Non ci sono la maglia a scacchi, simbolo sociale, il pubblico delle grandi occasioni, il sole o un avversario di rilievo, o che come minimo potrebbe attirare qualcuno che vuole essere sicuro di vedere del bel gioco su un campo da calcio. Ma questo Rimini-Lentigione comunque mi ha dato l’impressione di non aver sprecato la mia domenica pomeriggio.

Piove, e pare che così debba essere se il Rimini gioca in casa, negli ultimi tempi. Ma nello spiazzo fuori dalla Est ci sono i ragazzi che seguono i colori biancorossi: si beve qualche birra e ci si racconta come è andata il giorno prima a Friburgo, dove, assieme ai gemellati sambenedettesi, è stato appeso anche un drappo riminese.

Osservo dall’esterno questa grande famiglia, dove, come spiegava Nick Hornby, tutti si preoccupano delle stesse persone e sperano le stesse cose. La sua ottima penna però dimentica una cosa: che la famiglia si preoccupa anche di sé stessa. E vedendo un tifoso biancorosso sui 50 anni essere qui nonostante abbia perso la madre in mattinata, capisco che è qui per stare con chi ha il suo stesso vecchio amore, un amore che magari lenisce anche il dolore. Chiaramente poi nelle famiglie si ricorda anche chi se ne va o sceglie di andarsene, come fatto nell’enorme murales che copre le pareti esterne allo stadio dall’ingresso della Est, dopo la biglietteria, per ricordare “Bruco”.

Oggi però per qualcuno è un giorno di festa: rientrano dopo anni gli ultimi diffidati per i fatti della gara contro Riccione, cittadina vicina e la cui tifoseria è in rapporti ostili con i riminesi e, non di meno, con i gemellati giallorossi di Cattolica.

Mi posiziono in alto della gradinata in tubi, prezzo popolare di 6 euro per il biglietto. In balaustra è appeso lo striscione “Amor senza pretese” con la pezza Vecchia FAB e la bandiera pirata simbolo dei Rimini Hooligans; in campo invece, come sempre da qualche anno a questa parte, lo striscione rosso con scritta bianca in stoffa dei Red White Supporters.

Il tifo è ben ritmato da due tamburi, uno dei quali gestito dal piccolo Riccardo, occhiali, aria timida e sicuramente meno di 10 anni. L’atmosfera è arricchita da un paio di bandieroni sempre al vento, uno dei quali raffigurante la rovesciata di Nello Pascutti, che negli anni ’80 militò qui in serie B.

Il Rimini sul campo si fa valere e passa in vantaggio, mentre sugli spalti si celebra il ritorno dei diffidati con uno striscione in tre pezzi. Iniziato il secondo tempo arriva il raddoppio e poi si comincia a soffrire, con gli ospiti che accorciano le distanze; il quarto pareggio consecutivo non gioverebbe di sicuro, dato che l’Imolese, seconda forza del campionato, non pare avere intenzione di mollare. Alla fine i locali si impongono 2-1, mentre i rossoblu bolognesi pareggiano in trasferta, assicurando ai biancorossi un vantaggio di sette punti ad altrettante giornate dal termine.

Nel post partita, in un bar vicino allo stadio, noto che è venuto a salutare i tifosi anche il portiere biancorosso Scotti, classe 1983, e legato alla squadra tanto da appendere alla rete della porta da lui difesa una sciarpa prodotta dai ragazzi del vecchio Gruppo Comodo. Qui mi presentano uno dei lanciacori, che mi informa della protesta in corso da parte dei gruppi che seguono il Rimini basket contro il presidente Capicchioni, accusato di una gestione mediocre della società e di navigare a vista, nonostante sia ormai all’ottavo anno di dirigenza (vedi pagina fb https://m.facebook.com/rivogliamobasketrimini/).

Salutati i ragazzi, mi avvio verso la stazione, felice di aver trovato un senso di appartenenza anche in quest’angolo d’Italia, nonostante fallimenti sportivi e pioggia. Hemingway in Per chi suona la campana diceva “È molto meglio essere allegri, ed è anche il segno di qualche cosa: è come avere l’immortalità mentre si è ancora vivi. Una cosa complicata”; ecco, oggi sono sicuro di aver trovato persone con briciole d’immortalità.

Testo di Amedeo Zoller.
Foto di Gilberto Poggi.