Riemergono direttamente dagli anni novanta, e dalle pagine sgualcite dei miei album Panini, i primi ricordi legati al Sandonà. Ai suoi anni d’oro, i ’90, che videro i veneti protagonisti in sette campionati professionistici, di cui uno nella vecchia C1 (1999-2000). Sembra (e forse lo è) esser passata un’era geologica. Dai tempi dello Zanutto stracolmo, dei derby regionali e dell’originale striscione dei Caimani del Piave a campeggiare nel bel mezzo della Curva Sud. In questo lasso di tempo i biancocelesti hanno conosciuto l’onta di fallimenti e ripartenze dagli ultimi gradini del calcio regionale. Step intrisi di difficoltà per rimettere la testa fuori dall’anonimato e tornare quantomeno a sperare in una Serie D che manca ormai da undici anni. L’area metropolitana che circonda Venezia può contare sulla presenza di diversi sodalizi storici (basti pensare al Chioggia o al Mestre), che tuttavia da inizio anni 2000 in poi hanno dovuto fare i conti con tracolli spesso disastrosi. Non è mai facile mantenere alta l’asticella in un calcio contraddistinto da fallimenti e personaggi poco raccomandabili, figuriamoci in categorie e piazze considerate “periferiche”, malgrado bacini d’utenza sulla carta tutt’altro che minuti. Inoltre, rispetto all’immagine stereotipica del settentrionale “freddo e scostante”, va sottolineato come la natura del veneto sia spesso e volentieri agli antipodi rispetto a suddette dicerie: molto attaccati alle proprie origini e “folkloristici” nel modo di frequentare le gradinate, anche al di fuori del contesto curva. Certamente per il Nord Est italiano, interessato massivamente da fenomeni di emigrazione interna almeno da inizio del secolo scorso, non è stato facile mantenere intatte le radici e tramandarle ai posteri. Sebbene sugli spalti questo ancora riesca ad avere un ruolo preminente, riuscendo a restituire al panorama ultras regionale numeri e presenze di tutto rispetto.

Quando il treno arresta la sua corsa in quello che storicamente è il capoluogo del Basso Piave, un’afa a dir poco fastidiosa cinge d’assedio i pochi che camminano per le strade. L’impianto sandonatese è lontano poche centinaia di metri dalla stazione e, man mano che mi avvicino, le torri faro si fanno sempre più alte. La semifinale degli spareggi d’Eccellenza contro i piemontesi del Fossano è senza dubbio l’appuntamento più importante per il calcio locale negli ultimi anni e, malgrado il 3-1 subito all’andata, società e ultras in settimana hanno invitato la cittadinanza a gremire gli spalti, per tentare di dare coraggio e forza agli undici in campo, chiamati all’impresa. Il vecchio stadio Verino Zanutto – intitolato all’omonimo ex calciatore del Sandonà, in seguito parte attiva della resistenza e impiccato a Meolo nel 1945 – sprizza calcio d’un tempo da tutti i pori. Edificato nel 1929 è in assoluto una delle costruzioni più vecchie presenti in città e con le sue mura di cinta rettangolari, i suoi spalti a ridosso del campo e la tribuna centrale che ricalca gli stadi birtish del secolo scorso, vale già da solo il prezzo del biglietto. Purtroppo anche attorno a lui si accumulano nuvole grigie da diverso tempo, con il sentore comune che lo vorrebbe distrutto per favorire il solito mercato edilizio, spedendo i biancocelesti in un nuovo impianto che dovrebbe esser costruito leggermente fuori città. Nessuno me ne voglia, ma questi sono i casi in cui mi tocca invocare la lenta e frastagliata burocrazia italiana, sperando che blocchi e rimandi qualsiasi velleità, permettendo al club locale di poter usufruire della sua storica casa.

Con i suoi 40.000 abitanti, San Donà si attesta come uno dei principali comuni del Veneto Orientale e la sua storia è giocoforza legata con quella dei due conflitti bellici. In particolar modo al primo, che a queste latitudini è stato combattuto lungamente, segnando importanti perdite e storie che negli anni si sono tramandate quasi con fare mitologico. Senza dubbio, tra le figure impresse sia nella cultura popolare che negli scritti di guerra, ci sono i Caimani del Piave. Combattenti formati dalla Regia Marina, chiamati a guadare il fiume con scopi sabotativi nei confronti del nemico austro-ungarico. La particolare attitudine acquatica, il dover combattere quasi esclusivamente con l’arma bianca e la resistenza gli valsero l’appellativo che richiama al celebre rettile presente nei fiumi del Nord e del Sud America. Il richiamo a livello curvaiolo, come detto, è dunque un omaggio a questi ragazzi ma anche un fiero senso di appartenenza al territorio. Così come il bandierone che oggi sventola in curva e su cui è impresso il Ponte della Vittoria (distrutto in ambo le Guerre Mondiali) vuol evidenziare lo spirito mai domo degli autoctoni.

La gara di oggi non contempla la presenza di alcun gruppo organizzato proveniente dalla città che ha dato i natali a Paola Barale, pertanto la mia curiosità è completamente incentrata sui padroni di casa. Quando mi appresto a fare il mio ingresso allo stadio, una simpatica signora alla biglietteria mi porge l’accredito, scusandosi per averci poco prima gettato su un’intera tazza di caffè. Cosa che di fatto rende il tagliando marroncino. Ovviamente non posso che trovare esilarante il siparietto, perfettamente in armonia con la semplicità del calcio in queste categorie e con la gentilezza con cui tutti mi accolgono. Persino il commissario di campo, una volta sentita la parola “Sport People”, sveste i suoi panni ufficiali e si complimenta per il nostro lavoro, scambiando quattro chiacchiere sul movimento. Rispetto alle facce imbronciate del professionismo o, peggio ancora, a quelle presuntuose di chi vorrebbe fare le nozze con i fichi secchi, questo è ossigeno allo stato puro. Meglio respirare, prima della prossima intossicazione!

Quando metto piede sul manto verde, il mio sguardo volge ovviamente verso la Sud, dove gli ultras si stanno raggruppando per cominciare a sostenere i propri colori. In totale ci sono circa 1.200 spettatori, numero che avrebbe potuto essere maggior con un buon risultato ottenuto all’andata. C’è poi da tener conto di due eventi che quest’oggi catalizzano l’attenzione di molta gente del luogo: la finale di ritorno dei playoff di B tra Venezia e Cremonese e il concerto di Vasco Rossi a Bibione. Cose di cui va tenuto conto quando si parla di match d’Eccellenza. Ovviamente solo gli ultras possono avere costanza e attaccamento capaci di andare oltre e avere come priorità la propria squadra e il suo sostegno. Tra le fila casalinghe fanno la loro apparizione i ragazzi degli Ultras Perzen, storico gruppo che dal 1982 segue le sorti della compagine di hockey su pista di Pergine Valsugana. Partoni i primi cori per riscaldare l’ambiente, mentre non mancano diverse frecciatine ai giocatori piemontesi, rei – secondo il pubblico di casa – di aver avuto alcuni atteggiamenti antisportivi nella gara d’andata.

Con l’avvio delle ostilità, gli ultras sandonatesi danno il la alla propria prestazione con una piccola torciata, cominciando a macinare un buon tifo, fomentato anche dal gol quasi immediato con cui i biancocelesti sbloccano la partita, dando l’impressione di poter appianare alquanto agevolmente il divario relativo al punteggio. I veneti si mettono in mostra con tanti battimani, cori a rispondere e bandierine quasi sempre in alto. Devo dire che sono rimasto positivamente impressionato dal loro materiale, quasi tutto fatto a mano e complessivamente di buona qualità. Considerata l’atavica difficoltà che ormai molti gruppi italiani sembrano avere nel realizzare pezze e striscioni homemade, questo è sicuramente un punto a loro favore. Molto sintomatico anche il mix tra vecchi e giovani che mi sembra di scorgere sulle gradinate. Non parliamo di una tifoseria dai numeri stratosferici (e sfido chiunque ad averne con una recente storia calcistica così mesta e travagliata) ma sicuramente composta da gente che ha a cuore la prosecuzione di una tradizione ultras di tutto rispetto.

Alla fine la seconda marcatura attesa da tutti non arriva e, come da copione calcistico, il Fossano riesce prima a pervenire al pareggio e poi a trovare la rete della tranquillità. I pochi tifosi assiepati nel settore ospiti accendono anche qualche torcia, ma di certo non si può parlare di ultras. Su fronte sandonatese, a qualificazione ormai andata, la curva cerca di assimilare la delusione continuando a cantare per i propri colori. Al triplice fischio non mancano gli applausi per una squadra che ha permesso ai propri tifosi di tornare a sognare per un traguardo importante come quello della Serie D. Così come non mancano cori e uno striscione contro la Federazione. Lo Zanutto si va, poi, lentamente svuotando e anche per me è il momento di andare, c’è un Vicenza-Avellino serale ad attendermi. Di questo pomeriggio resta tuttavia la sensazione, anzi la certezza, di quanto il nostro movimento ultras affondi ancora radici solide e importanti in lungo e in largo, pure laddove di calcio “serio” non se ne vede da anni e il futuro è tutt’altro che costellato da vittorie e successi. Resta l’orgoglio dei ragazzi di Sandonà, che malgrado la sconfitta consumano il loro post partita proprio alle spalle della Curva Sud, bevendo birra, chiacchierando e passando tempo infischiandosene della terribile canicola che stringe il Veneto.

Lascio alle spalle il vecchio impianto sandonatese e stavolta le torri faro diventano metro dopo metro sempre più piccole. Il treno per Vicenza è stracolmo, tanto che risulterà impossibile mettersi a sedere. Poco male, l’ultima sfumatura tragicomica di questa domenica pomeriggio non può che andare in scena su un convoglio griffato Trenitalia!

Simone Meloni