Questa non è una tifocronaca. E non è neanche un racconto di una giornata allo stadio, immerso in mezzo ad un mare umano di braccia e battimani, di cori e di colori. Non lo è perché a Roma, ai cittadini romani, tutto quello sopra elencato non solo è vietato, ma perfino punito con salate multe prima e odiose diffide poi. Non lo è perché allo Stadio Olimpico ho preferito il lavoro, perdendomi completamente l’impresa della banda Spalletti, capace in centottanta secondi di sperperare un meritato doppio vantaggio facendosi raggiungere dal modesto ma tenace Austria Vienna.

Quella che vi racconterò allora è la serata di un ragazzo costretto all’esilio dalla forza di sopravvivenza (sportiva e legale), ma talmente curioso da avvicinarsi all’impianto capitolino nel corso della sfida del giovedì di Europa League con il solo fine di osservare, mirare e ammirare l’operato illuminato di chi, in buona compagnia (parlerò anche di loro, ndA), ha reso la Capitale d’Italia la protagonista assoluta di una supercazzola di tognazziana memoria. Per iniziare partiamo dalla fine.

Sono le 23:45 e il quadrante adiacente lo Stadio Olimpico è ormai piombato nell’assordante silenzio notturno. Piazza Mancini si avvia lentamente alla chiusura degli ultimi baluardi di beveraggi e di ristoro; anche l’intramontabile chiosco al centro del piazzale spilla mestamente l’ultima pinta in un valzer di tavole sparecchiate e sedie riordinate, fra una caccia ai bicchieri in plastica sparsi in giro e un gruppo di ragazzetti intenti a condividere l’ultimo spinello della serata, all’oscuro della ormai presenza fissa di alcuni agenti in borghese, pronti a contrastare con la forza della Legge ogni forma di reazione all’ordine dominante puro e senza peccato.

Il tintinnio del passaggio continuato di poliziotti a cavallo scandisce gli ultimi minuti del giovedì e il saluto all’imminente venerdì, neanche fossimo nel pieno di una gara di trotto all’ippodromo. Sono circa dieci, soltanto nella piazza, eppure tutto intorno a loro sono balle di fieno in stile far west, autobus al capolinea e qualche senzatetto pronto a sdraiarsi sotto alle stelle in cerca di un po’ di riparo ai piedi del vialetto alberato che circonda uno dei luoghi di ritrovo preferiti dei “pericolosissimi” tifosi di calcio. Alcune sirene in lontananza fanno rizzare le mie antenne mentre la mente vola pindaricamente proiettando frame sconnessi di una violenza tanto temuta quanto assente.

Parliamoci chiaro, mio amico lettore, l’allarme ultrà tanto millantato in cosa si è risolto? In cinque arresti per una rissa notturna e il sequestro di qualche artifizio pirotecnico. Tutto qui, penseranno in molti. “Follia ultrà” scriverà qualche collega dal dubbio e partigiano operato. Qualcuno doveva pur giustificare un dispiegamento di forza pubblica simile. E, in assenza di episodi realmente pericolosi per l’incolumità dei cittadini, cosa c’è di meglio di una piccola scazzottata pronta ad essere trasformata nella discesa di pericolosi Lanzichenecchi “amici dei laziali” con evidenti legami con il terrorismo islamico, il Ku Klux Klan, i ribelli Houthi e il Consiglio della Shura dei rivoluzionari di Bengasi.

Qualche irriducibile tifoso si lamenta ancora dell’ennesima schizofrenica prestazione in campo europeo della Associazione Sportiva Roma, un déjà vu inciso nel Dna della società capitolina che sa tanto di Kosice e di Leverkusen, rimanda alla mente la lontana Bratislava e l’indimenticabile Cluj. I più anziani potranno elencarvene dozzine di altre, io mi limito al ricordo delle prime quattro partite senza logica disputate in Europa dalla mia amata squadra. Lei è così, ma non è difficile spiegare perché a me piaccia proprio per questo. Ma questa è una storia di romanticismo e passione, e Roma da tempo non è più luogo per discutere di questi barbari sentimenti.

Questa non è una tifocronaca, ricordo di aver cominciato così e vi devo spiegare allora cosa mi ha spinto ad avvicinarmi a quel girone infernale che un tempo aveva le sembianze di un locus amoenus di virgiliano stampo.
Ore 22:15, minuto in più minuto meno. Sul manto verde dell’Olimpico la brigata Spalletti ha già raddrizzato il vantaggio iniziale degli austriaci – a segno con un preciso diagonale al volo di Holzhauser – grazie alla doppietta di El Shaarawy e al destro al volo di Florenzi su assist di capitan Totti. Una partita sui binari del successo, ma quando si tifa Roma si ha sempre quella percezione di un imminente deragliamento. All’esterno dell’impianto del Foro Italico uno scooter si aggira con fare sospettoso zigzagando tra una volante e alcune camionette. Sono trenta, le prime, e una dozzina abbondante le seconde. Le ho contate una ad una, mentre circumnavigavo lo stadio da Tribuna Monte Mario passando per Curva Sud, Tribuna Tevere e settore ospiti, per poi ripercorrere lo stesso percorso una seconda volta per confermare i miei pregiudizi.

Facendo un rapido, sommario e probabilmente difettoso arrotondamento: oltre un centinaio di agenti fra Polizia Locale, Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza e anche qualche membro dell’Esercito Italiano. No, non è un avamposto italiano in terra siriana, ma l’ordinaria amministrazione quando rotola un pallone sotto le pendici di Monte Mario. Soldi pubblici, è importante sottolinearlo quando si parla di una città completamente abbandonata dalle Istituzioni, in cui l’autorità è da un paio di anni nelle mani sapienti di una Questura che, teoricamente, dovrebbe deporre lo scettro in quanto ormai abbondantemente terminato il periodo di commissariamento straordinario. Ma purtroppo ormai è noto che, riprendendo De Gregori, “Roma sembra una cagna in mezzo ai maiali”.

Ore 21:00, qui finisce la storia al contrario di questo giovedì di coppe e repressioni. Finisce mentre inizia la contesa. Il pubblico di casa lo si può contare con l’ausilio di un semplice abaco ad anelli, complice la scarsa propensione di molti a recarsi durante la settimana allo stadio e soprattutto le ormai tristemente note misure di sicurezza che hanno allontanato la maggior parte dei tifosi da Viale dei Gladiatori – chi per evitare diffide gratuite, chi per mancanza del tifo passionale della Curva, chi semplicemente preferendo il comodo e caldo divano al complesso e diabolico percorso ad ostacoli per raggiungere l’impianto sportivo. Nel settore Distinti Nord, lato Tribuna Monte Mario, i sostenitori austriaci danno vita ad una bella coreografia fatta di sciarpe tese, pezze e fumogeni bianchi e viola. Il vero spettacolo è lì in quel piccolo spicchio di paradiso, la normalità dovrebbe essere dipinta così e non nello stare seduti ad attendere una rete per immortalare il tutto con il proprio fiammeggiante smartphone.

Hanno vinto loro, mentre Roma sta perdendo quel poco di spontaneo e popolare rimasto in un calcio devoto al business e alla safety. Esterofilia per mascherare un male che sta smembrando gli ultimi brandelli di uno sport che fu rappresentazione sacra, per dirla alla Pasolini. Hanno vinto loro che son riusciti ad aggirare, con qualche scontata reazione da parte dei solerti sceriffi, le sgangherate misure di sicurezza. Una luce che per pochi istanti ha illuminato il più buio dei tunnel. Se fosse stato fra noi, Platone avrebbe cambiato i protagonisti del suo Mito della caverna.

Gianvittorio De Gennaro.