Al cospetto di presidenti che vorrebbero la propria tifoseria organizzata fuori dallo stadio. Al cospetto di società che auspicano impianti da ventimila posti con poltroncine in pelle. Al cospetto dell’assottigliarsi della passione, dell’omologazione più grigia nel seguire la propria squadra. Al cospetto di un sistema calcio che si regge sulle televisioni, sui loro introiti e su prezzi dei biglietti spesso esorbitanti e illogici. Al cospetto di questo e di tanto altro oggi è d’obbligo volgere lo sguardo al settore ospiti e percepire nitidamente la passione di chi sa che con tutta probabilità è già tutto perso, ma che riesce ancora a dar voce allo spirito basilare degli ultras: quello del tifo a oltranza, del sostegno oltre il risultato (tanto per citare un adagio ormai a dir poco retorico).

La lezione che le due tifoserie genovesi stanno dando in questi ultimi anni credo sia palese e forte. Tra presenze corpose, modo di vivere lo stadio, passione e divertimento. Proprio da quest’ultimo elemento voglio partire. Un elemento base per vivere la curva, che in tanti – in troppi – hanno forse dimenticato ad appannaggio di una seriosità che sembra più appartenere a chi sta svolgendo un lavoro, una missione di vita, anziché a chi dovrebbe seguire la propria squadra anteponendo a tutto lo spirito di aggregazione. Perché è vero che il risultato conta – impossibile negarlo – ma è anche vero che se manca una spinta propulsiva all’interno del tifo organizzato, se non c’è quel misto tra essenza primordiale, coinvolgimento emotivo e consapevolezza di essere “l’uomo in più”, tutto il resto viene inesorabilmente meno.

Certo, è ovvio che all’interno delle due tifoserie del capoluogo ligure – e nella fattispecie odierna di quella blucerchiata – sia stato fatto e sia in corso un lavoro di “ristrutturazione”. Un’opera di unione di tutte le anime, con lo scopo di ritrovarsi sulla stessa balaustra malgrado frizioni e diversità, in nome di un obiettivo comune. Questa forse è l’unica strada percorribile ai tempi di oggi, quando l’intero movimento ultras italiano ha perso di forza, non potendosi più permettere mille spaccature, pena una breve ma irrefrenabile discesa negli inferi. Chi lo capisce sopravvive e forse può ricominciare a vivere. Ogni scelta ha un effetto. E se oggi, dopo tanti anni, gli ultras doriani raggiungono il migliaio di presenze nel settore ospiti dell’Olimpico un motivo c’è. E non è certo un fattore modaiolo, semmai aggregativo e di spirito d’appartenenza.

Bandieroni, voce, qualche torcia e striscioni tenuti ben in vista. I blucerchiati si rendono protagonisti della miglior prestazione ospite all’Olimpico di quest’anno. Incuranti di un risultato che li vede soccombere per 3-0, spingendoli ancor più verso la cadetteria, onorano il proprio vessillo ben oltre il novantesimo.

Su fronte casalingo, l’Olimpico presenta come sempre una bella cornice di pubblico, malgrado a precedente sconfitta patita nel derby. Curva Sud che si colora con i classici bandieroni, risultando tuttavia un po’ sottotono durante i novanta minuti.

Da segnalare, in Tribuna Monte Mario, la presenza di Massimo Ferrero. A più riprese inquadrato dai maxi schermi, il proprietario della Sampdoria viene ricoperto da fischi e insulti dai supporter liguri. Una vera e propria provocazione – l’ennesima – quella sua, che per l’ennesima volta mette in evidenza la natura di un personaggio a dir poco discutibile (che già nel match di andata era stato costretto a fuggire da Marassi per evitare la gogna pubblica) e sgradevole. Nonché artefice dei problemi societari della Samp e continuamente irrispettoso verso il pubblico genovese. Dispiace solo che in diversi teatrini televisivi venga sovente fatto passare come simpatico o folkloristico, quando un panorama mediatico normale dovrebbe catalogarlo per ciò che rappresenta: una mina vagante pericolosa e nociva per il calcio e un comico di pessima fattura, scaduto ormai nella pateticità.

Come detto in campo la Roma regola i dirimpettai grazie ai gol di Wjanaldum, Dybala ed El Shaarawy. A fine partita squadra applaudita da un pubblico che si appresta a tornare in trasferta dopo oltre due mesi, in quel di Torino. Lascio lo stadio con gli ospiti che stanno ancora tifano, coscienti che “la strada è lunga”.

Simone Meloni