Quando un amico finisce in carcere, te ne rimane scolpita negli occhi l’immagine pietrificata in una posa rigida. Facendo i dovuti scongiuri, è un po’ come quando muore una persona cara. Ne avverti la mancanza e ti ritagli nella mente scampoli dell’esistenza sua. Ma tutte le volte che provi a immaginarla mobile, la ritrovi statuaria, statica, bloccata. È un corpo oggettivato, un fotogramma fisso, degno di un profilo social abbandonato.

Ora Alessio è rinchiuso dietro le sbarre di una galera. Ripensare a lui significa ripescare un’immagine che lo ritrae in un gesto plastico, proteso verso l’alto, aggrappato a una palma sulla spiaggia della riviera maya, le braccia possenti avvinghiate a un tronco nel tentativo di arraffare una noce di cocco. Alessio sfida la resistenza del frutto e la legge di gravità. Tenta di andare al di là dei limiti imposti dal contesto.
Cinque anni di carcere per non essersi presentato sette volte in questura a firmare: il Daspo comminato all’ultrà anconetano Alessio Abram, cioè il divieto di assistere alle partite di calcio, è un provvedimento adottato decine di migliaia di volte negli ultimi tre decenni dalla polizia politica italiana. All’inizio lo imponevano a chi partecipava ai tafferugli fuori e dentro gli stadi. Dalla fine del secolo scorso la Digos lo distribuisce a cascata. Il Daspo è diventato un marchio, un dispettuccio di Stato, una soluzione comoda per mille situazioni diverse. È stato addirittura coniato un nuovo verbo: daspare. Così si daspano le persone perché indossano una maglietta ritenuta sediziosa, accendono un fumogeno, intonano cori sgraditi o si siedono sul seggiolino sbagliato in gradinata. Spesso le questure daspano i soggetti per semplice antipatia o perché in passato si sono resi protagonisti di azioni delittuose intorno agli eventi calcistici. Forme analoghe di limitazione preventiva della libertà sono applicate ai danni degli attivisti delle lotte sociali e ambientali. Succede con gli occupanti di case e i partecipanti ai cortei.
Ancona ha dato vita a una manifestazione di indignazione e affetto popolare, questa sera, invocando libertà per questo suo figlio.
Oltre a essere supporter dell’Ancona, Alessio è attivista dei movimenti sociali. È stata questa sua duplice natura a spingere le autorità a usare la mano pesantissima nei suoi confronti. Spesso nemmeno i mafiosi, i violenti contro donne e bambini o i peggiori corrotti scontano pene di tale entità. Ma la vera autocondanna Alessio se l’è comminata quando si è messo in testa, una decina di anni fa, di andare al di là della crisi del fenomeno ultrà. Come migliaia di tanti altri curvaioli, ha deciso di impegnare tempo ed energie nello sport popolare, fondando una polisportiva, l’Assata Shakur, che ha coinvolto centinaia di migranti, bambini e ragazzi dei quartieri periferici della città. Questa scelta la Digos proprio non gliel’ha perdonata. E non ha tollerato la sua ribellione silenziosa al Daspo, un’obiezione di coscienza che lo ha portato a ignorare più volte l’assurda costrizione dell’obbligo di firma in questura. Quattro anni fa lo avevano già arrestato:

SPORT PEOPLE N°2009-33


Anche dietro quelle manette c’era un chiaro messaggio politico, un monito per tutti: nel recinto in cui viviamo e siamo rinchiusi, a nessun animale umano è consentito slegarsi dalla propria catena e calare il pensiero nelle azioni. Ma soprattutto, è vietato a chiunque cercare di andare al di là.

Claudio Dionesalvi

Video sulla partita di oggi dell’Assata Shakur a Sirolo contro la Sirolese:

Video sulla manifestazione per Alessio:

Altri contributi sulla questione Ultrà:
http://www.inviatodanessuno.it/?cat=9