Se voi chiedeste ad un romano cosa significhi per lui il derby, con tutta probabilità vi sentireste rispondere: “L’espressione più alta del calcio a Roma”. Nonostante negli ultimi anni parecchi vogliano sminuire questo evento, prendendo le distanze dall’importanza che gli si dà, nella Capitale l’incontro/scontro tra Roma e Lazio è e resterà sempre un qualcosa di molto più profondo e viscerale rispetto a qualsiasi altra partita. Anche la più tesa e sentita. In quei novanta minuti, in quella settimana che lo precede ed in quella che lo succede c’è tutta l’essenza del tifoso pallonaro capitolino. C’è la rabbia, lo sfottò, l’attesa, la gioia e la disperazione. Difficile spiegare a chi viene da fuori cosa sia il Derby di Roma. È un dedalo di storie che s’intrecciano per poi separarsi e successivamente riprendersi in maniera sconsiderata, irrazionale ed a volte straziante o memorabile. A seconda dei casi.

 

C’è poi il derby nel derby, quello delle curve. Demonizzato, osservato speciale, semidistrutto negli ultimi anni, è stato per stagioni intere il vero e proprio fiore all’occhiello della città più grande d’Italia, il biglietto da visita per tutte le restanti tifoserie del paese. Molte delle quali erano solite presentarsi allo Stadio Olimpico in occasioni delle stracittadine per godersi lo spettacolo e prendere appunti. Se penso ai miei primi derby ed alle partite degli anni ’90 e quelle di buona parte dei 2000 mi vengono quasi le lacrime agli occhi. A quei tempi eravamo critici su ogni cosa ma oggi, a riguardare le foto ed i video, posso tranquillamente dire che in Europa , fatta eccezione per quello che si trova dall’altra parte del Mar Adriatico, non c’era davvero nulla di simile nelle capitali degli altri paesi. Spettacoli pirotecnici con torce e fumogeni accesi in quantità industriale, stadio pieno già due ore prima del fischio d’inizio ed una valanga di striscioni (peculiarità tutta romana questa), coreografie e incidenti spesso sopra le righe (inevitabile ricordare il celeberrimo derby “del bambino morto” dove, per quasi un’intera notte, polizia, carabinieri e guardia di finanza faticarono e non poco a contenere la furia dei giovincelli capitolini). Questo era il benvenuto per chi metteva piede nel perimetro dell’impianto di Viale dei Gladiatori.

Al giorno d’oggi è rimasto molto poco, tra campagne mediatiche che rasentano il ridicolo ma che puntualmente fanno centro con l’opinione pubblica, restrizioni sulla vendita dei biglietti, tessere del tifoso e prezzi esorbitanti. Ci si avvia allora verso il primo derby stagionale con la chiara consapevolezza che ciò a cui si assisterà è pur sempre un surrogato della realtà. Ma questo passa il convento. Tuttavia questa partita un qualcosa in più delle altre disputate negli ultimi anni ce l’ha. È il derby dopo quello disputato in finale di Coppa Italia e vinto dalla Lazio. Una deadline ben precisa e contestualizzata che arriva in seguito ad un’estate dolce e festosa per i biancocelesti, tormentata oltre che tesa e colma di rabbia per i giallorossi. I biglietti staccati, come sempre ultimamente, superano di poco la soglia dei 55.000, un numero misero ed avvilente per chi era abituato a ben altri scenari. Ma con settori in teoria “popolari” al prezzo di 30 e 45 euro non si può pretendere di più. Anche questa è (in)sana e vera distruzione del calcio e dei suoi tifosi.

Quando manca mezz’ora all’inizio del match s’intuisce che il maggior entusiasmo proverrà dalle zone occupate dai tifosi romanisti, vogliosi chiaramente di riscattare la sconfitta subita il 26 Maggio. I laziali hanno deciso di snobbare l’evento e l’unico striscione che campeggia in una Curva Nord volutamente vuota è: “Ah dimenticavo, c’è il “Memorial Derby”… finisco la birra e poi entro” in chiaro sberleffo agli odiati cugini. Alle 15 in punto le due squadre sbucano dal tunnel degli spogliatoi, la Curva Sud si colora con una coreografia tanto semplice quanto d’impatto. Migliaia di cartoncini giallo oro e rosso pompeiano vengono alzati al cielo, sovrastati da decine di stendardi a due aste raffiguranti la Lupa Capitolina e dallo striscione “Il mio nome è il simbolo della tua eterna sconfitta”. Il tutto ben contornato da qualche torcia accesa qua e là. Comincia la partita e dopo un paio di minuti i laziali fanno il loro ingresso con un’entrata senza dubbio dal bell’effetto scenico. Una volta riempito il proprio settore si esibiscono in una bella fumogenata biancoceleste completata dallo striscione: “Non c’è niente di più celeste di un cielo che ha vinto mille intemperie”. Dopodiché nei due settori si comincia a tifare in maniera alquanto costante. Oltre alle classiche scaramucce canore non mancano i numerosi striscioni, cosa che seppur in maniera nettamente inferiore rimanda un po’ indietro nel tempo. Buono anche l’utilizzo della pirotecnica. Non si può negare che rispetto ai primi derby del post Decreto Amato, con curve spoglie, poco affollate e prive di colori, torce e striscioni, la situazione sia ritornata quantomeno alla decenza negli ultimi anni.

Nel secondo tempo il tifo si mantiene sulla falsariga dei primi 45’ mentre in campo la Roma prende lentamente possesso del gioco e trova il vantaggio con uno dei più colpiti dalle critiche, Federico Balzaretti. Il suo gol al volo di sinistro fa letteralmente crollare la Sud, con tutta la squadra che si riversa sotto il settore. Al 71’ da segnalare la goliardica iniziativa della Curva Nord, proprio nel minuto in cui a Maggio Senad Lulic punì i giallorossi, i supporters laziali si prodigano in una riuscita esultanza con l’accensione di decine di torce verdi, bianche e rosse che producono un effetto davvero molto bello e “vecchio stampo”.  Tuttavia la squadra di Garcia non fa una piega e nel finale trova anche il punto del 2-0, con Ljiajc che su calcio di rigore chiude definitivamente i giochi, consegnando la terza vittoria su altrettante partite ai romanisti.

Si chiude così il derby della Capitale con l’esultanza della Sud e i cori di scherno della Nord che non smette di ricordare ai dirimpettai la Coppa Italia vinta. A livello ambientale è stata sicuramente una delle migliori stracittadine degli ultimi anni. Sempre nella speranza di poter riacquistare un po’ di quella tradizione, di quel calore e di quell’unicità che ha distinto questa partita ai bei tempi del calcio giocato e del tifo non discriminato.

Testo di Simone Meloni.
Foto di Sauro Subbiani.