Il calcio non è una rappresentazione teatrale. Le maglie che sosteniamo sono i colori di una città, sono i simboli di un profondo legame di appartenenza tra il territorio e la sua gente, e non semplicemente costumi da far indossare agli attori di una compagnia. Gli stadi sono monumenti intrisi di storia e non scenografie di cartone da muovere secondo un copione già scritto. Infine il pubblico, che nel calcio non assiste ma partecipa. Non segue una storia ma ne fa parte, e ha addirittura l’ambizione di determinarla.

In quest’ottica, l’unica che ci appartiene, non possiamo che dar seguito al primo comunicato di Curva Ovest del 2 aprile 2020 in merito alla sospensione del campionato. Il contesto attuale svuota il calcio di qualsiasi contenuto per quanto ci riguarda. Partita, classifica e categoria ci interessano meno di prima, se la direzione in cui si muove la ripresa è quella di uno spettacolo asettico, a beneficio di spalti vuoti o parzialmente vuoti. Abbiamo sentito ipotesi raccapriccianti riguardo alla possibile riapertura nelle ultime giornate. Beh, chiariamo fin da subito che il contingentamento e il distanziamento del pubblico vanno contro a tutti i principi di aggregazione che da sempre sosteniamo. Non ci avvarremo di nessun voucher, di nessuna formula di accredito, di nessun titolo.

Se non possiamo abbracciarci dopo una vittoria o sventolare le nostre bandiere in faccia ad una sconfitta – e farlo tutti assieme come sempre è stato – preferiamo non esserci affatto. Il nostro materiale (striscioni, sciarpe, vessilli) non colorerà la curva per rendere più appetibili le riprese televisive, perché perderebbe di significato. Gli ultras e i tifosi in generale non sono un elemento ornamentale del calcio dal vivo, ne sono una colonna portante.

Naturalmente non possiamo imporre a nessuno la nostra linea di pensiero, ma la battaglia che da anni conduciamo contro questa forma di teatralizzazione del calcio è giunta ad una svolta decisiva. Non saremo mai complici di un progetto pilota di distanziamento sociale, volto in maniera nemmeno troppo velata alla standardizzazione del cliente-calcio e che va a discapito di quel folklore e di quella storia che invece il tifo rappresenta. Su questa presa di posizione ci aspettiamo la solidarietà di chi abbiamo vicino e il rispetto di tutti gli altri, e non accetteremo che i gradoni della Ovest (almeno quelli) subiscano l’umiliazione di un popolamento contingentato, fatto di spettatori seduti e distanti, a prescindere dalla nostra assenza.

Vorremmo continuare fuori dallo stadio il nostro lavoro di aggregazione, creare unità nel tifo spallino, avvicinare la gente al mondo della curva. Ci piacerebbe avervi tutti quanti in Sede e dimostrare quanto la partita sia accessoria rispetto ai valori che sosteniamo, e non viceversa. Ma attualmente le condizioni di sicurezza non ce lo consentono e si potrà continuare a frequentarla nel rispetto delle regole ma senza la possibilità di organizzare iniziative aggregative collettive, perciò non resta che prendere le distanze dal circo mediatico costituito e invitarvi a fare altrettanto. Boicottando le televisioni, ignorando un campionato indistinguibile da un videogame, e disprezzando modelli comportamentali e consumistici preconfezionati sia tra le quattro mura di casa che fuori. Se quest’emergenza diventerà un pretesto per trasformare il Mazza e gli altri stadi in tanti teatri all’aperto almeno non avremo contribuito al processo. Sappiamo che per molti una scelta del genere rappresenta una rinuncia dolorosa, ma siamo convinti che il sacrificio di oggi sarà importante nel calcio di domani.

Se e quando le condizioni per assistere torneranno ad essere quelle di prima, allora riprenderemo il nostro posto.

Ma fino a quel giorno il sipario lo tiriamo noi.

Curva Ovest Ferrara