Posto che situazioni oltre il limite possono tranquillamente capitare, per carità, nessuno lo nega, però certi scenari da apocalisse sono veramente deprimenti. Un insulto all’intelligenza di chi legge, di chi li scrive e di chi li racconta. La speranza è che in questo paese di lobotomizzati, ci sia rimasto qualcuno capace di un minimo di analisi critica tale da capire che tutto quello che luccica sulla stampa patinata generalista, quasi mai è oro. Sembra che il problema primo dell’Italia siano gli ultras quando è innegabile, e chiunque sia andato almeno mezza volta allo stadio negli ultimi anni lo può confermare, che il fenomeno è in fortissima decrescita, idem come il numero degli incidenti. Però a quanto pare, tra gente che s’impicca e chi resiste è ridotto alla fame o alla schiavitù, un capro espiatorio va sempre bene. Anche di seconda mano.

“Non ce la faccio più a lavorare in quelle condizioni, ostaggio di un gruppo di scalmanati, con la polizia che rimane a guardare. Non ce la faccio proprio più e da un paio di anni ho deciso di non portare allo stadio i tifosi, perché ho paura”.

Mauro è un autista Amt. Per anni la domenica si è chiuso dentro la cabina di guida, la “gabbia”, facendosi il segno della croce. “Non voglio più saperne dei sassi che frantumano i vetri, di porte scardinate, di rannicchiarmi sotto il volante quando il bus viene accerchiato dalle forze dell’ordine in tenuta anti sommossa che lanciano fumogeni. Io non ci vado più in guerra, ma se vuole gliela posso raccontare”.

È un tuffo nel passato, ma da allora la situazione non è cambiata. “Mi ricordo bene un paio di episodi. Uno con la Fiorentina. Non c’erano le palizzate, ed eravamo fermi nel piazzale”. Comincia una sassaiola. “La polizia ci ha circondati e siamo rimasti quattro ore e mezza sui bus, in balia delle tifoserie. La polizia stava intorno, nessuno ci ha portati via, nessuno faceva niente”.

L’ultima volta che è salito su un bus per i servizi straordinari? “Per Samp-Juve. I tifosi hanno preso gli estintori, hanno sradicato le obliteratrici, ce n’era uno che girava con un coltello a serramanico: una scena, che se ci penso mi vengono i brividi. Guardi, io sono uno che non si impressiona, ma quando ti trovi in mezzo a un’orda di persone fuori controllo, ti senti come un animale in trappola. Cominci a sudare, l’adrenalina va alle stelle e sai che non puoi fare niente. Solo perché le condizioni di sicurezza sono pari a zero”.

Cosa si può fare? “Anche tramite i sindacati avevamo chiesto di non demolire i mezzi vecchi e di modificarli apposta per questo servizio. Rispetto a quelli normali, ora c’è solo una porticina un po’ più alta con un lucchettino di bronzo, di quelli che usano le ragazzine per i loro diari, e hanno levato il vetro mettendone uno in plexiglas. In compenso hanno lasciato l’estintore, i sedili, i vetri. Che servono? Se a Bergamo li hanno tolti mettendo le griglie ed è servito, vorrà dire qualcosa…”.

Mauro si rifiuta di fare questo servizio perché è a rischio la propria incolumità. “Devo proteggermi da solo, così quando salgono e cominciano a insultarmi e a tentare di staccare la porta, sto zitto sperando che smettano. Ma basta anche un incendio per fare una brutta fine perché rimaniamo intrappolati dentro, dietro a tutti, e uscire dal finestrino è impossibile”. L’autista punta il dito contro la mancanza di sicurezza. Sopra di tutti non c’è l’Azienda, ma la Questura. “Amt mette a disposizione i mezzi, ma è la polizia che ogni domenica decide se dobbiamo mettere a repentaglio la nostra vita”. Come viene organizzato il servizio? “Una volta caricati i tifosi, spesso un numero che va ben oltre quello consentito, chiudiamo le porte e partiamo. Dopo pochi metri fanno saltare il blocco e le riaprono”.

A quel punto, come se fosse una corsa regolare, vi fermate e chiamate la polizia? “Con dei passeggeri “normali” accadrebbe questo, con i tifosi la polizia ci ordina di proseguire a tutta velocità. Mettono le sirene e si va fino allo stadio, senza fermarsi. Per nessun motivo, ci viene detto”. Domenica scorsa un tifoso del Verona è caduto ed è in coma. “E ora di chi è la responsabilità? Nessuno ci fa firmare una manleva. Poi è anche una questione morale perché se succede un incidente stai male”. Si può trovare una soluzione? “O si vietano le trasferte di certe squadre a rischio oppure il servizio di trasferimento dei tifosi deve farlo la polizia. Sui loro bus, con i nostri, non importa”.

[Fonte: La Repubblica]