Da quando sono arrivato alle latitudini svizzere, ho scoperto con grande piacere l’hockey su ghiaccio e le due tifoserie cantonali, quella dell’Ambrì Piotta e quella del Lugano. Due modi diversi di essere ultras, due tipi di realtà contrapposte, ma unite dal fatto di essere due curve piene di calore, rispecchianti in tutto e per tutto il modello di tifo all’italiana, di cui ormai si trova sempre meno traccia anche nella nostra penisola.
In questi due anni qui, ormai due anni e mezzo, ho seguito derby entusiasmanti ma anche partite di routine contro squadre che i nostri lettori, con ogni probabilità, mai avevano sentito nominare prima. Il riscontro è sempre stato positivo, specie quando la parola in questione si chiama derby e, più in particolare, hanno spopolato i nostri video sul canale di Youtube.
Ora tutto questo potete metterlo, almeno per quanto riguarda me, e forse Sport People per intero, in cantina, o in ghiacciaia, fate voi. Se il mondo ultras è bello e pieno di colori, la facciata ticinese di coloro che hanno una posizione nella società è molto fastidiosa, volutamente altezzosa e con complessi di superiorità dettati dal fatto che, sempre più spesso, siamo noi Italiani che bussiamo alla loro porta per lavorare.
Non per niente c’è un partito, nel Canton Ticino, che si chiama Lega dei Ticinesi; raccoglie più del 30% dei consensi, e ha una visione generale delle cose non solo provinciale, ma spesso traboccante nel recipiente del razzismo vero e proprio. Per farvi un’idea potete leggere tranquillamente il “Mattino” con la sua copia digitale (il sito è http://www.mattinonline.ch/, la copia digitale all’URL http://ilmattinodelladomenica.che.newsmemory.com/), con la sua grammatica discutibile e con ammiccamenti al modo di scrivere tipico degli adolescenti.
Come dicono loro è bene non generalizzare, tuttavia basti pensare che nel referendum del 9 Febbraio 2013, a favore del contingentamento dei lavoratori stranieri (in altre parole anche contro i trattati di libera circolazione dei lavoratori con l’Unione Europea), mentre in tutti i Cantoni c’è stato un certo equilibrio, il “Sì” ha prevalso tra il 70% dei Ticinesi, ed è stato assolutamente determinante per il buon esito del referendum proposto dall’UDC (altra compagine di destra svizzera ma, al contrario della Lega, di dimensione nazionale).
Per raccontarvi un aneddoto, quest’estate, quando ero in vacanza con la mia ragazza, in circostanze un po’ bizzarre abbiamo conosciuto una coppia di Ginevrini (Ginevra, altra realtà di frontiera con migliaia di lavoratori pendolari francesi, ma ben altra situazione rispetto al Ticino) la quale si lamentava, e non poco, che per colpa dei Ticinesi la Svizzera sopporterà fardelli piuttosto pesanti a livello internazionale, quando, tradizionalmente, per la Confederazione, lo straniero è una risorsa.
Certo, sono punti di vista. E non dico che i Ticinesi non abbiano in parte le loro ragioni. Ma almeno rendo chiaro il quadro della situazione e l’aria che tira.
Tra gli ultras la situazione è diversa. I ragazzi delle curve svizzere, Ambrì e Lugano comprese, sono ragazzi giovani, idealisti e con tanti sogni. Spesso si tratta di tifoserie marcatamente antirazziste. Sono gli uomini del domani che, a modo loro, fanno sentire la loro voce contro ciò che trovano ingiusto e contro una società che vorrebbero cambiare. Un po’ come i sessantottini, solo che loro avevano le mobilitazioni di massa mentre, al giorno d’oggi, pare che siano rimaste solo le curve ad esprimere, a livello di coscienza sociale e giovanile, quegli ideali estranei all’uomo di età più avanzata.
Tant’è. In Svizzera c’è tanto ricambio generazionale tra gli ultras, e già i trentenni si contano sulla punta delle dita; al contrario dell’Italia dove, invece, l’asticella anagrafica si è alzata pericolosamente troppo in alto. Del resto, tra gli Elvetici il passaggio all’età adulta vera e propria, con l’importanza (vera, e non teorica) che il lavoro ha nella società rossocrociata, non lascia molto spazio a passioni che si riescono a sviluppare meglio negli anni più spensierati.
Ed è per questo che, nonostante tanti eccessi, le forze dell’ordine non hanno mai raggiunto i livelli di repressione toccati in Italia. Sono ragazzi e cresceranno in fretta. Questo almeno finché interessi economici superiori, come nel calcio di oggi, impediranno al giovane di essere giovane a modo suo, con la repressione che partirà dall’alto ed in nome del dio denaro. Altrimenti, se non è così, spiegatemi perché un ragazzo che accende un fumogeno solo per fare un po’ di colore deve essere trattato alla stregua di un criminale vero e proprio.
Mi è sempre piaciuto, in ogni caso, parlare della Svizzera e del Canton Ticino, posto che trovo comunque stupendo e che mi ha incantato sin dalla prima volta che vi ho messo piede. Mi è piaciuto entrare in una cultura diversa, capirne le peculiarità, carpire le differenze tra chi parla italiano o tedesco, se non francese, e così via. Tuttavia, visto che l’abstract generale è quello che ho appena contestualizzato, pure per me ci sono situazioni limite dove non posso far finta di niente.
Non dirò chi ha fatto cosa (come si suol dire, chi c’era sa, e in ogni caso esistono le orecchie che fischiano al momento giusto), ma entrambe le situazioni sono realmente accadute, nell’ambito dell’hockey, e mi hanno fatto dire basta. Anche se in me è nata una passione e anche se mi costa tanto.
Situazione numero uno. Io e il nostro Simone in occasione di una partita di hockey. Uno dei pochi momenti per rivedersi e rafforzare un’amicizia ultradecennale. Allegria e spensieratezza, finché il grande uomo in questione non ci fa pesare tutto il suo essere svizzero contro di noi “invasori d’oltreconfine”, la nostra occupazione eccessiva dello spazio fotografi (in una partita dove, a parte noi due, c’erano due soli altri fotografi in una spazio per almeno dieci, con tanti abusivi a guardare la partita da postazione di privilegio, come da italica tradizione) e, dulcis in fundo, il paragone tra Sport People ed una non precisata testata locale che neanche esiste. Esempio di cafoneria villana tanto che ad una missiva di Matteo in qualità di direttore, il tipo non si è nemmeno degnato di una risposta.
Situazione numero due. Articolo mio su Sport People. Difesa degli ultras, pur considerandone gli eccessi. Nessuna richiesta di rettifica come da giornalistica tradizione, almeno per precisare qualche cosa che posso aver sbagliato. E sì che anche io non sono perfetto. Salvo, poi, alla prima occasione, rifiutarmi l’accredito per reato di lesa maestà, con la persona in questione che, iniziando la sua formula di rifiuto, si è detta imbarazzata della nostra richiesta.
Fermo restando, e lo ripeto, che si potevano chiedere chiarimenti tre settimane prima (noi, al contrario di alcuni, rispondiamo sempre, e siamo persino pronti ad ammettere errori, pensate un po’…), l’unica cosa di imbarazzante in questa vicenda è negare un diritto giornalistico elementare come un accredito perché al “padrone” non va bene ciò che hai scritto.
Scusate, magari a volte scrivo di impulso, ma per me la difesa del mondo ultrà viene prima di tutto. E sotto intendere un atto di abiura, pur non esplicitato, per concedere di nuovo un accredito, per me che prima di tutto sono una persona libera, è inconcepibile. E, sono sicuro, che c’è di mezzo la natura di Sport People. Perché, se una rivista di settore avesse criticato pesantemente l’operato di mercato della squadra in questione, nessuno avrebbe tolto alla testata il diritto all’accredito. A noi no, ci trattano come bambini un po’ sottosviluppati, quando la realtà è un’altra: siamo noi che facciamo pubblicità a loro, e non viceversa. I numeri della nostra testata, sul web e sui social, se li scordano sulle loro pagine ufficiali, magari se li sognano la notte. È il principio del giornalismo: tu mi ammetti per diritto di cronaca e io, comunque vada, ti faccio conoscere.
Alle società in questione ciò non interessa. E per questo continuo a parlare di provincialismo. Ad essere buoni. Siamo italiani, parliamo di ultras e ne parliamo bene. Questo non piace agli altri, ma a noi sì. E nulla ci vieta di rifiutare e denunciare atteggiamenti di superiorità (di che, poi?) o di santa inquisizione. Mi dispiace solo per i tifosi delle squadre coinvolte che perdono un’importante vetrina. Purtroppo, oggi come oggi, i tifosi ci rimettono sempre. E, per quanto riguarda la Svizzera, dispiace questa tendenza a voler diventare come nel calcio. Come nel calcio, in Italia.
Stefano Severi.