Ci pensavo mentre con la macchina mi lasciavo alle spalle la Capitale: in 28 anni di vita ho quasi sempre ritenuto Roma il centro esclusivo della regione, e troppo spesso mi sono perso paesaggi interessanti, scorci magnifici e, calcisticamente parlando, realtà comunque apprezzabili, o quanto meno storiche e da sempre riconosciute nel tessuto sportivo del Lazio.

Del resto mentre la nebbiolina mattutina scompare, e la Via Anagnina mi porta verso Cori, non voglio neanche ascoltare la radio o rispondere ai martellanti messaggi del cellulare. Mi piace guardare il sole prendere possesso del cielo, farlo diventare di un azzurro intenso e darmi, di fatto, il buon giorno in questa giornata che mi vede, in prima battuta, protagonista in una delle cittadine più storiche e caratteristiche del circondario capitolino (pur essendo provincia di Latina).

Cora, infatti, è l’antico nome del sito urbano che sorgeva nell’attuale sito della conurbazione, ed è citata in diversi documenti dello storico Dionigi d’Alicarnasso, come una delle città facenti parti della Lega Latina, sconfitta successivamente da Roma e assorbita, concedendo (nella fattispecie) a Cora la condizione di città federata. Un breve excursus storico, soltanto per sottolineare come spesso ci si possano perdere perle poco distanti da dove si abita, solo perché non vengono valorizzati da un governo regionale troppo impegnato a mettere le mani in pasta all’ombra del Campidoglio. Ovviamente, rovinando in primis l’esistenza proprio della Città Eterna.

Altra cosa che ci si perde è l’indirizzo dello stadio. Passato nella parte inferiore del Paese, infatti, chiedo lumi agli avventori di un bar. Miti vecchietti che, cornetto alla mano, mi indicano, abbastanza sommariamente, il luogo. Ovviamente prima di trovarlo ci sono un paio di deviazioni errate e innumerevoli moccoli che cadono senza troppi complimenti.

Lo stadio “Stoza” è a dir poco impressionante se equiparato alla categoria in cui gioca la squadra locale, ma anche alla grandezza stessa di Cori. Non avendo dati ufficiali a disposizione, a occhio direi che è in grado di contenere almeno 7.000 persone. Gradoni vecchi, in cemento armato, e pista d’atletica che li divide dal campo. Così si presenta, in tutta la sua genuinità, seppur negli ultimi anni abbia subito importanti interventi per la messa in sicurezza. Con immensa gioia noto come tutte le porte siano aperte e, dopo aver superato un ruspante stendino, con alcune maglie appese, sono praticamente dentro. È inutile dirlo, ma ultimamente ogni volta che metto piede in questi campi, respiro a pieni polmoni una bella aria di libertà e veracità. Sarà anche per questo che ho deciso di alzarmi di buona lena nonostante le poche ore di sonno.

Gli spettatori di casa si contano davvero sulle punta delle dita. Sapevo di non trovare il gruppetto che fino allo scorso anno ha seguito le sorti dei giallorossi (non ho reperito notizie in merito al loro scioglimento) ma credevo altresì in una migliore risposta corese, considerato che si tratta di una sorta di derby e, almeno fino a qualche tempo fa, queste gare a livello di campanile erano sentite un po’ da tutti (anche se va sottolineato che da queste parti, il vero derby è contro la vicina Giulianello). C’è anche da tener conto che il calcio a Cori non ha mai vissuto momenti di gloria e questo non ha sicuramente favorito un saldo feeling tra la gente del posto e la compagine locale.

Dall’altra parte c’è il Velletri. Società tra le più gloriose e affermate nella zona dei Castelli Romani. I rossoneri, fondati nel 1955, hanno vissuto il loro momento di splendore a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, sfiorando la promozione in Serie C, centrando decine di secondi posti in Serie D (che con i sistemi di oggi gli sarebbero quanto meno valsi gli spareggi) e sfornando giocatori celebri a livello regionale e non solo (Stefano Colantuono, attualmente alla guida tecnica dell’Udinese, ne è uno dei fulgidi esempi). La squadra castellana ha sempre potuto contare su un seguito cospicuo, sia di matrice ultras che popolare. Seppur gli ultimi, anonimi, campionati abbiano fatto calare l’appeal della squadra cittadina, che per una stagione era persino scomparsa dalle cronache calcistiche. In seguito alla retrocessione in Promozione, datata 2011/2012, la società si era fusa con il Lariano (altro paese della zona dei Castelli) dando vita a un pittoresco Lariano Velletri. Denominazione di nuovo mutata nella stagione successiva, quando il club è tornato a chiamarsi Vjs Velletri.

A tenere in altro il nome dell’antica Velester è la Banda Volsca, gruppo che ispira il proprio nome alle origini della città, che fu annoverata come uno dei principali insediamenti dei Volsci, popolo italico dell’epoca pre romana. Come detto su un precedente racconto, la situazione ormai vegetativa delle curve capitoline, ha permesso a tante realtà locali di tornare a germogliare, riscoprendo quanto sia bello portare in giro i colori della propria città, soprattutto in categorie dove il livello di repressione è minimo e il calcio è ancora uno sport “potabile” e alla portata di tutti.

I ragazzi della Banda Volsca fanno il loro ingresso “alla vecchia maniera”, preceduti dall’esplosione di numerosi bomboni. Una volta posizionati nella parte bassa dell’immensa curva a disposizione, e attaccato lo striscione, i veliterni cominciano a tifare. Tante manate e cori a rispondere sono il marchio di fabbrica degli ultras ospiti, nonostante la squadra vada quasi subito in svantaggio. Il sostegno, tuttavia, non manca per l’intero incontro e, nel finale, con il secondo gol subito, spiccano i cori contro i rivali di Cisterna di Latina, e quelli eseguiti saltellando spalle al campo. Bello il gesto finale dei giocatori, che vanno a raccogliere l’applauso e la fiducia incondizionata degli ultras. Un qualcosa che dovrebbero insegnare e trasmettere ai loro spocchiosi colleghi delle categorie superiori.

Per me è terminata la prima tappa di questa intensa giornata. Riprendo la macchina e mi inoltro nuovamente per le stradine che mi condurranno fino a Isola Liri. Ma questa è una storia che racconteremo successivamente.

Simone Meloni.