L’odore della salsedine si mischia a quello del gasolio, prodotto dallo stuolo di imbarcazioni che quasi all’unisono lasciano il porto di Termoli per andare in mare aperto. Dove rimarranno per diversi giorni, dando vita a uno dei riti più antichi a cui l’uomo faccia appello per la propria sopravvivenza: la pesca. Possono essere cambiate le tecniche e migliorate le condizioni di vita, ma resta la rigidità di un ambiente – quello marino e marinaro – che seleziona giocoforza i suoi astanti e i suoi frequentatori. Il fatto che questa visione arrivi proprio a fine giornata, quando manca meno di un’ora al mio pullman per Roma, mi lascia un senso misto a fascino, suggestione, curiosità e rispetto. Un miscuglio di emozioni con cui provo a sbirciare all’interno dei pescherecci – più o meno grandi – che vedo man mano salpare. Mi fermo a pochi metri dal traghetto per le Tremiti, ormeggiato alla mia sinistra, e resto a guardare i sinuosi contorni del borgo che dorme a picco sull’Adriatico. Poi mi inoltro nelle sue viuzze e nel suo silenzio notturno, che permette di godere appieno scorci e odori, fino a rimanere quasi schiacciato nella rejecelle, la strada più stretta della città (larga davvero una manciata di centimetri) attraverso cui i due bordi della “penisola” su cui Termoli si regge vengono uniti. Un altro tassello al mio personale mosaico di tifo, calcio, storia e geografia è stato messo, ora posso anche tornare a casa in pace.

La visita a Termoli e al Cannarsa erano in programma dall’inizio di questa stagione. Avrei voluto assistere al derby col Campobasso – dopo che anni fa, fortunatamente, vidi questa sfida al Selvapiana -, ma le autorità hanno ben pensato di limitare la trasferta, distruggendo i miei sogni e il basilare diritto (in questa caso dei supporter rossoblù) di assistere a un evento pubblico. La partita con L’Aquila è l’ultimo appello, a cui non posso mancare. Anche perché, con l’incedere della primavera e del bel tempo, la sponda adriatica del nostro Paese mi preserverà sicuramente una bella accoglienza.

Detto, fatto, si parte alla volta di Termoli con la soluzione pullman fino a Pescara + treno regionale. Passare dalle montagne abruzzesi, dove qualche spruzzo di neve ancora domina le cime, alla distesa blu che nei giorni estremamente nitidi non nasconde le coste balcaniche, è sempre un qualcosa di suggestivo. Mettiamoci poi che una regione tendenzialmente sottovalutata come il Molise raramente viene pubblicizzata nel suo bellissimo miscuglio territoriale, che trova monti e colline digradare verso il mare e borghi d’altura lasciare spazio alle poche strade che percorrono il fondovalle fino a raggiungere, per l’appunto, Termoli. Che di questo luogo è sicuramente il centro più rilevante da un punto di vista del turismo marino. Sacro e profano: la sua flotta peschereccia che conta una quarantina di navi (più varie vongolare e qualche gozzetto) e il suo centro storico che comincia a riempirsi di turisti e ragazzi provenienti dai dintorni per passare un sabato sera che sa d’estate anticipata.

Inoltrandosi per il borgo medievale la prima cosa che colpisce è la piccola ma simbolica rocca del Castello Svevo, che di fatto funge da biglietto da visita e preserva parte di una storia millenaria e frastagliata, comune a tanti luoghi disposti lungo la fascia costiera. Basti pensare che già in epoca greca, sannita, dauna e frentana l’embrione di questo centro urbano era utilizzato come avamposto marinaresco, mentre in epoca romana qui vennero costruite diverse ville, sebbene una costante di Termoli – ma in generale dei borghi sull’Adriatico – sia stata quella di doversi difendere dalle costanti incursioni provenienti da barbari, turchi e pirati vari. Nonché dai numerosi terremoti che storicamente hanno sempre funestato l’area. Proprio a una delle suddette incursioni – quella condotta dai turchi di Pialì Pascià nel 1566 per conquistare le Isole Tremiti – è legato uno degli eventi più attesi in città: l’incendio del Castello con cui, ogni 15 agosto, si ricorda questo evento. Ci troviamo in una zona d’Italia molto più complessa di quanto si possa pensare, anche solo per la sua composizione antropologica: qualche chilometro più all’interno esistono ancora comunità dalla lingua albanese, mentre il dialetto locale in molte sue sfumature strizza l’occhio al pugliese, e in particolar modo alla provincia di Foggia. Non un caso se si tiene conto dell’excursus storico che vede Termoli far parte della Capitanata fino al 1811, quando in seguito alle riforme murattiane venne inclusa nel Contado del Molise. Mentre a metà ‘800 i Borbone diedero il permesso ai termolesi di edificare anche al di fuori delle mura, cosa che di fatto permette l’esistenza odierna di un “secondo” centro storico, divenuto stracolmo di locali e atto allo “struscio” cittadino. Facendo la spola tra le due parti, non si può rinunciare a una camminata sulla spiaggia di Rio Vivo, lungo le mura, finendo per sedersi proprio di fronte al Trabucco di Bricche, dove si incrociano il 42esimo parallelo nord e il 15esimo meridiano est, quello che regola il fuso orario di Berlino, Parigi e Roma. Determinandone l’ora solare. Cosa davvero molto affascinante per il sottoscritto, che in età adolescenziale era letteralmente andato in fissa con il reticolo geografico dopo aver letto un fumetto su cui si narrava, in modo edulcorato, la storia del 38esimo parallelo nord, quello che attualmente divide ancora le due Coree.

L’azzurro dell’Adriatico si fonde col beige delle mura medievali e va scurendosi con l’imbrunirsi della giornata. Un grande murales con la scritta “Gente di Mare” domina il porto, mentre decine di adesivi della Curva Marco Guida si scorgono tra le vie del centro storico. A segnare il territorio e a fungere da biglietto da visita per chiunque entri in città. Proprio al mare e al lavoro che esso dà è legato il nome con cui il tifo organizzato termolese si riconosce ormai da qualche anno. Una storia triste. Per certi versi – purtroppo – molto italiana. Marco Guida, infatti, era un ragazzo di appena 16 anni nel 2000, quando morì fulminato mentre puliva sdraio e lettini con un’idropulitrice, presso uno stabilimento di Rio Vivo, dove lavorava saltuariamente. Solo recentemente un tribunale ha obbligato i gestori a risarcire la famiglia, attestando come l’attrezzatura non fosse minimamente a norma, priva di messa a terra e di accorgimenti anti-infortunistici. Una delle tanti morti bianche che caratterizzano il nostro Paese e che, ahinoi, non conoscono la parola fine. Marco era solito frequentare le gradinate del Cannarsa e per questo motivo gli ultras hanno pensato di intitolargli il settore. Non conoscevo la sua storia e – sarà per l’incedere dell’età e il rimanere più impressionato da certe cose – devo dire che di primo acchito mi ha turbato, ricordandomi quanto a volte il confine tra la vita e la morte sia davvero labile. E quanto la stessa possa arrivare davvero per futili motivi.

Ma a rimarcare la presenza del tifo giallorosso ci sono anche molteplici striscioni disseminati in vari punti della città, con i quali si invita tutta la cittadinanza allo stadio. La salvezza passa per questa partita e al Termoli potrebbe bastare un pareggio per mantenere la categoria per il secondo anno di fila. Risultato che sarebbe fondamentale sia da un punto di vista sportivo che in ambito curvaiolo. Mantenere una certa costanza, fare aggregazione e invogliare nuove generazioni a gremire gli spalti è già di suo opera ardua in realtà come queste, lontane dal fascino mainstream del professionismo. Se poi lo si deve fare in una categoria come l’Eccellenza Molisana – con tutto il rispetto – mi rendo conto che diventi ancor più difficile. Pochissimi avversari di fronte, trasferte quasi sempre a una manciata di chilometri e stadi spesso più simili a campetti parrocchiali.

Sicuramente gli ultras adriatici hanno compiuto un percorso netto negli ultimi anni, migliorando sotto il profilo della costanza e dell’attitudine da stadio e potendo usufruire anche di un discreto ricambio generazionale, cosa non da poco. L’apertura di una sede, l’organizzazione di coreografie, il ritorno in D e il voler tendere ancor più la mano alla comunità locale, per preservare il bene comune rappresentato dal Termoli nella massima categoria dilettantistica, stanno senza dubbio giocando un ruolo decisivo. La salvezza dello scorso anno, avvenuta in modo rocambolesco nello spareggio/derby contro la Vastese, ha senza dubbio regalato una dose importante di adrenalina a tutta la piazza, fungendo – come spesso accade nel calcio di questi livelli – da sliding door per entrambe le tifoserie. Andando a colpire duramente quella biancorossa, che lentamente si stava ricostruendo, anche sotto l’aspetto numerico. Vero che la Vastese si trova a disputare l’Eccellenza Abruzzese, sicuramente più competitiva e stimolante di quella molisana, ma altrettanto vero che il campionato anonimo disputato sinora non ha aiutato a soffiare su quel fuoco. Un discorso molto simile, dunque, a quello che facevo precedentemente sugli inferi del regionalismo, dove queste realtà rischiano seriamente di vanificare il lavoro certosino svolto per fortificare la base ultras. Ergo: i risultati nel calcio contano, inutile negarlo o nascondersi dietro frasi fatte.

Il cielo terso e un caldo sibillino salutano questa domenica mattina in cui tifosi e squadre si apprestano a vivere la penultima giornata del campionato. Quando manca poco più di un’ora al fischio d’inizio, un piccolo corteo di macchine e scooter parte dalla sede degli ultras termolesi alla volta del Cannarsa. Armati di bandiere e clacson i giallorossi danno la prima carica, attestandosi a pochi metri dal muro di cinta dello stadio. Uno stadio che personalmente ho trovato davvero affascinante. Magari non sarà bello per chi vuol vedere la partita e stilare giudizi tecnici sui 90′, forse per il tifo è troppo lontano dal campo, ma la struttura vetusta, a tratti “mangiata” dalla salsedine, con il mare alle spalle del settore ospiti e i murales a colorare i contorni della tribuna di casa, restituiscono davvero un’immagine pittoresca. Una curiosità: in pochi sanno che per quattro partite del campionato di Serie C 1975/1976 (tra cui una contro il Bari) il Campobasso, causa lavori al vecchio Romagnoli, giocò proprio qui. Mentre sul tartan della pista d’atletica mosse i primi passi nientepopodimeno che Pietro Mennea, il quale mantenne sempre un legame viscerale con Termoli, tanto da essere oggi rappresentato in un murales cittadino. Molto bello anche lo stuolo di adesivi che copre uno dei cancelletti posti all’ingresso: c’è praticamente di tutto, compresi quelli che richiamano a vecchie sigle del tifo locale come gli Skins e il Commando Ultrà. Mentre faccio le mie considerazioni osservando ogni centimetro dell’impianto, un manipolo di ultras termolesi è sceso sulla pista d’atletica per appendere gli striscioni e ottimizzare le ultime cose relative alla coreografia che verrà esposta. Neanche a dirlo, alcuni agenti seguono attentamente ogni movimento degli stessi, neanche si trattasse di pericolosissimi terroristi. Questo malgrado il clima della sfida sia disteso: tra le due tifoserie non c’è alcun motivo di astio, anzi in passato esistevano anche buoni rapporti, corroborati dalla comune amicizia con i teatini. Ma dell’ipocondria delle nostre forze dell’ordine ormai è quasi inutile parlare, tanto tende a prendere risvolti tragicomici in ogni situazione.

Nel mentre, alla chetichella, stanno facendo il loro ingresso i tifosi aquilani. A loro sono stati disposti cento biglietti per la tribunetta, più altri tagliandi nel settore di casa. E qua esce fuori un’altra magagna targata “fenomeni dell’ordine pubblico”: se è vero che il settore ospiti del Cannarsa non ha certo dimensioni bibliche, è altrettanto vero che potrebbe contenere ben più di cento persone. Questo limite è stato imposto in periodo Covid e – come tante altre cose – mai più revocato. Una barzelletta bella e buona se si pensa che, per ovviare alle richieste di tifoserie più numerose, si assegnano tagliandi della tribuna di casa, andando a creare situazioni di promiscuità che potrebbero portare a tensioni e bisticci. Ma è proprio vero: o ci sono o ci fanno. Io tendo sempre a optare per la prima. Sta di fatto che i tagliandi sono andati sold out, anche perché L’Aquila è ancora in corsa per la promozione e, con il Campobasso impegnato a Chieti, vuol vendere cara la pelle prima di alzare bandiera bianca, soprattutto dopo un campionato che ha visto i rossoblù crescere lentamente e arrivare nella parte finale carichi e in piena forma. C’è dunque anche un’interessantissima contesa sportiva a rendere questa sfida ricca di fascino e a non farmi rimpiangere, almeno parzialmente, la possibilità di esordire su questo campo nel derby contro i Lupi. Gli ultras abruzzesi si sistemano dietro a tutte le consuete pezze dei Red Blue Eagles e a pochi minuti dal fischio d’inizio, cominciano a farsi sentire con un paio di bei cori secchi.

Le gradinate presentano davvero un bel colpo d’occhio e quando le squadre fanno capolino dagli spogliatoi, la Guida si colora con una coreografia composta da tante bandierine gialle, rosse e bianche, da un telone centrale che rappresenta un bambino intento a sventolare una bandiera con l’ippocampo e dallo striscione “Sono cresciuto con te”, che ricalca le parole di un coro ovviamente eseguito nel frattempo. Le bandierine prima vengono tenute tese a mo’ di cartoncino e poi sventolate, producendo sicuramente un bell’effetto che si protrae per diversi minuti. La sfida del tifo è aperta e, a conferma di quanto a questi livelli ancora venga preservato lo spirito vero e genuino, si conferma di ottimo livello.

Su sponda casalinga i molisani danno vita a una bella performance: tante manate, un paio di sciarpate sulle note di “Gente di Mare” e cori tenuti a lungo, con i ragazzi posti ai megafoni che si dannano per coinvolgere i presenti. La copertura del settore aiuta a far rimbombare i cori e sicuramente il numero, più alto del solito, di presenti, costringe agli straordinari chi si trova a coordinare il tifo. Unico appunto, sebbene personale: forse sarebbe stato più bello togliere lo striscione della coreografia per dar spazio alle insegne del tifo. Vero anche che l’atteggiamento restrittivo dei soliti noti ha fatto desistere i supporter dell’Ippocampo dal rientrare fugacemente sul tartan e staccare tutto. Ma ripeto: quisquilie, più che altro mie fisse sull’estetica. Ciò che conta, alla fine, è la sostanza. E su questo poco da dire ai termolesi: si confermano realtà brava nel tifo e nel colorare il proprio spazio. Elementi essenziali, che talvolta oggi sembrano quasi tabù per certe tifoserie.

Sul fronte opposto gli aquilani si mettono in mostra con la loro solita prestazione fatta di numerosi cori a rispondere e tenuti a lungo. Con la sbandierata eseguita a metà primo tempo apportano una bella nota di colore, concentrandosi sempre, tuttavia, sull’aspetto della compattezza. A volte risultando quasi “robotici” nei movimenti. Ormai è il loro stile da qualche anno a questa parte. I risultati dagli altri campi disegnano lentamente i contorni della giornata, con il Campobasso vincente a Chieti, matematicamente promosso e lo 0-0 finale del Cannarsa che regala al Termoli la salvezza diretta, senza dover passare per la lotteria dei playout. Al triplice fischio scoppia la festa nel settore di casa, con la squadra che corre ad abbracciare i propri tifosi, suggellando un traguardo che solo nel girone d’andata sembrava impossibile per i molisani, che dal giro di boa ad oggi hanno macinato vittorie e punti in modo quasi impressionante. Anche i giocatori aquilani si portano sotto i propri sostenitori, che ovviamente li accolgono con cori e applausi. Dopo anni di anonimato e infime categorie, il club rossoblù è tornato su ottimi livelli, permettendo ai propri seguaci di sognare e pensare a un futuro che sembra possa avere tutte le carte in regola per regalare gioie e successi.

Adesso i clacson di questo nuovo corteo suonano “a ritroso”, portandosi verso il mare e verso il centro cittadino. Tanti ragazzi si incamminano per le strade canticchiando i cori della Guida, sintomo di quanto giornate e campionati del genere siano fondamentali per creare empatia. Un’empatia che a questi livelli è vitale, soprattutto per quando ci si ritroverà nelle difficoltà e servirà un aiuto da parte di tutta la comunità locale. Termoli ha senza dubbio tutto per restare e cementarsi come una delle classiche realtà di provincia nostrane, una di quelle che generalmente ci invidiano all’estero e per le quali arrivano nel Belpaese a osservare e rubare con gli occhi da tutta Europa. Ancora oggi. Malgrado la repressione, malgrado tutti i problemi che caratterizzano il mondo curvaiolo nostrano. Ciò che servirà, a mio avviso, è soprattutto una cosa: la continuità. Ma l’impressione è che il “miscuglio” umano di cui i giallorossi sono stati capaci, possa garantire tutto ciò. L’idea che si cela dietro una militanza, dietro un progetto e dietro a un modo di essere, determina il cammino. Qua siamo lontani anni luce da quelle entità che lucrano, svendono la propria fede o cercano il consenso nella gente per foraggiare i propri interessi. Con pregi e difetti questo tipo di realtà italiane conserva una certa purezza, nella sua semplicità. Nella sua “non ricerca” del colpo ad effetto, quanto più dei mattoni da mettere l’uno sopra l’altro per costruire fondamenta e case solide e non scalfibili dal tempo.

Ora che il sole sta inesorabilmente andando a morire dietro l’arco appenninico, non mi resta altro che attendere il mio pullman assaporando la parte finale di questa esperienza. E allora rieccoci al porto, alle barche, ai vicoli e alla luna che sale imperiosa sbattendo nell’acqua apparentemente nera. L’indomani mi risveglierò a Roma, con il pullman che ha cullato il mio sonno percorrendo parte della costa fino a Pescara e tagliando in due l’Italia fino alla stazione Tiburtina. Rimangono i ricordi, le sensazioni. L’esperienza, quella che ti fa vedere il Mondo, soprattutto nelle piccole cose, in modo differente. Con un’altra annata che sta andando in archivio mi sono ormai rassegnato nello scrivere e pubblicare i miei racconti in perenne ritardo. E questo, sicuramente, fa di me un “narratore” non in linea con i tempi e con la loro frenesia. Non aiuterà ad accalappiare seguaci e lettori dalla “breve” scadenza. Ma resto sempre più convinto che sacrificare immediatezza e superficialità con approfondimento e passione sia quasi sempre un valore aggiunto. Implicando la lentezza di ciò. La stessa lentezza con cui puntualmente effettuo i miei viaggi sulle più sconquassate “diligenze”.

Simone Meloni