Per godermi la giornata di straordinaria normalità mi presento abbastanza presto alla stazione Termini. Il mio Regionale Veloce viaggia come una spada lasciandosi alle spalle le nuvole della Capitale e conquistando di chilometro in chilometro il sole del Golfo di Gaeta. Arrivo a Napoli Centrale per mezzogiorno affrettandomi verso la Circumvesuviana dove, come da percorso ormai consolidato in queste occasioni, il vetusto convoglio bianco e rosso mi porta fino a Pompei.

Ad accogliermi c’è l’immancabile Emilio assieme al suo motorino. Ed eccoci ancora qua, in questo scenario Ninodangelesco a fare su e giù per la strada Nazionale prima, godendoci il panorama del mare che si apre dopo Cava de’ Tirreni, e lo strano ipoaffollamento della Salerno-Reggio Calabria poi. Si parla di ultras. Poi di tifoserie. E poi anche di gruppi del passato. Una varietà di temi ampia ed invidiabile insomma.

Non sono mai stato a Battipaglia ed i miei ricordi della squadra bianconera sono legati soprattutto al periodo della sua militanza in Serie C1. Tempi in cui eravamo ancora minimamente inclusi in questo sport ed aveva senso seguirne le sorti.

Non nascondo che il Pastena da fuori mi fa tutt’altro che una bella impressione. Addirittura inizialmente lo scambio per un palazzo e probabilmente non ci fosse stata l’indicazione in cima con scritto Stadio Comunale, avrei chiesto maggiori informazioni ad Emilio.

Attorno all’impianto ci sono già diverse camionette di polizia e carabinieri. Ciò mi fa sorgere la legittima domanda se divieti e trasferte libere siano frutto davvero di una qualche logica. Prendiamo ad esempio proprio i cavesi, ai quali ormai da anni è interdetta la trasferta di Agropoli e negli ultimi due anni invece è stato concesso di venire a Battipaglia. Due rivalità ben diverse e con fattori di rischio assai differenti. È la chiara dimostrazione di come a comandare, in questo genere di decisioni, siano solo ed elusivamente questure e prefetti.

Sicuramente Battipaglia, che rispetto ad Agropoli è un centro più grande, può contare sulla maggiore disponibilità da parte degli agenti nel prestare servizio d’ordine allo stadio dietro un compenso straordinario. Una vera e propria dittatura insomma, parliamo di un sistema paragonabile al Daspo, dove, a decidere se un cittadino può spostarsi da un’area comunale all’altra per vedere la propria squadra di calcio, non è una legge o una sentenza di un giudice ma bensì la volontà degli organi di polizia. Un po’ come chiedere ad un minatore se preferisce andare a scavare a un chilometro di profondità o ad una decina di metri sotto al suolo.

Prima di entrare vediamo i pullman con gli ultras della Cavese sfilare davanti ai nostri occhi verso il settore ospiti. Alla fine la questura ha optato comunque per il percorso naturale e non, come si era paventato, facendoli uscire ad Eboli per poi tornare indietro.

Una volta ritirati i nostri accrediti passiamo nella pancia dello stadio per sbucare in campo. Le tribune dell’impianto battipagliese sembrano veri e propri colossi. Alte, addirittura a tre piani, e spioventi. Il Pastena fu inaugurato nell’agosto del 1988, in occasione di una storica vittoria per 5-1 contro i rivali della Salernitana in Coppa Italia di Serie C, ed ai tempi era probabilmente una costruzione alquanto avveniristica. Con i suoi 10.000 posti andava a sostituire il vecchio Sant’Anna, appena 3.500 spettatori di capienza. Quest’ultimo campo è stato riutilizzato dalle Zebre quando, dopo il fallimento, sono ripartite dai bassifondi del calcio campano.

Bando alle ciance, le due tifoserie stanno facendo il loro ingresso nei rispettivi settori. Ufficialmente i biglietti venduti a Cava de’ Tirreni sono 496, anche se una volta schierati nel settore tenderei a quantificare i tifosi biancoblu attorno alle 400 unità. Un grande numero lo stesso, facciamoci capire.

All’entrata vedo sfilare tanti ragazzi con sciarpe, bandieroni e tamburi. Non lo nascondo, per lo stile di tifare che hanno, ho sempre avuto un debole per i metelliani. È il senso di appartenenza a colpirmi ogni volta. Si vede, anche oggi che a Cava ci sono state spaccature e frizioni tra varie linee di pensiero, che c’è comunque un intento comune, quello di sostenere la propria squadra sempre ed ovunque.

A chi vorrebbe gli ultras fuori dagli stadi e le famiglie allo stadio, inviterei dapprima a leggere le conversazioni sulla pagina Facebook della Cavese, dove tanti padri dicevano di voler portare il proprio figlio nel settore con gli ultras per farli divertire, e poi gli donerei qualche scatto di oggi. Su 400 presenti possiamo tranquillamente dire che 350 erano appartenenti alla tifoseria organizzata. Senza di loro non ci sarebbe quello spettacolo che anche i giornali nei giorni precedenti avevano invocato. Questo è sempre bene specificarlo.

Un biglietto d’entrata a 6 euro, una partita senza tessera e con la libertà di portare tamburi, fumogeni e striscioni, avrà sempre, e sottolineo sempre, più spettatori e soprattutto più entusiasmo di una in cui questi elementi sono vietati. Un po’ come se da bambini avessimo avuto due campi sotto casa dove giocare a calcio, in uno si poteva stare tranquillamente tutto il giorno autoregolamentandosi, mentre nell’altro c’era la stretta sorveglianza condominiale che ti impediva di giocare in determinate fasce orarie, ti impediva di usare il pallone in cuoio e via dicendo. Secondo voi dove saremmo andati a giocare?

Nel settore di casa sono circa un centinaio a compattarsi dietro lo striscione Battipagliesi. I bianconeri già nel prepartita fanno sfoggio di torce e fumogeni e non risparmiano provocazioni agli avversari. È il clima derby, quella tensione bella ed essenziale per vivere al meglio il calcio. Meglio di qualsiasi Juventus Stadium, di qualsiasi buffet accanto alla poltroncina mentre si vede la finale di Coppa dei Campioni e di qualsiasi trofeo alzato dopo aver pagato 50 euro per una curva o un settore ospiti. È il calcio.

Si avvicina il momento del fischio d’inizio con i vari scambi di offese. Quando le due squadre mettono piede sul terreno di gioco da parte battipagliese va in scena un assoluto spettacolo pirotecnico, con torce e fumogeni accesi a go-go. Purtroppo il vento riduce la durata di tale show, ma non ne disperde la bellezza visiva. Un rarità di questi tempi. Un giorno qualcuno ci spiegherà anche perché se accendo un torcia tra i professionisti è un qualcosa di punibile e pericoloso mentre tra i dilettanti è, generalmente, un atteggiamento tollerato ed anche condiviso dai media.

Il tifo entra subito nel vivo con i padroni di casa che, nonostante l’inferiorità numerica sugli spalti e la pessima prestazione della propria squadra, faranno il loro dovere per tutti i 90’ mantenendosi sempre su buoni livelli con manate, sbandierate, un paio di sciarpate e tanti cori ritmati dal tamburo.

Dall’altra parte i cavesi non hanno bisogno di presentazioni. I bandieroni sempre in alto e tanta voce in gola accompagna gli undici in campo. Anche qui chiaramente la pirotecnica non è un optional e se nel primo tempo gli aquilotti si limitano, per così dire, ad accendere torce su torce accompagnate da qualche bombone, ad inizio ripresa rispondono ai rivali con una fumogenata multicolore. Un qualcosa molto in voga nelle curve italiane tra gli anni ’80 ed i ’90. A memoria ricordo soprattutto i bergamaschi essere veri e propri maestri in ciò, gli stessi l’hanno peraltro riproposta poco tempo fa.

Altro punto di forza dei biancoblu, a mio modo di vedere, è l’originalità dei cori. In un momento di piattezza cronica come questo è bello sentire basi musicali inedite e non le solite litanie che spesso odiamo di stadio in stadio, il più delle volte perché malamente storpiate.

In campo la Cavese trova il doppio vantaggio già nel primo tempo e la reazione dei padroni di casa nella ripresa, spinti anche dai propri ultras che cercano di spronarli, è tanto caotica quanto evanescente. Al triplice fischio sono così i metelliani a festeggiare, con il tipico ricordo di Catello Mari che unisce curva e giocatori.

Per contro la Battipagliese è costretta a passare sotto le Forche Caudine dei proprio ultras, i quali chiaramente non le mandano a dire ai ragazzi in maglia bianconera. Perdere un derby fa sempre male, soprattutto ad inizio stagione.

Io ed Emilio dobbiamo letteralmente fuggire, lui perché oberato da impegni personali io perché per tornare a Roma devo essere a Napoli almeno per le 20. Ci lasciamo alle spalle lo stadio e risalendo sul motorino riprendiamo l’autostrada.

Stavolta il traffico è intenso, chiaro segno che si sta consumando il rientro dalle ferie estive per molti italiani. Riesco comunque a prendere la Circumvesuviana in un orario decente e ad essere a Napoli per le 20. Il mio treno è già pronto al binario e con un paio d’ore mi riconduce a casa.

Sono stanco ma soddisfatto di aver vissuto questa giornata. Ogni volta mi chiedo se può essere l’ultima in cui assisto a partite del genere. È per questo che vivo derby e partite infuocate, dove presenziano ambo le curve, con ansia. Vorrei sempre esserci e riuscire a vedere tutto il possibile prima che lo cancellino definitivamente. Ma oggi a Battipaglia sembrava di essere tornati indietro almeno di 6-7 anni. Il tempo giusto per rivivere le emozioni vere e senza fronzoli del calcio e del tifo che hanno vigliaccamente ucciso.

Testo di Simone Meloni.
Foto di Simone Meloni e Emilio Celotto.
Video di Simone Meloni.