A cinque mesi di distanza l’Atalanta torna ad affrontare la Lazio all’Olimpico; questa volta, però, non c’è in palio una coppa o il passaggio del turno, ma i 3 punti, che potrebbero proiettare i bergamaschi, anche se solo per poche ore, in vetta alla classifica.

Roma è sempre stata una trasferta particolare, un banco di prova per tutte le curve, soprattutto durante gli anni ‘80, quando viaggiare per la propria squadra non era abitudine, ma un’eccezione, rischiosa per le tifoserie rivali. Ai nerazzurri va riconosciuto il merito di esserci sempre stati, anche quando le trasferte erano libere da tutto, soprattutto dalle scorte, e girare con i propri e per i propri colori era sicuramente pericoloso.

Oggi le autorità politiche e amministrative hanno preso la mira puntando l’obiettivo: prevenire il rischio reprimendo e colpendo i tifosi rei di atti di violenza. Dalla morte dell’ispettore Raciti si è proceduto, in una prima fase, al divieto di trasferte e in parallelo alla condivisione della gestione dell’ordine pubblico, non solo inteso come prassi, ma anche come responsabilità: le società di calcio hanno iniziato a farsene carico in termini finanziari.

Con la rimozione dei divieti di trasferta, nelle partite considerate a rischio, l’afflusso dei tifosi avviene con ritmi “caraibici”, proprio come accaduto quest’oggi. Potrebbe sembrare un caso ma qualche ora dopo, a poche centinaia di km di distanza, ai veronesi è stato riservato lo stesso trattamento: ingresso al San Paolo dopo 45 minuti dall’inizio del match. I maligni potrebbero pensare che dietro a tutto questo ci sia uno specifico protocollo, puntualmente utilizzato quando le partite vedono contrapporsi tifoserie divise da forti e storiche rivalità.

Gli Atalantini entrano nel settore ospiti dopo 10 minuti dall’inizio delle ostilità e solo dopo aver fatto quadrato dietro lo striscione Bergamo iniziano a sostenere la Dea, che idealmente ha atteso la propria curva prima di iniziare a giocare, anche se sarebbe più corretto dire che la banda di Gasperini nei primi 45 minuti ha letteralmente preso a pallonate gli avversari, e il vantaggio di tre reti a zero ne è la logica conseguenza. Non mancano cori contro il calcio moderno, che se cantati da altre realtà potrebbero sembrare anacronistici, ma per loro appaiono qualcosa di naturale: gli atalantini hanno sempre abbracciato tutte le battaglie che negli anni il mondo ultras ha prima sposato e poi abbandonato, mentre loro ne sono stati anche i promotori e, successivamente, gli ultimi baluardi. Il pareggio finale lascia l’amaro in bocca, soprattutto per come è maturato, ma il popolo orobico a fine partita ringrazia la squadra per l’impegno e la prova maiuscola sul campo, almeno fino al 3-2.

In settimana il popolo laziale era stato invitato a presentarsi allo stadio con bandiere e sciarpe. L’iniziativa, condivisa soprattutto sui social, ha riscosso molto successo e quando gli 11 entrano in campo lo stadio indossa il vestito migliore.
La Nord non aspetta l’arrivo dei bergamaschi per far partire cori di scherno, che ovviamente aumentano di intensità quando gli Atalantini entrano nel proprio settore. La squadra capitolina nei primi 45 minuti è letteralmente in bambola, e al raddoppio per i bergamaschi vengono rispolverati i cori contro Lotito, presidente mai troppo amato, nonostante la Lazio negli ultimi 8 anni sia il club più vincente d’Italia, alle spalle ovviamente della Juventus. Al termine della prima frazione di gioco la squadra rientra negli spogliatoi tra i fischi del proprio pubblico, fischi che però producono l’effetto sperato. La Lazio entra in campo con la giusta cattiveria che nei primi 45 minuti era mancata e riesce a raggiungere i bergamaschi.
Da segnalare che nel corso del match, ripetute volte, lo speaker ha ricordato ai tifosi ospiti che al termine del match avrebbero dovuto attendere nel proprio settore, senza specificare quanto sarebbe dovuta durare l’attesa, un’attesa anche in questo caso “caraibica”.

D’Innocenzi Massimo