Ricordo come se fosse oggi i due derby che succederono alla morte di Gabriele Sandri. Non furono semplicemente derby. La rivalità improvvisamente parvero scomparire e tutto si convogliò nel ricordo di un ragazzo vilmente ucciso mentre seguiva la sua squadra.

Sono passati dieci anni eppure quei 180 minuti li ho ancora ben impressi in mente. Gli striscioni, i fiori deposti dalla Sud sotto la curva Nord, il “Meravigliosa creatura” di Gianna Nannini solfeggiato dagli altoparlanti dello stadio e un clima complessivamente sommesso e incredulo. Tutto c’era voglia di fare tranne che di offendersi, tra romanisti e laziali.

Ci sono momenti che ti fanno capire quanto le tue battaglie di militanza curvaiola siano piccole e risibili rispetto alla vita di un tuo coetaneo ucciso in maniera barbara e di quanto il dolore della famiglia possa – debba – prendere il sopravvento su tutto il resto. Sebbene la famiglia Sandri di sceneggiate e voci grosse non ne abbia mai fatte. Anzi, tutt’altro.

Ha avuto giustizia Gabriele? Sicuramente non quella che meritava. Ma anche fosse, nessuno ridarà mai la sua vita ai sorrisi di questo mondo. Ed è questo ciò che a Roma è rimasto impresso e che, come in quei due derby, fa sempre sparire rivalità e differenze nel suo nome. E nel nome di una gioventù dipinta sempre allegra e facilitata ma troppe poche volte descritta come oppressa e tarpata precocemente nelle sue voglie fantasiose e nei suoi impeti passionali.

È questo che dopo due lustri fa sentire ancora vivo il suo ricordo e fa rendere più grandi e tangibili le tragedie occorse ad altri ragazzi di stadio. Luca Fanesi, tanto fare un nome a caso. Perché passano gli anni e ci fanno credere che si evolva questa nostra società, ma in determinate situazioni la somma delle operazioni dà sempre lo stesso scontato e ripugnante risultato: due pesi e due misure.

Fa strano vedere la famiglia Sandri lì a bordo campo. Con la sua solita compostezza. Con la sua classica educazione. Con i 60.000 dell’Olimpico che applaudono prima la loro immagine e poi quella della coreografia della Nord. A Roma – scusate il piagnisteo vittimista – troppo spesso ci hanno dipinti come beceri, violenti e senza scrupoli. Si sono dimenticati di comprenderci, di analizzarci e di capire la nostra indole. In pochi sanno quello che le tifoserie capitoline hanno fatto per Gabbo e la sua famiglia e in ancor meno sanno quanto lui sia sacro dentro i confini del GRA.

Dà persino fastidio a qualcuno. Altrimenti non si spiegherebbe il vergognoso e violento – quello sì – divietO ai propri familiari di avvicinarsi alla Curva Nord per ringraziarla. “Motivi di ordine pubblico” hanno sentenziato lor signori. Chissà quale turbativa avrebbero potuto dare un abbraccio commosso e qualche applauso.

Quante volte avete detto che i tifosi devono imparare a rispettare le regole e non infrangere il muro della buona educazione? Ma per piacere, gli ultras – e i tifosi in generale – non possono certo seguire simili diktat da chi puntualmente non vuole minimamente rispettare neanche la memoria di ragazzi morti ammazzati per mano di chi dovrebbe invece tutelarne l’incolumità.

E via a insabbiare, inventare ricostruzioni e distorcere l’informazione. Fortunatamente le nuove generazioni hanno l’opportunità di aprire gli occhi con maggior cognizione di causa sulla manipolazione che i vecchi marpioni fanno con i media. Oggi noi abbiamo la chance di far salire agli onori delle cronache un Luca Fanesi, anni fa Paolo Scaroni lo hanno fatto passare per un delinquente che se l’è cercata. Tutta qua la differenza.

Abbiate rispetto delle famiglie e del loro dolore. Altrimenti non potrete pretendere che generazioni defraudate da sogni, futuro e lavoro accrescano l’idea di Stato e il rispetto delle Istituzioni.

Gabriele vive. Oggi e sempre. Qui chiudo.

Chiudo perché è giusto parlare di un derby che dopo tanti anni torna a far registrare cifre importanti sugli spalti e a veicolare tutto quell’interesse e quella tensione che da sempre lo hanno contraddistinto come una delle partite più attese e particolari del Belpaese.

Roma-Lazio si affrontano occupando le prime posizioni in classifica e questo – già di suo – basta per mandare in tilt la città. Del resto è sufficiente entrare in un qualsiasi esercizio dal centro alla periferia per sentire discorsi legati alla stracittadina. “No signò, oggi chiudemo alle 17 perché ce sta ‘r derby”. È solo una delle frasi che sento il sabato mattina camminando per una caotica Via Tuscolana. Ciò mi rinfranca, almeno l’anima popolare di romanisti e laziali ancora non è andata totalmente in frantumi.

È una partita nevrotica, odiosa, sentita e che lascia strascichi infiniti. Chi non è nato da queste parti davvero può capire a fatica. E posso tranquillamente dire che non vi sono altre similitudini in Italia. Nemmeno il bellissimo e passionale derby di Genova contiene una quantità così alta di odio, amore, fibrillazione e sfottò.

Nessun derby ha altresì subito un simile numero di divieti, limitazioni e restrizioni negli ultimi anni. Ce l’hanno messa davvero tutta per uccidere questa partita. Le barriere sono state soltanto il degno finale di un film horror costituito prima da settori semichiusi, poi aperti solo ai possessori di tessera del tifoso e infine venduti a prezzi a dir poco scandalosi (aspetto che ahinoi resta invariato, basti pensare agli 80 Euro per una Tribuna e ai 35 per una Curva), orari improponibili e campagne mediatiche denigratorie, più adattabili allo scoppio del confitto in Siria che a una partita di calcio.

E possiamo parlare di protocolli quanto ci pare ma ormai i danni fatti negli ultimi dieci anni restano irreversibili. Quindi prendiamoci quanto di buono viene e facciamocene una ragione, pur essendo consapevoli che i Roma-Lazio di un tempo, quelli degli striscioni già due ore prima del fischio d’inizio, degli spettacoli pirotecnici e delle coreografie maestose difficilmente ritorneranno.

Un’oretta prima dell’avvio delle ostilità sul manto verde gli spalti presentano già un ottimo colpo d’occhio e con il passare del tempo molti spazio vanno a colmarsi. Ci saranno le coreografie da ambo le parti e anche questa – nel suo piccolo – è una notizia.

Peraltro, a posteriori, mi permetto una riflessione: bello sentire i soliti soloni incensare gli autori delle scenografie, verrebbe quasi da chiedergli se però sanno che sono quelli cui hanno imputato di restare fuori “per interesse” durante la protesta per le barriere o quelli che generalmente definiscono “male del calcio”. Come spesso accade i nostri media assumono posizioni di comodo facendosi beffa del proprio ruolo. Ma anche qui non diciamo nulla di nuovo.

Le squadre finiscono il riscaldamento e rientrando negli spogliatoi lo stadio si prepara freneticamente all’inizio. Come detto prima della partita c’è il ricordo di Gabriele, con la famiglia in campo a raccogliere l’applauso dello stadio.

Contestualmente cala la prima coreografia, quella laziale, che raffigura proprio il volto di Gabbo affianco all’aquila mentre la Sud si colora con la scritta “Roma”, dando vita a una scenografia semplice ma ben riuscita. Spettacolo anche in Tevere dove i gruppi che generalmente occupano la Nord alta issano decine di stendardi anni ’30. Davvero molto caratteristico.

Il Derby della Capitale è finalmente iniziato. E a questo punto “mi tocca” la cronaca del tifo.

Partono forte i laziali, che i primi dieci minuti danno grande prova di intensità e compattezza. Tanto che il tutto lascia presagire a una grande prestazione. Invece, con il passare dei minuti, il tifo perde un po’ in continuità per smorzarsi significativamente nel secondo tempo. Se è vero che la tensione in questo genere di sfide gioca spesso brutti scherzi e – a mia memoria – difficilmente ricordo derby con tifo stellare da ambo le parte, è anche vero che il netto calo nella ripresa sembra anche esser legato a una mancanza di coordinazione. Ma onestamente, non conoscendone in maniera approfondita le motivazioni, mi limito a riportare quanto visto.

Molto bello comunque l’incessante sventolio dei bandieroni e la partecipazione ai cori da parte di tutto il settore, distinti compresi. Segno che anche là riconoscono il ruolo della Nord nella costruzione del tifo e hanno coscienza di quanto sia importante aiutare i ragazzi della curva anziché contrastarli o criticali a tempo perso.

Osservando questa partita dalla tribuna stampa da alcuni anni mi sono accorto di quanto soltanto da tale posizione sia possibile stilare un giudizio completo e super partes. Vedendo la partita dalle curve, infatti, difficilmente si riesce a udire l’altro settore. Un po’ per il rumore, un po’ per la distanza e un po’, come detto, perché il pathos difficilmente permette lunghi momenti di tifo che coinvolgono tutti i presenti.

Sull’altro versante, quello giallorosso, la Sud offre una discreta prova nel secondo tempo, con i muretti che in più di un’occasione aiutano la parte bassa producendo davvero un bell’effetto.

Nella ripresa si alza la seconda coreografia romanista: tre grandi striscioni riproducono la scritta “L’Urbe siamo noi” mentre sotto di essi tre teli raffigurano altrettanti monumenti della città contornati dallo sventolio di bandierine gialle. Sebbene l’idea sia molto bella c’è da dire che la realizzazione risulta un po’ confusionaria, soprattutto per quanto riguarda le bandierine, che sembrano un po’ avulse dal contesto.

Peraltro tale scenografia si alza proprio pochi minuti prima del vantaggio giallorosso siglato da Perotti su calcio di rigore. Un’esultanza rabbiosa che fa letteralmente “crollare” il settore e che si replica qualche minuto dopo, quando Nainggolan raddoppia con una rasoiata da fuori area.

La partita appare indirizzata e la parte romanista di stadio è ovviamente su di giri. Ci pensa Manolas a riportare in gioco la Lazio. Il difensore greco, infatti, colpendo ingenuamente il pallone con la mano in area di rigore concede un penalty ai biancocelesti. Immobile realizza e chiama la Nord alla bolgia, per spingere la squadra al pareggio negli ultimi minuti.

A questo punto è la tensione a farla da padrona in ambo le curve. Il tifo va avanti a sprazzi e nessuno me ne voglia se dico che anche questo fa parte dell’essere tifosi in Italia.

Ricordo un resoconto del nostro Remo su una partita del San Lorenzo al Mondiale per Club in cui sottolineava come i tifosi rossoblu non riuscissero a cantare durante la partita per la troppa agitazione. Conosco quella sensazione e posso dire che è fortemente legata alla maniera viscerale che abbiamo di seguire il calcio. Fa pertanto parte del nostro essere tifosi ed è un istinto primordiale che a mio avviso non può essere criticato.

Sempre meglio ciò delle computerizzate curve polacche o russe. Costanti ma senza la minima attrazione per il pallone.

In tutto questo segnalo la bella prestazione del gruppone situato in Tevere che tra cori e striscioni dona sempre quel sapore retrò a questa partita.

Dopo sei minuti di recupero l’arbitro decreta la fine delle ostilità. La Roma vince il derby e come di consueto sugli spalti si consumano i primi sfottò.

Lo stadio va man mano svuotandosi. La partita più attesa è conclusa e ora la città può decongestionare la propria attesa. Almeno fino al match di ritorno. Un eterno provincialismo che va benedetto anziché combattuto. Un modo di intendere il pallone che magari non produrrà trofei e vittorie ma lascia nel cuore di chi lo vive sentimenti e sensazioni uniche.

Simone Meloni