Per raccontare questa partita preferirei partire dalla fine. Dagli occhi sognanti di un bambino che, al termine della partita, è rimasto per qualche istante immobile a fissare estasiato lo sventolio dei bandieroni in Curva Nord. Quello stesso bambino che poi si volta verso il padre e alla domanda “Hai visto che belle?”, risponde con un “Sì” entusiasta.
Non aveva lo sguardo rivolto verso il campo. Non cercava i calciatori che avevano comunque ottenuto una bella vittoria sul rettangolo di gioco. La sua attenzione era rapita da quei colori, da quelle bandiere che garrivano al vento, da quelle sciarpe che venivano esibite orgogliosamente, seppur in una curva di fatto dimezzata e non più, oggettivamente, ai livelli di un tempo.
Un po’ come è successo a molti di noi, quando per la prima volta abbiamo varcato i cancelli di uno stadio ed il nostro interesse si è focalizzato non su quei ventidue atleti in pantaloncini che correvano sul prato inseguendo un pallone, ma sui cori che si levavano al cielo, sugli striscioni colorati affissi sulle vetrate, sul boato assordante al gol del vantaggio.
Ed ecco perché ho preferito iniziare dalla fine di questa serata. Perché è stato allora, dopo una partita sostanzialmente normale, con una Curva Nord semivuota e divisa dalle barriere e con un settore ospiti quasi deserto, che ho pensato, forse ingenuamente, che c’è ancora un briciolo di speranza.
Perché se c’è ancora qualche bambino che è capace di restare affascinato da una tifoseria in festa, dalla passione e dall’amore che una curva di uno stadio riesce ad esprimere e a trasmettere, allora forse, seppur fievole, un piccolo barlume di speranza, per questo ambiente e questo mondo, in effetti ancora esiste.
In fondo mi piace anche sperare che sia così. Una speranza coltivata soprattutto negli ultimi anni che, di fatto, ho passato in giro per l’Italia a cercare di raccontare, nel mio piccolo, quello che possiamo considerare, senza ombra di dubbio, come il fenomeno di aggregazione di massa più importante degli ultimi decenni. Con tutte le sue contraddizioni, i suoi limiti e i suoi errori. Ma anche con tutte le sue peculiarità, le sue caratteristiche, le sue sfaccettature e i suoi lati positivi.
Raccontare quello che accade sugli spalti di uno stadio o di un palazzetto, nel corso di una sfida di serie A o di una categoria minore. Raccontare come un gruppo di persone si riunisca ogni volta in quel determinato settore e condivida, insieme, praticamente tutto. Dall’amore per quei colori alla passione per sostenerli, dalla gioia per una vittoria allo sconforto per una sconfitta, dal sostegno di un ideale alla strenua difesa di un modo di essere.
Raccontare, come oggi, in occasione della sfida di Serie A tra la Lazio e Cagliari, giocata in un turno infrasettimanale, in una serata alquanto piovosa di un mercoledì sera qualsiasi. Che poi così qualsiasi non lo è stato neanche visto che, come tutti ben sapete, purtroppo, mentre le due squadre si davano battaglia sul manto erboso dello Stadio Olimpico, a pochi chilometri da qui la terra ha ricominciato a tremare, provocando nuovamente terrore, dolore e frustrazione.
La città di Roma però, sostanzialmente, è stato solo parzialmente sfiorata da queste scosse e, nonostante nelle case la gente avvertisse chiaramente le vibrazioni, allo stadio non si è percepito praticamente nulla, e la partita è stata quindi giocata regolarmente, mentre sugli spalti, ovviamente, le notizie in merito quanto stava accadendo si rincorrevano e si diffondevano velocemente.
All’ingresso in campo delle squadre il settore ospiti, situato alla mia sinistra, appare quasi desolatamente deserto. I sostenitori cagliaritani sono poche decine, e alcuni di loro cercano di compattarsi al centro dello spicchio a loro riservato, sventolando alcune bandiere e mostrando le proprie sciarpe. Proveranno a cantare solo nelle fasi iniziali del match e poi, forse anche a causa del risultato maturato in mezzo al campo, seguiranno la partita sostanzialmente in silenzio, tirando fuori nuovamente le bandiere e le sciarpe, quasi con un moto d’orgoglio nonostante la pesante sconfitta, mentre la partita volge alla conclusione.
Dall’altra parte, gli ultras laziali, con la curva divisa dalle famigerate barriere, riempiono, di fatto, solo una delle due parti della Nord, cioè quella destra. Nessun drappo viene affisso alla vetrata, tranne quello storico con il viso di Gabriele Sandri. Accolgono i calciatori in campo con una sciarpata e lo sventolio di numerosi bandieroni, che per altro, non cesseranno ma di essere mostrati per tutti i novanta minuti di gioco.
L’apporto corale risulta piuttosto continuo, caratterizzato, come di consueto, da molti cori secchi e a rispondere. Ma non è più la curva di un tempo, e si vede. L’attuale gestione societaria unita a tutta una serie di fattori quali, ad esempio, la repressione indiscriminata, le minuziose e capillari perquisizioni all’ingresso, le disposizioni in merito alla viabilità e ai parcheggi nelle zone limitrofe dello stadio, il caro biglietti, ecc., hanno contribuito, e non poco, all’allontanamento e al disinnamoramento di numerosi tifosi ed appassionati. E non è stata solo la curva a risentirne, visto che lo scenario dell’intero impianto sportivo capitolino risulta alquanto desolante e deprimente, con larghi spazi vuoti e pochissima gente presente.
In tutti i casi gli ultras biancocelesti si fanno comunque sentire per tutta la durata della partita, alternando i vari cori a delle belle manate. Numerosi quelli contro Lotito e contro gli odiati cugini romanisti. Lanciato anche, come di consueto, il coro dedicato a Gabbo e contro il suo assassino, l’agente di polizia Spaccarotella. Esposti anche alcuni striscioni.
Sul campo, come detto, la Lazio ha la meglio sul Cagliari, chiudendo la partita con la netta vittoria per quattro reti a una. Un risultato, oggettivamente, forse un po’ troppo ingeneroso nei confronti della squadra ospite, ma che scatena comunque l’entusiasmo dei tifosi laziali presenti sugli spalti. Verso la fine della partita la curva canterà anche, a squarciagola, i due inni forse più conosciuti della squadra capitolina: “Vola un’aquila nel cielo” e “So’ già du’ ore”, coinvolgendo anche il resto dello stadio.
Al termine della partita i giocatori biancocelesti andranno anche a ringraziare i propri sostenitori per il sostegno avuto durante la partita, ricevendo, di rimando, il meritato applauso per l’impegno profuso in mezzo al campo e per la vittoria conseguita.
Mentre un bambino, qualche seggiolino più in basso dalla mia postazione, è rimasto imbambolato, a guardare incantato la sua curva, forse immaginando, un giorno non così lontano in fondo, di poter essere anche lui li, in mezzo a loro.
Daniele Caroleo.