Quella tra Roma e Torino è una classica della Serie A. Un match che in passato ha messo in palio anche discrete poste, basti pensare alle quattro finali di Coppa Italia disputate (tre vittorie romaniste e una granata) o ai ruvidi incontri degli anni ottanta, quando di fronte alla Roma di Dino Viola si stagliava forse l’ultima versione di un Torino capace di insidiare le prime posizioni. Per la squadra di Mourinho – reduce dal successo di Genova – si tratta di un’importante tappa per dare un minimo di continuità al percorso in campionato. Stessa cosa che potrebbe dirsi per gli uomini di Juric, che finora lontano dal Comunale hanno raccolto solamente quattro punti.

Malgrado continui a piovere ininterrottamente sulla Capitale anche stasera il pubblico offre un gran bel colpo d’occhio, sintomo che oltre alla voglia di colmare un vuoto durato quasi due anni causa Covid, la politica approntata dalla società in fatto di ticketing rende appieno. Con abbonamenti a prezzi ragionevoli (235 Euro una curva) e possibilità di far acquistare agli stessi abbonati biglietti a prezzo ribassato per altre quattro persone in tutti i settori, si ha sicuramente la sensazione di partecipare a uno spettacolo un pochino più vicino alla sua fruizione popolare. Certo, personalmente continuo a sostenere che per curve e settori ospiti il costo non dovrebbe mai superare i 20 Euro, ma su questo dovrebbero imporsi Leghe e Federazione. E quindi parliamo di qualcosa di attualmente utopico.

Alla presentazione delle formazioni, come da inizio stagione, si alza l’urlo di apprezzamento per José Mourinho. E se come sempre i miei improperi sono rivolti al bislacco modo di annunciare formazioni e allenatori, mi fermo a ragionare sull’ovazione riservata al tecnico lusitano. Perché in questa penso ci sia molto del bene e del male del tifoso romanista. Uno come lui – odiato fino al midollo ai tempi dell’Inter – ha sicuramente trovato pane per i suoi denti in questa piazza. Roma negli anni ha saputo accogliere come Messia dei “Signori Nessuno” (mi viene in mente, su tutti, tale Fabio Junior. Ma la lista sarebbe infinita), salvo poi contestarli e deriderli pesantemente. Sugli scompensi umorali del pubblico capitolino ci sarebbe da scrivere un libro, probabilmente per mano di qualche bravo drammaturgo. Ma in fondo dove finisce l’accezione negativa di questo modo d’essere inizia quella positiva e più genuina. Odio perdermi nelle illusioni o laddove non vedo un minimo di spiraglio di concretezza, ma ai sogni non bisognerebbe mai rinunciare. Nella misura in cui non diventino incubi o tormenti hanno il bisogno di esistere e divampare come la più viva delle fiamme. Mourinho rappresenta ciò per buona parte dei romanisti: l’uomo che ha saputo dare un calcio al calcio e che nel suo curriculum annovera successi e traguardi raggiunti. L’esatto opposto di un club che ormai da quasi quindici anni non riesce a portare a casa neanche una Coppa Italia e annaspa persino laddove dovrebbe planare con semplicità.

Qualcuno dirà: “Eh ma il 6-1 di Bodo?”. Giusto. Penso anche io che buona parte della responsabilità sia proprio dello Special One, volenteroso di dare un segnale alla società ma che sicuramente non pensava di potersi ritrovare in una vera e proprio Caporetto versione scandinava. Perché probabilmente neanche lui ha il polso di quanto in questi anni ci si sia tristemente abituati all’umiliazione sportiva e agli insuccessi. Ed è inutile frapporre a ciò la crescita del brand AS Roma. All’uomo di campo interessa il campo. Al pubblico anche. Sebbene qualcuno abbia provato a raccontarci che dalla crescita del marchio passava anche quella sportiva. E non viceversa.

Il tifoso della Roma che sì, è vero, è un bambinone a cui spesso basta uno zucchero filato per esser contento, acclama Mourinho perché in lui vede la speranza di tornare a lavorare e crescere dando una spallata a quella mentalità “garantista” che ormai da troppo tempo alberga da queste parti. È chiaro che non può essere un uomo solo – anche fosse il più bravo – a invertire la tendenza. Ma è altrettanto chiaro che una mentalità provinciale di cui per certi versi vado in prima persona fiero, non possa più essere accostata alle sorti calcistiche giallorosse. E non certo per divenire il nuovo Chelsea d’Italia, ma per cominciare a non essere più “quelli dei 7-1” O delle improbabili eliminazioni. Ciò non vuol dire che da oggi alcune “sciagure” non riaccadranno più. Sarebbe impossibile tanto è ormai radicato un certo modo di vivere e ragionare. E nel calcio la cabala, le tradizioni e i precedenti contano più di quanto si pensi.

Sì, in parte il romanista vede in Mourinho anche quell’aura di “oppositore” al potere e alle ingiustizie sportive di cui parossisticamente si sente vittima. Sono il tipo meno adatto a spiegare simili congetture, perché difficilmente le ho condivise e ancor meno supportate. Il potere applicato nel calcio penso sia solo un qualcosa su base piramidale in cui – per dirla in soldoni – ogni club al di sopra di un altro può avvalersi di “favoritismi”. Che siano in campo o in altre sedi. Tuttavia trovo che rispetto a tanti (troppi) personaggi mosci o aziendalisti (laddove la politica aziendale era quella di fare i lord anche se di fronte avevi chi ti annichiliva o derideva platealmente) che in questi anni si sono avvicendati a Trigoria, ci fosse bisogno anche di qualcuno in grado di sottolineare, sbraitare e convogliare il disappunto per un rigore non dato o un fuorigioco inesistente. Forse il tecnico di Setubal non sarà paragonabile alla sua prima versione italiana (ma aveva anche un retroterra tecnico maggiore a fargli scudo), il tempo e le situazioni lo avranno reso più “attento” ad esternare taluni comportamenti, ma indubbiamente piace la sua non compiacenza. Che poi per tanto tempo altro non è stata che una meschina compiacenza alla sconfitta e al pubblico ludibrio.

Quindi Mourinho non è lo sciamano venuto ai piedi del Colosseo per cambiare magicamente le sorti della Roma. Ma semplicemente un personaggio in cui i tifosi hanno individuato il punto da cui ripartire e costruire e dal quale lasciarsi alle spalle tutto quello che calcisticamente ha affossato e afflosciato i colori giallo ocra e rosso pompeiano.

In campo la partita è chiusa e dalle poche occasioni. La decide Abraham con un gol nel primo tempo, regalando ai suoi tre punti d’oro in vista della rognosa trasferta di Bologna e dello scontro casalingo contro l’Inter Campione d’Italia in carica. Dal punto di vista del tifo buono il sostegno della Sud che accompagna la squadra nella fasi più critiche della partita e dopo oltre sei minuti di recupero libera nell’aria il proprio urlo di gioia. Nel settore ospiti la sparuta presenza granata – con la pezza Roma in evidenza – prova a farsi sentire di tanto in tanto. Difficile dare un giudizio in assenza degli ultras del Torino che ancora non sono rientrati sulle gradinate.

Testo di Simone Meloni