Quando in pieno Raccordo Anulare la lancetta del carburante comincia minacciosamente a lampeggiare, immagino per solo due secondi di sentire il motore lentamente perdere potenza e la mia macchina rallentare senza pietà tra le macchine che sfrecciano a 120km/h. In fondo la cosa mi fa pure ridere, e ciò mi ricorda che cosa mi spinga di domenica mattina ad anticipare una grigia e tetra partita allo stadio Olimpico con una partitella nell’estremo hinterland romano.

Trovare il campo del Villalba, squadra di un sobborgo posto tra Roma e Tivoli, non è propriamente un’impresa facile. Consultando internet approdo al vero e proprio terreno di gioco della società rossoblu, dove non solo non vi è anima viva, ma le cancellate sono letteralmente serrate. Effettuo una ricerca più approfondita sul momento e, più a intuito che altro, raggiungo la vicina Villanova. L’intuizione è fortunata, e pochi minuti prima del match sono sul terreno di gioco.

Avevo lasciato i ragazzi del Casal Barriera allo spareggio dello scorso anno contro il Casal Palocco. Fu sconfitta, ma sugli spalti sono ancora impressi nei miei occhi la bellissima coreografia e il gran tifo di cui si resero autori. Certo, stamattina non ci si possono aspettare cifre esorbitanti, ma dare continuità al loro progetto è già la più grande vittoria possibile ed immaginabile.

Quando le squadre stanno per scendere in campo ecco i Warriors fare il loro ingresso nella graziosa tribunetta del campo sportivo. Il gruppo è quantificabile attorno alle venti unità, un numero di tutto rispetto considerata la categoria, l’orario mattutino e la difficoltà da sempre cronica di fare aggregazione da stadio nelle piccole categorie laziali. Figuriamoci se poi si tratta di squadre della Capitale, zona dove quasi tutta l’attenzione calcistica è concessa soltanto a Roma e Lazio.

Chiaro che tante cose siano cambiate negli anni ed oggi, in tanti, preferiscono seguirsi la squadra del proprio quartiere piuttosto che subire umiliazioni e abusi all’Olimpico per far parte di uno spettacolo che sta diventando sempre più preconfezionato e di plastica. Così ecco apparire i tantissimi sodalizi gestiti da tifosi, o semplici gruppi che trovano l’embrione primordiale nelle comitive di zona.

Roma è una città che ha risentito tanto, tantissimo, dei cambiamenti che l’hanno investita negli ultimi dieci anni. Una città che ha perso buona parte della sua anima guascona e spensierata e che sempre più rifugia il malessere di vivere nella sua gioventù, difficilmente aperta a comprendere il senso della parola aggregazione. Tutto ciò mi affrange mortalmente a livello umano, mi porta a fare viaggi a ritroso con la testa comprendendo come a queste latitudini il tempo passi più velocemente rispetto alla normalità. Un anno equivale a cinque, e ciò non può che essere un pugnale sempre pronto a colpire alle spalle i ragazzi. Anche quelli vogliosi di fare e non volersi far inghiottire dall’omologazione corrente.

Che poi, anche il concetto di omologazione sarebbe meritevole di una riflessione. In fondo, nonostante tutta la sua retorica, anche il movimento ultras gode di una netta omologazione. E’ spesso un mondo autoreferenziale, con tutti i suoi difetti più limpidi. Ma non è questo il luogo dove aprire tale disquisizione.

Dicevamo dei Warriors. La gara inizia, purtroppo sul solito campo di erba sintetica, e gli ultras gialloverdi accolgono le squadre con una bella torciata. Quell’ordore acre mi dà sempre sollievo e forza. In fondo finché ci sarò anche un solo ragazzo pronto ad accendere un fumone o una torcia, vuol dire che ci sarà ancora un minimo di spazio per sognare e credere che su questa grigia società possano splendere, seppur nascosti, i colori dell’arcobaleno.

I ragazzi si compattano e il tifo risulta da subito buono e continuo. Tante manate, cori a rispondere e canti tenuti con ottima costanza. Di tanto in tanto sento partire quello “shhh£ che fa da proscenio all’accensione di una torcia, mentre in sottofondo si alternano persino cori ritmati da un improvvisato “tamburo”, fatto battendo a ritmo su un seggiolino della tribuna. Ovviamente da parte casalinga non vi è traccia di ultras, anche se la tribuna fa registrare un buon colpo d’occhio.

In campo bella sfida, con il Villalba che sembra controllare il match ma che va in svantaggio alla fine del primo tempo. Nella ripresa il Casal Barriera, nonostante le rare sortite offensive, trova anche il vantaggio. A rimettere in pari le sorti dell’incontro ci pensa un calcio di rigore in favore dei rossoblu.

Finisce con gli ovvi applausi di tutti i presenti e gli ultras ospiti che chiamano la squadra sotto il settore. Io riprendo la strada per l’uscita, catapultandomi e sgusciando via prima che la viuzza che porta verso l’uscita si congestioni. Me ne vado con il ghigno malinconico sulle labbra. Per come voglio vivere io lo stadio, forse non avrò più spazio e opportunità. Ma mai tarpare le ali alla gioventù ed a chi crede in un ideale che, seppur diverso o differente dal tuo, viene pur sempre dallo stesso seme.

Simone Meloni