Sono passati esattamente quindici anni dall’ultima volta che ho messo piede a San Siro in occasione di una gara di campionato. Partiamo dal passato: tra il 2004 e il 2010 penso di essere entrato sugli spalti del Meazza minimo una ventina di volte. Principalmente con l’Internazionale padrona di casa, ma riuscendo anche ad ammirare la Scala del Calcio in veste rossonera. Quella di andare a Milano, scandagliare l’altra faccia della metropoli rispetto a quella in cui abito, conoscerne il cuore e girarne i dintorni – hinterland e periferie comprese – era una vera e propria fissa che per diverso tempo ha pervaso le mie fantasie e quelle dei soliti compagni di viaggio dell’epoca.

Si partiva con l’Espresso delle 00:47 o con l’Intercity Notte delle 4:36 e – rigorosamente senza biglietto – si passava la notte in treno alla volta di Milano. Poi sono arrivate le trasferte vietate, le tessere e, ultimo ma non meno importante, il terzo anello. Un luogo ameno dove, ad un certo punto, hanno relegato le tifoserie ospiti, togliendole dal primo, dove il confronto con le curve meneghine e la vicinanza al manto verde rendeva davvero speciali quei 90 minuti e invogliava a tifare; illudendosi di spingere il pallone dove meglio si poteva a suon di cori e grida. In realtà a Milano la Roma perdeva sempre. E quando dico sempre, intendo proprio sempre!

Rispetto a tre lustri fa tantissime cose sono cambiate, se parliamo di stadio e tifo sembra esser trascorsa proprio un’era geologica. E i vecchi Milan-Roma sono davvero un lontano ricordo. Eppure con una certa curiosità decido di tornare a Piazzale Axum, in veste di giornalista. Perché in fondo, lo ammetto, ogni tanto anche a me piace calcare qualche palcoscenico importante e storicamente ricco di significato per i vertici del calcio italiano. Checché ne possano dire quelli vogliosi di avere nuovi stadi di proprietà per le due società milanesi, San Siro resta l’impianto più bello d’Italia (senza il terzo anello, sic!). Quello che più di tutti ha respirato e respira calcio in una certa maniera e quello che da sempre viene preso d’assalto da un pubblico – può piacere o meno – competente e attaccato alle proprie squadre come quello meneghino.

Certo, la giornata non è delle migliori. Sin dal mio arrivo, alle prime ore dell’alba, dal cielo scende una pioggerella fitta e persistente, mentre la temperatura non è propriamente amichevole. Ok, mi dico, se volevo respirare un clima perfettamente aderente al cliché milanese ho scelto la giornata esatta. E sì che io ci provi anche a cambiar aria, passando il pre partita nella vicina Crema – seguendo Pergolettese-Lecco -, ma nella Bassa la situazione, se possibile, peggiora ulteriormente!

Rispetto al passato non si arriva più nella romantica Piazzale Lotto, ma grazie all’apertura della Linea 5 oggi con la metropolitana si “sbarca” direttamente davanti allo stadio. Il vecchio tram 16 effettua come sempre il suo giro a ritroso, a pochi passi dagli ingressi, mentre la cospicua folla gira quasi all’impazzata, nella ricerca del proprio settore. Come accade ormai da tanti anni vedo sciarpe rossonere e giallorosse mischiarsi, in un clima di relativa tranquillità. Si prenda con intelligenza ciò che sto per dire: ammetto che non mi ha mai garbato molto questo fatto. Mi rendo conto che non sia “responsabilità” degli ultras, ma questo clima “all’inglese” stride un po’ con quello che parzialmente ancora si respira al di fuori di altri stadi italiani, dove rivalità storiche e inimicizie vengono sentite e vissute con la dovuta tensione. Non sto facendo apologia della violenza, sia chiaro, ma un po’ di sana territorialità, in fondo, è quello che piace a chi vive le gradinate in un certo modo.

È anche vero che siamo molto distanti da quell’epoca in cui la rivalità Roma-Milano era all’apice e in cui San Siro era tutt’altro che stadio semplice e raccomandabile. Basta guardare le presenze delle tifoserie ospiti fino almeno a metà degli anni novanta. È proprio dal profondo rispetto che nutro per la storia delle due tifoserie cittadine – protagoniste della genesi del nostro movimento – che nascono le mie eventuali critiche.

Individuato il botteghino per ritirare il mio accredito mi accingo ad oltrepassare i tornelli, potendo finalmente chiudere l’ombrello e smetterla di prendere comunque acqua in ogni parte del corpo. L’imponenza dello stadio è sempre qualcosa di suggestivo, con i suoi spalti che quaranta minuti prima del fischio d’inizio si stanno lentamente riempiendo, mentre la Curva Sud è già al gran completo con tutti gli striscioni. Nel settore ospiti ci sono già molti romanisti, ma non si andrà oltre le pezze di club e simpatizzanti.

L’incontro in autostrada con i supporter napoletani diretti a Genova ha lasciato i suoi strascichi e gli ultras romanisti hanno deciso di non presenziare nel settore ospiti. Cosa che ovviamente renderà la sfida monca, ma che va contestualizzata nel già difficile modo di leggere e commentare i fatti accaduti.

Con il trascorrere del tempo e dopo il solito pre-partita circense della Serie A (musichette, giochi di luci e voci gracchianti), gli ultras rossoneri scaldano i motori. Anche loro sono motivo della mia visita. Sono curioso, infatti, di vedere il nuovo corso della Curva Sud, che almeno a livello di tifo sembra aver imboccato una strada davvero importante. Certo, il colpo d’occhio scuro e cupo offerto dalla linea total black non rientra personalmente nella mia scala di gusti. O meglio, non mi fa impazzire quando diventa predominante, sotterrando quel pizzico di spontaneismo che è sempre stato proprio del modello italiano. E se devo muovere una critica è proprio in questa direzione: la Sud ha sicuramente perso molta della genuinità che ha reso celebre il movimento italiano, strizzando l’occhio a un modus operandi più polacco/russo. Ma si tratta tuttavia di un’opinione personale.

D’altro canto va detto che sin dai primi cori i milanisti danno sfoggio a tutto il loro potenziale, facendo rimbombare il tifo e ponendo ancor più l’accento sulla fantastica acustica di San Siro. Volendo giudicare onestamente e obiettivamente solo e soltanto il tifo e la sua riuscita, davvero non gli si può imputare nulla. I rossoneri cantano dal primo all’ultimo minuto e si confermano con tutta probabilità la tifoseria più “prestante” a livello vocale tra le big: costanti, continui e possenti. Sempre bello vedere i lanciacori spronare tutti i gruppi della curva, affinché il sostegno risulti granitico e univoco. Forse un po’ discutibile la scelta di “pungere” a più riprese gli avversari, assenti giustificati, con il coro “Dove sono gli Ultrà?”. Ma anche qui, è questione di visioni personali e probabilmente viene più che altro inteso come un normale coro di sfottò.

Oltre alla Sud volgo il mio sguardo anche alle insegne dei club, disseminate in tutto lo stadio. Rimango sempre affascinato da quegli striscioni rimasti uguali per anni, magari a richiamare anni lontanissimi come quelli con lo sfondo rossonero e la scritta gialla. Lasciano intendere quanto ho accennato sopra: la radicata passione per il footaball in quella che sì, sarà pure la città più europea d’Italia, ma rimane pur sempre la Capitale calcistica in fatto di vittorie e “bellezza” viste in questo stadio. Dai campioni che vi sono passati, agli squadroni allestiti dalle due società, fino ai numerosi trofei portati all’ombra della Madonnina.

Certo, in campo il Milan sembra lontano parente di quello che lo scorso anno riuscì a cucirsi sul petto lo scudetto e, nel finale, si fa clamorosamente riprendere sul 2-2 dalla Roma, dopo una gara letteralmente dominata. Suscitando ovviamente lo sgomento del pubblico, che vede tutto d’un tratto il Napoli capolista allontanarsi significativamente. Ciononostante nei minuti di recupero gli ultras milanisti sventolano costantemente i propri vessilli, mettendo la ciliegina sulla torta alla propria ottima prestazione con diverse torce accese.

La pioggia non ha smesso un secondo di scendere e, abbandonando le gradinate, torno a “goderne” le filtranti goccioline. Ho però il tempo di ammirare i murales dei Casciavit, a pochi metri dalla fermata del tram. Tutti i gruppi della Sud sono rappresentati e ovviamente non perdo l’occasione di immortalarli.

Fin quando non vedo all’orizzonte il 16. Salgo con un certo sollievo, potendo godere un po’ di tepore fino alla mia fermata di discesa, nei pressi del Duomo. L’app Itabus mi annuncia che il mio pullman di ritorno ha un corposo ritardo, così ne approfitto per fare una bella passeggiata a piedi dapprima nella piazza più famosa della città e poi da Porta Ticinese al Castello Sforzesco. L’acqua della Darsena riflette le luci ora limpide, finalmente lasciate respirare dalla pioggia. Non c’è quasi nessuno in giro e il Naviglio Pavese, giungendo qua con il Naviglio Grande, mi dà l’opportunità di ascoltare il respiro silente della metropoli notturna.

Li lascio alle mie spalle, chiudendo il mio giretto nei pressi della metro Cadorna, dove il bus notturno mi porterà all’autostazione di Lampugnano. È il momento di tornare a casa. Ed una cosa è rimasta quasi uguale a quindici anni fa: il viaggio notturno e le ossa rotte una volta arrivato a Roma. Del resto ognuno ha le sue certezze nella vita, l’importante è rivederle e analizzarle di tanto in tanto. Perché con l’età cambiano gusti e punti di vista, solo gli stolti rimangono uguali e immutati!

Simone Meloni