Questa partita del 23 Dicembre doveva essere, per me, un tranquillo “dopo-derby” di Milano, giocandosi esattamente il giorno dopo Inter-Milan, di Lunedì sera, come si usa spesso fare nell’hockey su ghiaccio italiano. Giorni abituali come il Lunedì o il Giovedì non sono il top per le tifoserie organizzate di serie A, spesso alle prese non tanto con distanze siderali, ma con problemi logistici derivanti dal fatto che molti centri sono situati in valli non proprio al centro del mondo. Il Valpellice è, per il massimo campionato italiano di hockey, eccezione e regola nello stesso tempo: regola perché la sede, Torre Pellice (5.000 abitanti), con la più ampia Valpellice (circa 25.000), si trova sì in una valle incastonata fra le montagne; c’è però l’eccezione, costituita dal fatto che questa non è la solita squadra trentina, altoatesina o bellunese, bensì proveniente dalla parte opposta del nord Italia, esattamente dalla provincia di Torino, all’estremo confine con la Francia, in una zona dove l’hockey su ghiaccio, a livello sportivo, è tutto.

Dicevo, il dopo-derby. Mi aspettavo una tranquilla serata di riposo in seguito ad una ben più caotica. Beh, mi sbagliavo. Dopo quanto visto a San Siro, e già da me raccontato, ripongo tutte le mie speranze di tifo natalizio proprio su questo incontro. Ovviamente qualcosa che non quadra ci deve essere sempre. Per esempio mi aspettavo di vedere all’opera gli Ultras Valpe, storico gruppo al seguito dei biancorossi piemontesi. Invece nada de nada. Informandomi un po’ prima, mi accorgo che gli Ultras sono autosospesi dalla stagione scorsa, a causa di contrasti piuttosto insanabili tra la dirigenza e il modo di tifare del gruppo. Divergenza che ha portato diversi ragazzi ad avere guai giudiziari per delle sciocchezze, e in piccoli centri come Torre Pellice anche la minima mosca che vola può portare con sé strascichi pesanti. Capisco la loro situazione, dispiaciuto dalla certezza che anche stasera sarò all’Agorà senza vedere una tifoseria ospite.

La metropolitana non tradisce mai, arrivo alla fermata Primaticcio e da là, in cinque minuti a piedi, sono davanti all’impianto. L’afflusso è veramente notevole, segno di come Milano sia legata alla propria squadra e a questo sport, nonostante le due squadre di calcio di serie A e persino il basket siano delle schiacciasassi. Ma se a Londra c’è posto per una miriade di squadre nel solo calcio, perché qua non ci deve essere un buon seguito per uno sport bello e, per certi versi, ancora pulito?

Il mio accredito stavolta c’è, e posso entrare sugli spalti senza problemi. La gente è tantissima, al punto che stasera è impossibile, per i fotografi, ritagliarsi uno spazio nel solito lato basso di tribuna. Agli ingressi vengono venduti peluche da lanciare in campo al primo goal e da donare ad una clinica pediatrica, assieme all’incasso di tali peluche. Anche se è la prima volta che in Italia viene fatta un’iniziativa del genere, questa usanza, nata in Canada qualche anno fa, si chiama Teddy Bear Toss e consiste, appunto, nel lanciare peluche in campo, da donare poi a scopo di beneficenza, al primo gol della propria squadra. Questo sempre nella partita precedente al Natale. Un’iniziativa simpatica, tipica di questo sport, che, pian piano, si è diffusa anche in tutto l’hockey su ghiaccio europeo. Per me è l’occasione di vedere qualcosa di nuovo.

Riesco a trovare la mia postazione di fortuna, mentre vedo come, effettivamente, oggi si vada vicini al tutto esaurito. Del resto, venire qua è un piacere. Solo per dirne una, a San Siro una Coca Cola ti viene spiccicata a 5 €, mentre qui, con meno, dall’ambulante all’esterno che ha piazzato un forno a legna, ti porti una bella pizza al cartone, da mangiare comodamente sugli spalti ancora fumante. I controlli sono quasi nulli e il biglietto te lo fai all’ultimo senza esibire documenti o tesserine strane.

Proprio mentre mi accingo a preparare la macchina fotografica, in vista della coreografia che la Curva Milano sta per mettere in atto, mi accorgo che qualcosa non va. Un pannello in plexiglass è completamente frantumato, ed un conciliabolo tra arbitri e capitani delle squadre fa capire che il guasto va riparato. Lo speaker annuncia 10 minuti di ritardo sull’inizio della partita. Arriva il ricambio del pannello ma è troppo corto e, pare, della stessa dimensione non ve ne sono. Rimane una parte aperta molto pericolosa per i giocatori, visto che le spinte e le spallate sulle vetrate sono la regola. Il pubblico rumoreggia. I minuti passano e, in stile Ryanair, il primo ritardo diventa poi a tempo indefinito. Non si sa come fare e, per riempire lo spazio vuoto, viene messo un compensato bianco alquanto instabile. I 10 minuti diventano mezzora tra il montaggio dei pezzi e le discussioni tra capitani e giudici di gara. La riparazione è un vero accrocco, tanto che finisce per essere fissata con lo scotch. Un dirigente di Valpellice mi dice che non si potrebbe giocare, e che da loro una sciocchezza simile sarebbe già stata risolta da un pezzo. Non so che dire ma, effettivamente, a Lugano, in piena fase di gioco, ho visto fare la stessa operazione in cinque minuti. La gente, dopo qualche fischio, comincia a fare un via vai con l’esterno, e a beneficiarne è l’ambulante, visto che i più rientrano con la famosa pizza, in attesa che l’incontro (forse) cominci.

Dopo un’ora viene finalmente annunciato l’inizio della gara. Per me questo è un problema, visto che i rigidi orari dei treni non mi permetteranno più di un tempo da vedere. Amen. Una cosa va detta: nell’ora di diatriba sul pannello della discordia, la Curva Milano ha effettuato una gran gamma di cori, uniti a dei battimani veramente di grande impatto. In pratica, oltre ai tre periodi, loro hanno avuto anche un “extra-time” per far rimanere il pubblico nella giusta atmosfera. Da elogiare la loro pazienza, anche se, ovviamente, qualche coro di scherno per la tragicommedia del pannello non poteva mancare. Tra l’altro, dato l’enorme ritardo, si chiede al pubblico di lanciare i peluche a fine partita. Bene, altra cosa che non vedrò, oltre all’intera partita e ai tifosi ospiti.

Finalmente entrano in campo le squadre al completo e posso ammirare la coreografia dei ragazzi della Curva Milano: un bandierone rossoblu con un “7” bianco al centro (che nel calcio sarebbe stato un “12”), e bandierine bianco-rosso-blu ai lati; il tutto semplice ma di ottimo impatto visivo. Alla fine, all’Agorà, si contano oltre 3.000 spettatori, con la gente che partecipa molto attivamente alle fasi di gioco e spesso ai cori della curva. Curva che propone il solito buon repertorio, tra bei battimani e cori tenuti molto a lungo. Chi non risponde adeguatamente è la squadra, sotto di due gol dopo pochi minuti, per l’esultanza dei più forti ospiti. Il pubblico è evidentemente scoraggiato, ma la Curva Milano non si scompone e fa la sua parte.

Verso la fine del primo periodo, coincidente con la mia uscita di scena, qualcosa disturba il regolare andamento del tifo, visto che una parte della curva si svuota per andare a vedere cosa succede sotto. Non ho la giusta visuale, forse sta accadendo qualcosa fuori, fatto sta che, pur continuando a tifare, si vede come poi qualcosa sia cambiato, visto il calo d’intensità, come ci fosse una certa carica di tensione. Non so e non giudico ma, almeno per quel che resta del primo tempo, il tifo rimane costante ma senza l’incisività precedente. Poi è l’ora di andare. Potrei programmarmi almeno una parte di secondo periodo ma, francamente, non ha senso. Trenord non aiuta i questi casi.

Per la cronaca, dallo 0-2 iniziale, come saprò dai periodici specializzati, si passerà ad un clamoroso 4-3 di Milano capace di provocare un’euforia incredibile all’Agorà e una pacifica invasione di campo a fine partita, in un clima veramente festoso. Il dispiacere è di non aver potuto assistere ad un evento ormai eccezionale in qualsiasi sport. Il dato di fatto è che, più ci si allontana dal calcio, e più c’è il serio rischio persino di divertirsi.

Stefano Severi.