C’è un ricordo appannato che mi ronza nella testa quando si parla di quella tragedia sportiva che ventisette anni fa lasciò attoniti i settantamila dell’Olimpico a margine di quel Quarto di Finale di Coppa UEFA un po’ maledetto, un po’ ammantato da un’aura di mito. Si tratta del ricordo di un bambino di nove anni, che delle dinamiche calcistiche e del tifo ancora comprendeva poco, ma che in qualche modo ancora rammenta i commenti del giorno dopo. La delusione tangibile in una mattina di marzo, ancora fresca e intrisa di rugiada, mentre venendo accompagnato a scuola passavo di fronte all’edicola del quartiere. Luogo dove per anni ho assistito ad avvincenti duelli rusticani tra romanisti e laziali, nonché alle alte analisi pallonare dell’edicolante e dei suoi ospiti. Questa sorta di “fantasma” di Vavra (il giocatore ceco che siglando il 3-1 nei supplementari eliminò una Roma che era riuscita nell’impresa di rimontare il 2-0 patito a Praga) non solo ha aleggiato per anni sul popolo romanista, ma è finito quasi per divenire una leggenda. Non credo che ormai ci sia ancora qualcuno che guardi a quella serata con la morte nel cuore, ciò che è rimasto dopo quasi trent’anni è solo l’orgoglio.

Il “Non Molleremo Mai” esposto a tutto stadio e il sogno infranto, in un periodo in cui la Roma non era certo tra le prime squadre italiane per rosa e competitività. Parliamo di un’altra epoca, in cui serate come quelle rischiavano davvero di lasciare il segno per mesi e mesi. Un po’ perché – tutto sommato – si avevano pochi diversivi in cui ammortizzare le delusioni sportive, un po’ perché ancora sussisteva la scia lunga degli anni ottanta, dove la fede e l’amore per la propria squadra di calcio rispondevano in modo quasi ancestrale al più profondo e morboso senso di liturgia. Intendiamoci: non che queste caratteristiche siano svanite, ma il tempo cambia le persone e la società, inevitabilmente. E trent’anni dopo sentimenti, modus vivendi e reazioni appaiono spesso più “annacquate” rispetto ai tempi che furono.

Ciò detto: questo non vuol essere un articolo passatista, né uno spazio in cui ricordarsi quanto era bella un’era che in parte neanche ho vissuto. L’attacco del pezzo credo sia necessario per contestualizzare una partita che poggia le proprie basi su un canovaccio storico imprescindibile. E che su quel sentimento tramutato in orgoglio e senso di appartenenza ha costruito buona parte dell’essere romanisti degli ultimi trent’anni. Del resto è sempre stato così: si è tifosi di una squadra fondamentalmente perdente, che in pochissime occasioni riesce a far togliere il proverbiale sassolino dalla scarpa al tifoso e che in più delle occasioni porta alla sistematica rabbia congenita dei propri seguaci. Paradossalmente è ciò che ha formato il tifo giallorosso. Più di quei pochi successi ottenuti, vissuti – infatti – come piccolissimi risarcimenti danni alle ben più numerose “tragedie”, iniziando da Roma-Liverpool, passando per Roma-Lecce, Roma-Sampdoria e Roma-Slavia e finendo con la recente sconfitta di Budapest.

Venendo all’attualità: lo Slavia arriva all’Olimpico per la terza giornata del girone di Europa League. Da un punto di vista sportivo è una gara attesa, importante, per la Roma. Una vittoria porterebbe i giallorossi a nove punti, a punteggio pieno, mettendo una seria ipoteca sul passaggio del turno. Dal punto di vista del tifo, invece, c’è relativa attesa per vedere all’opera il contingente praghese, atteso in 3.500 unità. Numeri ben più corposi rispetto a quei duecento, intimiditi, biancorossi che nel 1996 si posizionarono nel settore ospiti. Ovviamente qua è la storia a recitare una parte fondamentale: il Muro di Berlino era caduto da poco e sempre da poco la Cecoslovacchia si era dissolta, dando vita a due Stati indipendenti. Praga non era ancora il centro turistico attuale e di certo andare in trasferta non era agevole (all’epoca le compagnie low cost, peraltro, erano ancora lontane dall’effettuare i primi voli). Inoltre, un po’ come in tutto l’Est Europa, anche nella Repubblica Ceca da qualche anno le curve (almeno quelle delle principali squadre) hanno cominciato a viaggiare e vivere in maniera molto più organizzata.

Lo dico spesso, ma repetita juvant: non confondiamo mai questi movimenti con quelli esistenti nell’area balcanica già dalla fine degli anni settanta. Pur avendo dei punti in comune, differiscono sotto tante sfaccettature (innanzitutto proprio dall’approccio allo sport e alla sua partecipazione popolare, i Balcani rispondono ancora fortemente a quella necessità polisportiva e partecipativa di matrice ellenica). E se la mitomania è parte integrante del mondo ultras, diciamo pure che il misto hooligans/ultras dominante a Est spesso raggiunge picchi quasi imbarazzanti in tal senso. E stasera ne avremo palese dimostrazione!

Avevo avuto modo di vedere da vicino la Tribuna Sever (Tribuna Nord, volendo tradurre in italiano) qualche anno fa. Sempre in una gara di Europa League contro lo Zenit San Pietroburgo. Si giocava a Praga e per quanto abbia ricordo di una serata piacevole, in uno stadio molto bello e accogliente, non ricordo certo una prestazione chissà quanto memorabile su fronte praghese. A mio gusto (quindi opinabile) le tifoserie ceche e slovacche sono forse nel gradino più basso di un’ipotetica classifica che vede concorrere tutti i Paesi dell’ex blocco sovietico. Malgrado, in questo caso, parliamo di squadre (ci metto anche lo Sparta) con una tradizione grande e importante anche a livello continentale. Per corroborare il mio giudizio mi soffermo solo su alcuni aspetti: il tentativo di camminare spavaldamente e provocatoriamente per le strade di Roma, in parte vanificato da chi non lo ha trovato proprio consono (a buon intenditor…), il brandire con orgoglio lo striscione di un club trafugato all’interno dello stadio da tifosi cechi posizionati in Tribuna Monte Mario. Un Roma Club Tuscolano messo in balaustra a mo’ di trofeo che qualifica molto la “mentalità” di questa tifoseria. Alquanto risibile anche il movimento scenico in cui si produce la parte hooligan della tifoseria praghese nel secondo tempo, salendo tutta assieme le scalette del settore per cercare il contatto nella zona alta di confine tra Distinto e Nord e tornando quasi subito indietro per manifesta incapacità nel dar adito ai propri atti di protagonismo. Per non parlare, poi, delle pettorine rubate ad alcuni steward ed esposte con vanto in eurovisione.

In ultima battuta: la lamentela per la coreografia sequestrata in fase di controllo. Un telone su cui doveva campeggiare la scritta “Ave Slavia” (avevano fatto anche migliaia di magliette con questa scritta) e che la polizia non ha voluto far entrare ritenendola offensiva nei confronti dei tifosi della Roma perché irriverente nei confronti di Giulio Cesare. Tralasciando la decisione e ancor più la comica motivazione che ha spinto le autorità a negare l’accesso della coreografia (conosciamo i soggetti, per oggi evitiamo di sprecare parole sulla loro incompetenza e pretestuosità nel vietare), mi viene da dire: in quale mondo qualcosa di anche minimamente provocatorio viene fatto entrare alla luce del sole dando per scontata l’autorizzazione da parte delle forze dell’ordine? Sappiamo bene quanto ogni motivo sia oggi buono per reprimere. Evidentemente i supporter dello Slavia lo sanno un po’ meno e ingenuamente hanno pensato di non porsi il problema.

Chiudo il giudizio sugli ospiti: malgrado una presenza di tutto rispetto, la loro performance di tifo non sarà propriamente memorabile. Tante pause, qualche bel battimani e qualche coro potente. In mezzo una coreografia composta da cartoncini neri, bianchi e arancioni, di cui tuttavia ho faticato a capire il senso (ma non sarebbe stata meglio una gigantografia di Vavra con relativo sfottò all’avversario? Ahimè l’ironia e l’inventiva non sono proprio di casa a certe latitudini…). Palese la divisione tra la parte ultras – posizionata nella zona superiore del settore e impegnata nel tentativo di fare tifo – e quella hooligan, composta da qualche decina di ragazzi che si posizioneranno in basso, rimanendo a petto nudo nel secondo tempo e scambiandosi oggetti e aste di bandiera con la Curva Nord per tutta la partita. Non me ne voglia nessuno ma tutto davvero troppo poco per essere una delle due tifoserie della Capitale ceca!

Capitolo romanisti: se spesso e volentieri mi ritrovo a essere critico sul tifo e sulla sua complessiva riuscita, questa è una delle volte in cui va dato a Cesare quel che è di Cesare (tanto per rimanere in tema). Sarà il fulmineo doppio vantaggio firmato da Bove e Lukaku, sarà l’atmosfera europea che invoglia sempre a far meglio rispetto al campionato, ma stasera la Sud e in generale il pubblico giallorosso, ingranano sin da subito la quinta e si rendono protagonisti di una prestazione notevole. Un paio di cori a rispondere verranno riproposti favorendo anche la partecipazione di settori generalmente “tiepidi”, cosa che sottolinea quanto lo stimolare il potenziale che si ha a disposizione, toccando le giuste corde, risulti a dir poco esplosivo. Nota di merito anche per i ragazzi posizionati in Nord, che come spesso gli capita ultimamente, riescono a più riprese a trascinarsi dietro buona parte del settore, oltre a rispondere per le rime a tutte le provocazioni ceche. Sempre bello il tanto colore prodotto da bandieroni e bandiere e il discreto utilizzo della pirotecnica che, oltre a non guastare mai, aggiunge quel tocco retrò che ricorda anche ai baldanzosi dirimpettai dove il tifo sia nato e dove, anche loro, di tanto in tanto guardino a modello per replicare.

Come detto, in campo la Roma regola sin da subito gli avversari, gestendo successivamente la partita e portando a casa i tre punti in maniera alquanto agevole. La gara di ritorno a Praga (in programma il 9 novembre) si preannuncia interessante, anche se per come sono stato abituato a leggere determinate situazioni e dopo aver visto all’opera la polizia ceca con i tifosi della Fiorentina lo scorso giugno, i supporter italiani dovranno far attenzione innanzitutto a una forza pubblica che da quelle parti non va proprio per il sottile, mostrando appieno ancora il retaggio di un passato probabilmente non del tutto superato in alcuni comparti della società.

Finisce con il classico “Grazie Roma” e le ultime schermaglie tra tifoserie. L’Europa resta sempre un bel banco di prova, oltre che un palcoscenico dove si riescono ancora a vivere serate degne di nota e confronti da argomentare.

Testo Simone Meloni