“Tu appartieni a noi, la squadra della gente e degli ultrà, stiamo a scrivere, una storia che, si tramanderà sei L’Aquila”. Con questo leitmotiv sulle note di una celebre canzone di Venditti, i tifosi abruzzesi si galvanizzano negli ultimi minuti del match, mentre la loro squadra si avvia verso una vittoria che tiene il campionato aperto e, di fatto, elimina una delle tre contendenti alla vittoria finale. Un coro che racchiude molti capisaldi con cui i supporter aquilani hanno ricostruito dal basso il proprio club, dopo il terzo fallimento della propria storia, quello del 2018. Ma andiamo con ordine.

Per parlare del calcio all’Aquila è necessario riavvolgere il nastro e tornare a inizio secolo, quando la società – secondo tradizione nel 1927 – viene fondata, riuscendo a partecipare a ben tre campionati di Serie B negli anni trenta. Un numero che probabilmente avrebbe potuto essere più cospicuo se il fato non avesse giocato un drammatico scherzo. La stagione 1936/1937 fu infatti segnata da un terribile incidente ferroviario che vide coinvolto, a Contigliano (Rieti), il convoglio che trasportava i giocatori aquilani a Verona, per una gara di campionato contro gli scaligeri. Otto furono i morti e tutti i tredici componenti della rosa rimasero gravemente feriti. Il trauma fu talmente grande che molti di loro abbandonarono l’attività sportiva, lasciando il sodalizio in gravi difficoltà. La Federazione propose agli abruzzesi una salvezza d’ufficio, ma i dirigenti rifiutarono, accettando invece gli aiuti provenienti da altre società, che mandarono loro gratuitamente in prestito alcuni calciatori. Tuttavia a fine torneo arrivò la retrocessione in C ed è da allora che la cadetteria resta probabilmente il sogno segreto e bramato da tutti gli aquilani.

Novant’anni dopo questo sogno è stato risvegliato e cullato sempre più apertamente da un club messo letteralmente in mano a tifosi, imprenditori e rappresentati istituzionali del capoluogo. Sogno che, inesorabilmente, ha la voglia di un riscatto necessario per una città che dal disastroso sisma del 2009 ha faticato e non poco a ritirarsi su. Sia nella sua conformazione urbanistica che in quella economica. Ma come ovviare a una mancanza di fondi imprenditoriali e di una progettualità calcistica ai piedi del Gran Sasso? La risposta ha il suo incipit in una data a suo modo storica: mercoledì 24 luglio 2019, quando il Supporters Trust L’Aquilamè e i Red Blue Eagles, diventano a tutti gli effetti proprietari del club. Due dopo due mesi resteranno solo gli Ultras, promuovendo un’opera di azionariato popolare che gradualmente coinvolge tutto il capoluogo, scongiurando il fantasma del quarto fallimento e riuscendo a raccogliere 320.000 Euro dalle attività operanti sul territorio. Una somma utile a coprire i 50.000 Euro di debito lasciati dalla vecchia gestione dopo un campionato di Prima Categoria e ad allestire una rosa in grado di dominare il campionato successivo. Come presidente viene scelto inizialmente Stefano Marrelli, mentre dal 2022 è l’ingegnere e tifoso Massimiliano Barberio a ricoprire tale carica.

Nel 2020 viene modificato lo statuto de L’Aquila 1927, permettendo l’ingresso nella compagine dell’associazione di tifosi conosciuta come Aquile Rosso Blu, che estende la partecipazione e la rappresentanza dei tifosi in tutte le attività del club, in particolar modo se e quando questo non sarà più di proprietà degli stessi. Senza dubbio uno degli aspetti più importanti che vede protagonista quest’associazione è la questione logo: ideato e realizzato dai tifosi nel 2018, registrato e concesso in comodato d’uso gratuito ogni anno al club, con diritto di recesso unilaterale, facendo sì che in caso di eventuali fallimenti lo stesso rimanga in mano ai tifosi, non divenendo oggetto di contesa e ricatto in mano a faccendieri e malintenzionati. Il logo rappresenta L’Aquila di Svevia che sormonta uno scudo medievale a difesa dei colori rossoblu e di un pallone di cuoio. I caratteri utilizzati per la scritta e per i numeri sono quelli del gruppo e dello striscione Red Blue Eagles 1978. Curiosità: da qualche anno accanto allo stemma sociale, sulle maglie è stampigliato anche quello dello storico gruppo ultras aquilano. Mentre la scelta di ripartire dai bassifondi, senza usufruire di titoli per categorie superiori, è stata fortemente voluta dalla tifoseria, per discostarsi dal modo malato di fare calcio in cui si distruggono sodalizi storici e le vittorie non si conquistano sul campo.

Altro punto cardine del progetto è senza dubbio lo stadio. Abbandonato il vecchio e storico Fattori, dal 2016 i rossoblù giocano le loro gare interne al Gran Sasso d’Italia – Italo Acconcia, per il quale nelle ultime settimane è stata avviata un’opera di crowfunding al fine di riqualificare ulteriormente la struttura e renderla all’avanguardia per i prossimi anni, attraverso la copertura di tutto l’impianto, l’aumento della capienza, varie migliorie riguardanti la viabilità e la costruzione di altri campi adiacenti alla zona Nord, in modo da farlo diventare un vero e proprio centro sportivo fruibile sette giorni su sette. Un progetto ambizioso, che sposa appieno quella voglia di rivalsa di una città che da quindici anni ha dovuto rimboccarsi le maniche, dapprima contro gli infausti eventi della natura e, successivamente – cosa forse ancor più ardua – contro l’italica gestione istituzionale di tutto quello che comporta una simile calamità.

Va detto che in questi tre lustri gli ultras e i tifosi aquilani hanno giocato un ruolo preminente, dandosi da fare e organizzando iniziative passate agli annali come l’inaugurazione dell’Area Ultras d’Italia, un grande skatepark che ha avuto come obiettivo quello di creare uno spazio aggregativo nella città da poco martoriata dal sisma e che ha visto il contributo e la partecipazione di numerose tifoserie italiane, molte, peraltro, divise da una storica rivalità con quella rossoblù. L’opera è stata realizzata a ridosso di Piazza d’Armi, un luogo simbolo per la città: qua infatti migliaia di sfollati vennero radunati l’indomani degli eventi tellurici. E sempre qui, a inizio secolo, L’Aquila mosse i suoi primi passi calcistici, utilizzando lo spazio come primo campo di gioco.

Oggi sono passati esattamente quindici anni da quel tragico 6 aprile 2009 e la partita contro la Sambenedettese, dunque, assume contorni importanti non solo per la posta in palio, ma anche per il significato emotivo e simbolico. L’Aquila che risorge e che torna a mettere la testa avanti, sgomitando in campionato e richiamando allo stadio numeri importanti, rappresentati da chi oggi si sente primo socio e “proprietario” del club. Oltre cinquemila anime sugli spalti più il solito, grosso, contingente in arrivo dalle Marche, sono una vetrina da altre categorie. Sicuramente molto più verace e genuina rispetto al plastificato pubblico della Champions League e, in taluni casi, anche della nostra Serie A.

I numerosi graffiti realizzati sui muri del Gran Sasso d’Italia, di concerto con quelli presenti da anni attorno al Fattori, sono il primo sentore di quell’appartenenza e di quell’identità che da anni vengono evidenziate dalla curva di casa e che oggi troveranno la massima interpretazione nella coreografia messa in scena all’ingresso delle due squadre: bandierine nere e verdi (colori del comune dell’Aquila che oggi saranno anche quelli delle casacche del club, tradizionalmente rossoblù sin dagli albori della sua storia in onore del professor Rusconi, radiologo bolognese e tifoso del Bologna, primo portiere del sodalizio) con un telone al centro raffigurante tutti i principali monumenti della città, degli angeli e il numero 309 (corrispondente alle vittime del terremoto). Anche nel settore ospiti viene esposto una striscione per commemorare la data, ricevendo l’applauso di tutto lo stadio.

Una considerazione: probabilmente, sia il triste Samb-L’Aquila del 2003 ricordato per la morte di Massimo Cioffi, che la comune tragedia – le Marche non sono state risparmiate storicamente da scosse mortali – con seguente solidarietà sulla tematica, hanno un po’ allentato quella che a inizio anni duemila era una rivalità di tutto rispetto, segnata dai pesanti incidenti avvenuti al Fattori nel 2002/2003. Oggi tra le due tifoserie regnerà la sostanziale indifferenza. Mentre da segnalare, senza dubbio, i ripetuti epiteti offensivi indirizzati dai tifosi ospiti all’ex presidente Franco Fedeli, presente in tribuna. Uno dei tanti responsabili delle sventure sambenedettesi degli ultimi anni, cosa che ovviamente i supporter rivieraschi – ormai stanchi di gestioni a dir poco indecenti – non hanno dimenticato. E considerato che parliamo di una tifoseria che più fallisce e più segue con fare accanito, direi che la reazione è comprensibile.

La giornata caldissima e il sole che batte a picco sulle due curve sembrano proiettarci direttamente in estate, sebbene la primavera sia da poco arrivata e i campionati debbano ancora conoscere la maggior parte dei verdetti. Il Girone F della Serie D ha mantenuto le promesse e si è dimostrato il più combattuto in campo e sugli spalti. Normale, quindi, che la sfida di oggi sia l’ennesimo spot per questa categoria. Cominciano subito forte i sambenedettesi, che dietro le loro classiche insegne sostengono a gran voce la squadra. I ragazzi della Nord sanno bene che questa è probabilmente l’ultima spiaggia per continuare a sperare nel ritorno in C. Una vittoria li proietterebbe al match contro la capolista Campobasso con rinnovate speranze, mentre una debacle li taglierebbe definitivamente fuori, suggellando così un campionato fatto di rimpianti per i numerosi punti persi con squadre di bassa levatura. Sta di fatto che la loro prestazione è come sempre di livello: tanta voce, mani e rabbia nell’eseguire i cori. Malgrado ritenga un po’ troppo minute le loro pezze e sarebbe bello vederli con la balaustra più colorata, a me l’indole “grezza” degli ultras marchigiani piace tantissimo. Non c’è nulla di artefatto o costruito. Veraci e “cattivi” al punto giusto. Con la sostanza che non manca mai. Tipico della gente di mare!

Sul fronte opposto gli aquilani, che anche grazie a una politica di prezzi popolari (curva a 2 Euro nella prima parte della prevendita, poi successivamente a 8) possono vantare un settore pieno, si mettono in mostra con una gran bella prova. Concentrata soprattutto nel blocco centrale e caratterizzata dallo stile che ormai da qualche anno contraddistingue l’approccio curvaiolo dei RBE: blocco “nero”, bandieroni, sbandierata nella fase centrale del primo tempo e, cosa che ho apprezzato maggiormente da un punto di vista estetico, “stendardata” nella ripresa, con tanti due aste di ottima fattura e alcuni davvero di vecchia data. La loro performance viene ripagata nella ripresa dall’autorete di Sbardella, che regala i tre punti alla squadra di Cappellacci e fa letteralmente esplodere lo stadio. Al triplice fischio la squadra corre a ricevere l’abbraccio della curva, che grida a gran voce, scevra da qualsiasi fattore scaramantico, di volere la Serie C. Umore ovviamente ben diverso nel settore ospiti, con la delusione ben tangibile e l’urlo “Onorate San Benedetto” che si staglia potente e nitido.

Ultime battute di una bella giornata, che ha confermato quanto la Serie D di questi ultimi anni sia divenuta una vera e propria C2, almeno in alcuni dei suoi raggruppamenti. Lo stadio aspetta di defluire, perché la Questura ha deciso di far uscire prima i supporter adriatici, così la curva aquilana ne approfitta per continuare a cantare e festeggiare il successo. Dopo gli ultimi scatti è tempo di riporre la pettorina e varcare la porta d’uscita, con il benestare del simpatico inserviente al cancello. Uscendo ci si imbatte nelle scritte e nei trofei che sottolineano la presenza della sede societaria dell’Aquila proprio nella pancia dello stadio. Un aspetto che, laddove presente, ho sempre apprezzato, perché ancor più utile a cementare l’unione e l’empatia tra tutti gli elementi che costituiscono un sodalizio calcistico.

È tempo di lasciarsi alle spalle il capoluogo abruzzese e, a differenza dell’andata in cui non avevamo molto tempo, stavolta possiamo evitare la sempre esosa e spesso difficoltosa (in quanto a traffico e lavori) A24, preferendo la via interna che fino ad Antrodoco ci delizia con la visione degli splendidi rilievi a cavallo tra Lazio e Abruzzo. In fondo il bello di queste giornate è anche poter gustare la bellezza che primeggia al di fuori dei centri urbani e, senza dubbio, l’Appennino che a queste latitudini non ha nulla da invidiare a paesaggi più celebri e turistici. Rimane la triste constatazione di quanto Madre Natura sia spesso foriera di bellezze uniche e mozzafiato, divenendo però, a volte, portatrice di morte e disastri irreparabili. Resta la maestria di quella parte umana in grado di ripartire sempre e comunque, ricostruendo concretamente, a livello collettivo ed emozionale, entità e posti che resistono con estenuante appartenenza e identità.

Testo Simone Meloni
Foto Marco Meloni