Questa non è una cronaca della sfida specifica né un racconto dell’ambiente. No, il primo turno dei playoff ha già fatto il suo tempo e la Virtus è stata estromessa da una lapidaria Ravenna. Un’eliminazione netta. Un 3-1 in cui i giocatori capitolini hanno combattuto – è vero – ma dove ad avere la meglio sono stati comunque i romagnoli, forti di un roster più quotato e scaltro in determinate situazioni.

Ma non è questo il punto.

Fine stagione e si tirano le somme. Del resto “nel 2019 allestiremo una squadra per puntare all’A1” è stato il proclama del Presidente Claudio Toti qualche mese fa. Uno potrebbe quindi chiedersi a cosa servisse (almeno dal punto di vista sportivo e agonistico) disputare questa tornata playoff? E se si fosse arrivati in finale, anche per sbaglio, come ci si sarebbe comportati? E se, ancor più per sbaglio, questa ipotetica finale si fosse addirittura vinta? Auto retrocessione dall’auto retrocessione? Una meta-autoretrocessione praticamente. Ai posteri l’ardua sentenza.

Anche se personalmente ritengo che ogni competizione si debba disputare per arrivare a un solo traguardo: la vittoria. Anche perché, seppure formalmente, ci sono società che già sanno di non poter ambire alla serie superiore, non si rischia di sminuire il senso stesso degli spareggi?

Resta una stagione che senza dubbio ha evidenziato, in campo, un gruppo di giocatori volenterosi e battaglieri, per questo ben accetti e applauditi dal pubblico del PalaTiziano. Un pubblico che, a ragione, li ha sempre estromessi da qualsiasi discorso extra-campo e da qualsiasi polemica sulla parabola discendente che avvolge la Virtus da ormai un paio di stagioni. Vale a dire da quanto si è optato per la caduta negli inferi dell’A2.

Certo, qua nessuno nega che la colpa e le responsabilità di questa situazione non possano e non debbano essere solo ed esclusivamente di Toti. Il suo operato purtroppo va a configurarsi in un atavico menefreghismo che da anni attanaglia Roma. Ne ho parlato tante volte e forse è anche superfluo tornarvi sopra per rimarcare i vizi congeniti di una città adagiata sugli allori di non si sa quale prestigio sportivo, un posto che fondamentalmente fa spallucce quando sodalizi come la Virtus finiscono relegati in categorie di seconda fascia o altri club scompaiono nell’anonimato.

Una metropoli che si crogiola attorno alle sue due squadre di calcio: quasi mai vincenti, beninteso, ma che per forza di cose garantiscono un ritorno economico e d’immagine ben differente rispetto ad altri sport.

Ecco su questo non si può negare che l’accusa del Presidente nei confronti di una città passiva all’evolversi degli eventi sia più che giustificata. Sebbene però non debba costituire una scusa per peggiorare  – de facto – le cose.

In questo lasso di tempo spesso ci si è chiesti: “Chi può acquistare la Virtus?”. È senza dubbio una domanda sensata, perché nel mondo dello sport si finisce spesso per passare “dalla padella alla brace” senza neanche accorgersene, cavalcando l’entusiasmo di cambiamenti al vertice che sovente finiscono per sortire l’effetto opposto rispetto a quello desiderato. È pur vero che però in questi anni non è rimasto sempre tutto piatto attorno alla Virtus e forse un’eccessiva “possessività” da parte di Toti ha finito per arenare determinate situazioni, contribuendo a fiaccare – se non spegnare – il fuoco sacro che dal 1960 arde su quelle maglie che sono riuscite a portare all’ombra del Colosseo una Coppa dei Campioni e un’Intercontinentale. Praticamente sono riuscite laddove nessun’altro ha avuto esito positivo.

Non sta a me forse giudicare il progetto sportivo della società. Così come non mi sento di mettere in dubbio la buona fede nel voler tornare ad alti livelli. Da uomo della strada, ignorante in materia, mi chiedo però il perché di tutto ciò? Mi chiedo perché si siano dette tante assurdità in questi due anni? Cominciando dal prendersela con il pubblico, etichettando i tifosi di Roma come freddi e impassibili. Cosa vera in passato, ma forse in parte superata in questi anni. Lo dimostrano i numeri e l’attaccamento che la gente della Capitale ha mostrato, malgrado si giocasse spesso con squadre mai sentite nominare o – nessuno me ne voglia – località difficilmente individuabili sulla cartina geografica. Malgrado si sia giocato un “derby” che è stato francamente umiliante per chi, fino a qualche stagione fa, era abituato a frequentare il Paladozza, il Pianella, Assago o l’Adriatic Arena.

Ovviamente nulla è dovuto nella vita. Così come la permanenza in A1. Ma gli sportivi di tutto il globo terracqueo prima di militare in una serie inferiore vorrebbero quantomeno…retrocederci sul campo.

Ora siamo ai titoli di coda di questa stagione e dunque alle porta di una nuova annata. Cosa si debbono aspettare i tifosi della Virtus? Cosa si può aspettare un tifoso a cui è stato detto che si potrà tornare a parlare di A1 soltanto tra due anni? Ovviamente mica con la certezza di accedervi, perché se qualcuno se lo fosse dimenticato l’A2 non solo è un torneo lungo e laborioso ma anche un campionato dove attualmente su 32 squadre soltanto una viene promossa nella categoria superiore.

Questo per ricordare che poi tra gli obiettivi e la realizzazione effettiva degli stessi c’è di mezzo una stagione tosta, in cui per ora è sempre esistito un raggruppamento (quello Est) composto da squadre più forti e organizzate rispetto all’altro (quello Ovest, della Virtus per l’appunto).

La Roma cestistica ha vitale bisogno di tornare a respirare aria importante. E non è un mero discorso di campo, ma una necessità per una città che pian piano si restringe sempre più attorno a sé, non capendo che questa piccolezza prima o poi finirà per isolarla definitivamente da un discorso nazionale che invece dovrebbe vederla quanto meno protagonista.

In ultima istanza – ma non per importanza – la stagione della Curva Ancilotto. Un’annata che purtroppo passerà agli annali negativamente per la terribile mannaia repressiva che l’ha colpita in occasione del match contro l’Eurobasket. Daspo che hanno segnato il tifo organizzato della Capitale, capitati in una situazione che abbiamo accuratamente trattato all’epoca e che rimane a dir poco scandalosa anche a qualche mese di distanza.

Ma quando si parla di una città “piccola malgrado la sua grandezza” si fa riferimento anche a questo. Praticamente sembra che quanto di buono si sviluppa a livello di sport e aggregazione vada distrutto quanto prima.

Simone Meloni