Sono uscito presto, troppo presto.
Mi ero messo in testa di ritrovare quel parco dove mi portavi sempre.
Ci andavamo il sabato, quando non avevamo voglia di andare a scuola, e sdraiati sull’erba o chiusi nel chiosco all’angolo, tiravamo l’ora di tornare a casa.
Ci saremo stati mille volte ma non ho mai fatto caso alla strada. Guardavo te.
A Gorgonzola potrei esserci nato, pensandoci bene, anche se il destino mi ha sputato qualche chilometro più in là.
La Martesana si somiglia un po’ tutta. È una striscia di terra costretta a guardare verso Milano ma che la sera, quando tutti sono distratti, le dà le spalle e se ne compiace.
Un’identità segreta ma ben radicata che conosci solo se ci sei nato e che, se ci passi per caso, forse nemmeno percepisci.
La Giana è l’espressione calcistica più fedele di questa terra.
Pazienza, professionalità, attenzione, rispetto. Un continuo lavoro sotto traccia che l’ha portata ad una scalata incredibile dalla Promozione del 2011 al paradiso del professionismo della scorsa stagione.
E gran parte del merito va dato, oltre che al presidente Bamonte, a Cesare Albè, allenatore da più di vent’anni, che ha saputo dare un’anima a questa squadra.
La Giana è brutta, sporca e cattiva, ma arriva sempre al risultato prefissato. E somiglia dannatamente alla sua terra.
Io non posso far altro che essere invidioso pensando a cosa significherebbe per me vedere la squadra del mio paese calcare palcoscenici impensabili, dopo anni di fango e palla lunga.
Ancora di più oggi, che a far visita al “Città di Gorgonzola” c’è un pezzo di storia del pallone nostrano: la Cremonese.
Ecco, sarebbe bello chiedere a loro, a quelli della Cremo, se mai si sarebbero sognati di vedere la loro squadra perdere a Gorgonzola, contro la Giana Erminio.
Ma in fondo la risposta la conosco già.
La storia dà e toglie, e chi c’era oggi lo racconterà ai propri figli, con orgoglio.
L’Amore fa questo.
Complimenti agli Highlanders e a Quelli di Sempre, che stanno provando a costruire qualcosa in una realtà piccola e difficile, per mille motivi.
Complimenti ai ragazzi di Cremona, che portano avanti la tradizione ultras della loro città, in un momento come questo. E sembrano divertirsi ancora.
Al triplice fischio è troppo buio per continuare la ricerca iniziata qualche ora prima e allora cammino, come faccio sempre, nel deflusso di chi torna a casa, verso la macchina.
Confesso, mi prende un po’ di malinconia.
La repressione che arriva anche a queste latitudini, dove il calcio potrebbe essere ancora un momento di festa per tutto il paese.
Lo stadio semi-vuoto, segno che anche qui ci si sta abituando a qualcosa che abitudine non è.
Potrei continuare ma scelgo di fermarmi.
Il parchetto non l’ho trovato ma stasera ho il sorriso di quella ragazza stampato in testa.
Lei è lontana, migliaia di chilometri più in là di questo buco di paese.
Milioni di anni da quello che eravamo.
Ci sono cose che però nemmeno il tempo si porta via.
Come quei sabato mattina al parchetto.
Come quei ragazzi che nell’angolo di un tribuna cantano a squarciagola per chi non può entrare.
Come chi ancora ricorda dopo anni Erminio Favalli e con lui la storia di quel che è stato.
Stasera voglio prendermi solo il meglio.

Gianluca Pirovano.