Una finale vissuta non di persona, per uno che vive la Roma alla ‘Febbre a 90’ – esserci, sempre,
comunque – è stata particolarmente strana. C’è da dire che negli anni, quando il pensiero vagava
libero verso lidi di coppe (e di campioni), l’idea di festeggiare per le strade di Roma insieme e
decine di migliaia di persone rappresentava il reale senso di una vittoria, quasi più della coppa e della
gloria sportiva stesse.

Come sempre, da tifoso, penso che il tifoso venga prima della contesa sportiva ed è giusto che viva la
sua passione dal centro della scena, addirittura più dei giocatori. Per questo e per altri motivi che
meriterebbero uno spazio di natura diversa, Roma-Feyenoord per me si gioca anche o soprattutto a Roma.
E la vera finale inizia a giocarsi con gli amici di sempre, quelli con cui vivi la Roma tutto l’anno,
tutti gli anni. C’è chi vuole andare allo stadio, chi la vuole vedere in un pub e chi, il sottoscritto,
vorrebbe vederla a casa, in pochi, in religioso silenzio. Neanche stessimo discutendo le condizioni della pace in Ucraina si aprono dibattiti di varia natura e ognuno porta le proprie argomentazioni ma la maggioranza è bulgara: sarà Stadio Olimpico.

La Roma ha deciso di fregarsene di paure e scaramanzie e ha aperto lo stadio per i tifosi che
come sempre hanno risposto presente. Tutto esaurito, l’ennesimo di questa stagione da sogno in
termini di tifo. Già quattro ore prima del fischio di inizio il clima è elettrico, da grandissimo evento.
Le strade sono piene di bandiere e sciarpe giallorosse e gli sguardi divorati dalla tensione non
richiedono ulteriori spiegazioni. È una Via Crucis, arrivati a questo punto. Ci sono tanti, tantissimi
bambini e anche tanti abbonati che non hanno trovato il biglietto per Tirana, quindi lo stadio è
composto da un tifo poliedrico e inedito. La Sud ha le sembianze di una Curva anche se non è
popolata dai gruppi, presenti in massa in Albania, e i ragazzi presenti provano a fare il tifo
nonostante l’audio dallo stadio di Tirana sparato dai maxischermi posti a bordocampo.

Con piacere noto che nessuno è venuto per una serata di festa: niente ola, niente
frivolezze da partita del cuore. Tutti i presenti, anche i bambini, sono ben consci della portata
dell’evento e la prendono maledettamente sul serio. Poco prima dell’inizio della gara spunta in
campo Marco Conidi che canta live la ormai popolarissima Mai sola mai, con lo stadio che tra
torce e fumogeni accompagna il cantante creando un effetto che attualmente poche tifoserie in
Europa hanno nelle loro corde.

Dagli schermi si intravede la scenografia dei ragazzi presenti a Tirana e poi si inizia.
Della partita ricordo poco e niente, la tensione era alle stelle e al gol di Zaniolo un boato, di quelli
che provengono dalle viscere, scuote lo stadio.

Chi frequenta gli stadi lo sa bene, non tutti i gol sono uguali. Questa esultanza mi ha fatto pensare
immediatamente al boato per il gol di Toni contro l’Inter di Mourinho nel 2010, e forse al pareggio di
Cassano a tempo scaduto in un derby della stagione 2002/2003 ma in ogni caso è uno di quelli
che passa raramente. Poi la partita scorre, le facce stravolte delle persone – ma stravolte davvero –
sono indicative di quanto i romanisti tengano a questa coppa. La Roma in campo è stremata
come lo sono i suoi tifosi. Se gli olandesi avessero pareggiato probabilmente avrebbero poi vinto
la coppa perché la Roma in campo incarnava i romanisti fuori, nessuno ne aveva più.

Poi il fischio finale e i pensieri di ognuno che volano verso paure, problemi, ricordi e gioia
pura. Tutti piangono, dai bambini ai nonni che li accompagnano. È un momento mistico, intimo ed
ognuno lo vive in modo diverso. I volti di molti sono seri, con le lacrime che tracciano righe
irregolari sulle guance. Altri invece si scatenano in una festa liberatoria. Tutto lo stadio invade il
campo, tanto che gli spalti si svuotano immediatamente. Molti ragazzi si arrampicano in modo
incredibilmente pericoloso sulle strutture di sostegno degli schermi e lo speaker è costretto ad
invitarli a scendere in modo accorato e sinceramente preoccupato. Per gli amanti dell’amarcord
trash, una sorta di ‘se non scendete lo spettacolo non proseguisce’ di Sensiana memoria ma nel 2022.

Tutto fila liscio ed è ora di invadere le strade della città.
Noi optiamo per Testaccio e Circo Massimo ma il Lungotevere è letteralmente un parcheggio
quindi passiamo due ore nel traffico, nel delirio generale. Si sente il rumore di fuochi d’artificio
provenire da ogni dove. Ogni macchina sembra essere provvista di fumogeni giallorossi e il tempo
passa velocemente tra cori e canzoni sparate dalle casse delle macchine. Anche gli inquilini forzati
di Regina Coeli stanno esultando e tutti se ne accorgono, con un ‘li-be-rateli’ scandito che viene
cantato da tutti come a voler abbracciare idealmente ogni singolo romanista presente su
questa terra. Quando arriviamo al Circo Massimo lo spettacolo è incredibile. Sono praticamente le due di notte di un giorno feriale ed è colmo di tifosi.

Decine di torce illuminano continuamente il prato e una nebbia fitta provocata dai fumogeni avvolge l’aria e regala un clima quasi spettrale.
Nessuno se ne vuole andare, tutti si godono il momento. Dopo una mezz’ora ci spostiamo verso
San Giovanni e anche lì, quando sono ormai le tre di notte, è pieno di tifosi in festa. Noi decidiamo
di andare a Fiumicino perché di tornare a casa non se ne parla. Sappiamo che probabilmente sarà
un viaggio a vuoto – e lo sarà – ma chi se ne frega. La Roma-Fiumicino è un tappeto giallorosso
e all’ingresso dell’aeroporto c’è un ingorgo. Alla radio dicono che la Roma arriverà al Terminal 5, e
passando davanti al 3 proviamo un po’ di compassione per quei tifosi in attesa di qualcosa che non
arriverà mai. In realtà non arriverà mai nemmeno per noi al 5, perché la Roma ha deciso di non
volere bagni di folla all’aeroporto e si è dileguata silenziosamente verso Trigoria. Questa notte vale
tutto e l’incazzatura passa velocemente. Livido in volto anche un inviato di Sky che probabilmente
ha preso la proverbiale buca, e forse anche perché durante il collegamento in diretta, i presenti
hanno deciso di omaggiare con un coro decisamente poco politically correct il grande conoscitore
di calcio Paolo Di Canio.

Un caustico signore di 87 anni – gli ho chiesto l’età – lo liquida così: “Se starà a magnà pure le budella”. Scenario che probabilmente non si discosta troppo dalla realtà. Noi torniamo a casa esausti ma felici. La città è esplosa in una festa d’altri tempi, impensabile per certi versi. E quando da Tirana mi arriva la foto di un grande amico con la coppa in mano, letteralmente, capisco che è tutto vero.

Abbiamo vinto.

Testo Niccolò Mastrapasqua

Foto Niccolò Mastrapasqua e Michele D’Urso