Nella Domenica delle Palme, la penultima di marzo, scelgo di andare a vedere da vicino gli Ultras Cassina, gruppo che segue le sorti del Sant’Ilario Milanese, formazione che milita in terza categoria lombarda ed appartenente all’omonima frazione facente parte del comune di Nerviano.

La prima domanda che mi sono posto, quando ho iniziato a seguire il panorama dilettantistico lombardo e che magari viene spontanea anche a chi legge, è quella relativa al nome: perché Ultras Cassina?

Questo nome deriva dal fatto che la frazione si trovava in passato ai piedi del bosco ed essendo formata prevalentemente da cascine, era stata soprannominata “Cassina dal Pe’”, in italiano “Cascina del Piede”. Vi è anche chi dice che invece questo nome derivi dalla configurazione della forma geografica di tal frazione, che somiglia proprio ad un piede.

Altro aneddoto curioso è invece il fatto che, nel 1859, dopo la battaglia di Magenta, re Vittorio Emanuele II sostò a Nerviano, come è ricordato da due lapidi, una nel capoluogo, l’altra nella frazione di Sant’Ilario Milanese. In memoria del suo passaggio il sovrano concesse ai residenti, soprattutto nella frazione, di fregiarsi con il prefisso “Re-“.

È questa la spiegazione dei tanti cognomi che iniziano per Re nella frazione; il più famoso di tutti è senz’altro Re Cecconi, cognome che riporta tutti al famoso “angelo biondo”, calciatore della leggendaria Lazio guidata da Maestrelli, Campione d’Italia nel 1974, tragicamente scomparso in circostanze note ma mai del tutto chiarite. Ed è proprio all’oratorio della frazione lombarda che il numero 8 biancoceleste iniziò a tirare i primi calci al pallone.

I ragazzi di casa sono un gruppo nato nel 2007, uno dei più longevi in queste categorie, dove spesso si formano piccoli gruppi che seguono le sorti del proprio quartiere o paese, ma che riscontrano proprio nella continuità l’ostacolo più arduo da superare.

La cosa che senz’altro colpisce è l’originalità di questo gruppo. Si percepisce fin da subito un forte senso di appartenenza: un legame, quello tra tifoseria, squadra e paese molto forte.

Un contesto in cui la partita sembra davvero essere la cosa meno importante: emerge fortemente il desiderio, da parte di questi ragazzi di passare la domenica insieme fin dal mattino.

La grande esposizione di striscioni, unita ai tanti bandieroni, impegna appunto il gruppo ben prima del fischio d’inizio (e conseguentemente dopo quello finale per riporre il tutto).

Personalmente ero molto titubante, dalle foto che avevo visto, in relazione al rapporto tra numero dei sostenitori e materiale esposto. Non ho tutt’ora cambiato idea, ritenendolo eccessivo, ma devo dare atto a questi ragazzi di seguire una propria linea, che li porta ad esporre tutto quello che negli anni è stato creato.

Un’altra cosa molto divertente, che merita un approfondimento, è il “Bar Patty”. Questa storia nasce da una signora, una di quei classici “personaggi”, conosciuta da tutto il paese, che aveva l’abitudine di girare con un trolley vuoto. Da lì l’idea di emulare questa cosa, un po’ per scherzo e un po’ sul serio, creando un frigo bar trasportabile tramite un carrello, utile a “dissetare” i ragazzi durante le partite e a far cassa per autofinanziare il gruppo.

Singolare, non avendolo personalmente mai visto prima, l’utilizzo di uno “sventolatore elettronico”, inventato da uno dei ragazzi del gruppo ed appunto utilizzato per sbandierare, in caso di mancanza di risorse umane, una delle tante bandiere.

Premesso che la conformazione della tribuna di casa, formata da due gradoni, rende ardua l’impresa di tifare, va dato atto a questi ragazzi, in un’epoca in cui tutte le tifoserie tendono ad emulare qualcuno o qualcosa (e anche qui bisogna distinguere tra chi ci riesce quantomeno bene e chi no), di provare a creare qualcosa di proprio pugno.

Dal simbolo del gruppo (un fiasco di vino e un salame) ai cori in dialetto lombardo (che ovviamente, da toscano emigrato in Lombardia, non riesco a comprendere). Per una volta non rimango infastidito dalla musica pre-gara: una cassa situata nella parte di tribuna occupata appunto dagli ultras locali diffonde canzoni chiaramente del posto. Un pugno in un occhio verso chi ormai, anche a questi livelli, propone musiche a tutto volume per il warm-up (evidentemente il termine “riscaldamento” non era abbastanza coinvolgente…), dove sembra che stiano per affrontarsi Rocky Balboa e Ivan Drago. Invece l’atmosfera è quantomeno proporzionata ad una partita di Terza categoria tra due squadre che non hanno niente da chiedere alla classifica.

Unica nota che a mio personalissimo parere stona, ma qui bisogna fare i conti anche col mio modo ortodosso di vedere il calcio, sono le maglie Adidas con cui gioca la squadra di casa, cosa che ritengo un’esagerazione per questo livello calcistico.

Ma è l’unico appunto che mi permetto di fare ad una società che colgo l’occasione di ringraziare per l’accoglienza e la disponibilità all’interno del rettangolo di gioco, cosa che ho imparato a non dare mai per scontata, a prescindere dalla categoria.

A rendere ancor più gradevole la giornata, la presenza della tifoseria ospite dell’Arese, formata dal gruppo Ultras Arese 2017, che vanta un gemellaggio con il Ponsacco e con i Züeni dell’Albissola.

Quando le squadre fanno il loro ingresso in campo, la parte riservata ai locali inscena una piccola coreografia, con fumogeni biancoazzurri e una “cartata”, sempre degli stessi colori. Il loro tifo parte bene ed è molto buono per gran parte del primo tempo.

Nella ripresa calano un po’ come intensità, pur continuando a tifare in maniera continua. Da segnalare l’accensione di un paio di torce, che vedono bene di non gettare in campo onde evitare sanzioni.

Discorso opposto invece per gli ospiti, che soffrono un po’ la supremazia iniziale dei padroni di casa per crescere poi nella ripresa. Anche loro faranno uso del materiale pirotecnico, accendendo un fumogeno arancione per tempo.

La partita finirà con la vittoria dell’Arese per 4 a 1, con le squadre che andranno sotto gli spicchi di tribuna riservati ai propri sostenitori per salutarli. Scena che mi perdo a causa di un equivoco con l’arbitro che promette di restituirmi immediatamente il documento salvo poi perdersi nello spogliatoio…

Ritirato il documento, mentre i ragazzi di casa iniziano il lungo lavoro di smontaggio del materiale appeso, mi ritornano in mente le parole di uno di loro prima della partita, che mi aveva preannunciato che sarei rimasto colpito da quello che avrei visto. Ed aveva ragione: piacciano o meno, a Sant’Ilario vi è un gruppo che fa dell’originalità e dalla propria identità un vanto. E che un’intera frazione ha voglia di portare avanti.

Matteo Biondi