Diradatasi la nebbia dei tanti fumogeni e fotoflash accesi nei vari settori o finiti in campo, possiamo tornare alle basi.

Diradatesi le nebbie delle illusioni che un piacere e una felicità pubblica si siano fatti consumo privato, possiamo tornare a ragionare su cosa sia una partita di calcio. Vicenza-Taranto è in realtà un esempio di quanto si può provare su un campo di calcio e sugli spalti che lo circondano durante novanta minuti nei quali si condensano la passione e le speranze di chi ha abbracciato dei colori e ha scelto di supportarli.

Dopo il confronto di andata, terminato a reti bianche, le due squadre si scontrano nuovamente per decidere chi dovrà passare in semifinale. La posta in palio è prestigiosa e succulenta, la serie B vuol dire potersi muovere in giro per l’Italia e approdare al grande calcio, con l’ingresso in un altro mondo, preludio della massima serie. La fame di spettacolo e di risultati è evidente a partire dai numeri sulla carta: il Menti è sold out in ogni settore casalingo e i 1200 biglietti messi a disposizione per il settore ospiti sono stati polverizzati in poche decine di minuti.

Il pre-partita è un lungo avvicinarsi allo stadio da parte del popolo biancorosso, con un isolato tafferuglio a qualche ora dal match. La tensione non è solo legata all’importanza dell’ancora lontano obiettivo ma anche ad un rinnovato e da tempo assente scontro con una piazza importante del Nord. Innegabilmente il Taranto milita infatti da anni in categorie che vedono la possibilità di muoversi solo nel Sud Italia: oggi l’asticella si alza e bisogna mostrare i muscoli. Un tempio del vecchio calcio come il Romeo Menti è lo scenario perfetto per questo sabato sera ed è emozionante osservare dalla tribuna come i distinti si riempiano in ogni ordine di posto, così come accadeva anni fa in massima serie. A pochi minuti dal fischio d’inizio, si alza una coreografia di bandierine e fumogeni nel settore dei Fedelissimi, posizionati nell’estremità a sinistra dei Distinti, segno che l’attività del tifo è iniziata, ora chi è in campo deve esserne degno. Contemporanea alla discesa in campo delle squadre è la bella e popolata sbandierata della Sud, con alcuni bandieroni poi tenuti alti per tutti i novanta minuti, compresi un paio biancoazzuri dei gemellati pescaresi.

Il punto di rottura o di interesse della situazione avviene, inevitabilmente, con l’ingresso della stragrande maggioranza dei tifosi ospiti, avvenuta a gioco da poco iniziato. Il lancio di petardi, fumogeni, torce ed il contemporaneo tifo su entrambi (e talvolta tutti e tre, comprendendo i Distinti) lati aiutano a capire cosa sia davvero una vera partita di calcio, ovvero un match in cui il pubblico mostra in vari modi le proprie aspettative e in cui ciascuna delle squadre opposte in campo è rappresentata in maniera autorizzata e degna sugli spalti. Ultimamente ciò è cosa rara, dato che davanti alla complessità o innegabile difficoltà nell’organizzare l’ordine pubblico per alcune partite, si preferisce vietare. Non occorre andare a riprendere l’ampissima letteratura sociologica sul tema per avere chiaro come questi lanci di materiale pirotecnico siano un moderno modo di rinnovare antichi riti con cui si va a strutturare l’espressione dell’ostilità tra due parti. E questo avviene in una vera e completa partita di pallone. Stadio pieno, pubblico partecipe, ventidue uomini in campo. A completare il “rito”, un medesimo atteggiamento da parte della Sud biancorossa, che dimostra di ricambiare i sentimenti avversari con numerosi fumogeni gettati in campo a “ostilità” iniziate da parte ospite. I novanta minuti trascorrono in questo clima totale, con molta voce e bei battimani dei berici ed il lento sventolare dei bandieroni rossoblù ad accompagnare i loro cori. Sul campo il confronto è maschio e alla fine, nonostante le reti bianche, passa il Vicenza, premiato dal gol segnato nel match di andata e anche dall’inconsistenza del reparto offensivo avversario. A fine partita si completa il legame tra squadra e tifo con i giocatori delle due squadre sotto i due rispettivi settori.

Testo di AZ
Foto di Marcello Casarotti