Certe partite, di per sé, non esistono. O meglio, non dovrebbero esistere sul campo ma solo sulla carta. Perché i nomi che può sfoggiare la formazione del capoluogo della Marca trevigiana parlano da soli. Ma queste sono teorie, infatti il campo dirà una cosa diversa. E gli spalti parleranno in un modo diverso ancora.

Mori S. Stefano-Treviso è l’essenza della serie D, con il piccolo borgo di circa 10.000 abitanti della Val Lagarina che ospita i biancoblù, da molti ricordati per il loro unico anno in A, ormai due decenni or sono. E la voglia di sgambetto e rivalsa da parte dei locali è molta, visti i pochi punti in classifica, dovuti a un grande mix tra l’essere una neopromossa, le difficoltà di alcuni singoli e i ben diversi e maggiori denari investiti dalle avversarie. Ma le strutture sono strutture, ed il settorino senza spalti e con solo un lungo spiazzo che segue il rettilineo del velodromo non va giù a tifosi ed ultras ospiti. Scelgono infatti di farsi posto da soli in tribuna, pur dovendo rinunciare a bandiere e due aste per motivi di sicurezza. Penalizzati sul piano del colore, appendono le varie pezze e iniziano a cantare, facendosi sentire in un impianto dal pubblico non numeroso ed ordinato ma legato alla squadra, che in provincia vanta un buon settore giovanile.

Le radici prima di tutto: il primo coro è per Fabio Di Maio, tifosissimo del Treviso morto nell’agitato post partita di Treviso Cagliari del 1 febbraio 1998 in condizioni che sfumano tra la realtà ed il legittimo sospetto: la narrazione di un ragazzo rissoso e cardiopatico da una parte, i fatti che parlano di tafferugli a cui non si sa nemmeno se abbia partecipato, l’ambulanza che non c’è ed i calci rotti dei fucili dei carabinieri dall’altra. In ogni campo, in ogni stadio, su ogni tribuna dove è fatto riecheggiare il suo nome, forse dobbiamo porci delle domande. E si va avanti, con cori abbastanza costanti e partecipati da parte del blocco di tifosi veneti, che trovano asilo e modo di creare calore e festa anche nel punto di ristoro del campo di via Lomba.

0 a 1 il primo tempo, ma nonostante i nomi che impressionano chiunque scorra la distinta, è il Mori a provarci, a costruire, a tentare. Il raddoppio giunge a inizio ripresa, ma l’argentino Molina accorcia al 70’. 1 a 2 e Treviso che passeggia per il campo. La curva invece fa il suo, tenta di dare una sveglia ai suoi undici, si vuole essere la capolista e trasformare questo campionato in una lunga serie di glorie. I cori sono costanti e hanno in sé una voglia di ritorno tra i grandi che manca da troppo tempo.

All’ultima azione, i lagarini sfiorano il pari, palla a lato di poco e un punto che avrebbe fatto tanto umore sfuma, con dall’altra parte la sesta vittoria consecutiva per il Treviso.

Ciò che non doveva esserci, c’è stato ed ha avuto quasi un senso.

AZ