C’è una statua in Piazza Campo de’ Fiori, a Roma. Si staglia in un lato, accanto a uno storico forno della Capitale e in prossimità del celebre mercato che da secoli popola la zona.

Si tratta di Giordano Bruno. Filosofo, scrittore e monaco domenicano che qua venne arso vivo nel 1600, a 52 anni, con l’accusa di eresia.

Ogni volta che ci passo di fronte non posso fare altro che pensare a Nola, città in cui Bruno nacque e si formò in giovane età.

Chissà per quale perversa ragione, poi, la abbino a una squadra di calcio. Ricordo bene che quando conobbi per la prima volta la sua figura, sui banchi di scuola, il primo collegamento non fu tanto “Giordano Bruno di Nola” ma “Nola, la città dell’omonima squadra, da oggi ha dato anche i natali a un personaggio storico”.

Malattie mentali molto comuni fra i calciofili.

Erano gli anni ’90 e tutto ruotava attorno alle profumate pagine dell’album Panini e alle sintesi di “C Siamo”. Il Nola aveva conosciuto il punto più alto della sua storia calcistica: sei campionati di C1 culminati nel 1995/1996 con il playout perso contro la Juve Stabia e il fallimento del club.

Da allora per i bianconeri è stato un continuo peregrinare tra le serie dilettantistiche, con diversi fallimenti e ripartenze all’attivo. Un tira e molla che di certo non ha favorito l’avvicinamento del pubblico, anche se tuttavia Nola ha sempre potuto contare su uno zoccolo duro in grado di tenere vivo il discorso ultras.

La città bruniana è posta esattamente a metà strada tra Napoli e Avellino. Dalle sue vie è facile scorgere il Vesuvio che la cinge a Sud e i primi monti dell’Irpinia che le fanno scudo a Nord. Vanta natali antichi e, per più di qualcuno, è nota anche per la celebre Festa dei Gigli.

Senza voler tediare il lettore, ho inserito qualche riga storico/culturale per ricordarci quanto il mondo del tifo sia fondamentalmente legato a quello sociale e spesso ancestrale (basti pensare ai tanti nomi di gruppi assonanti con le antiche tradizioni dei nostri centri urbani) e quanto per capire ciò che si vede anche all’interno di uno stadio sia importante contestualizzare ciò che lo circonda.

Sulla scorta di questo è sempre molto interessante – e qui entro nel vivo dell’argomento – assistere a una sfida sull’asse Puglia/Campania. Due regioni che generalmente non si amano a livello di stadio, luogo dove spicca la rivalità più grande tra Napoli e Bari seguita a cascata da tutte le inimicizie tra le numerose tifoserie dei rispettivi hinterland.

Oggi, tuttavia, ci sarà sostanziale indifferenza tra le opposte fazioni.

Nolani e andriesi sono senza dubbio due tra le realtà più in forma del girone. Grazie ai buoni numeri, all’ottima continuità e alla tanta sostanza mostrata.

Se su fronte pugliese non c’è molto di cui sorprendersi, ai campani va invece dato atto di aver fatto un grande lavoro negli ultimi anni riuscendo a figurare tra le poche tifoserie cresciute e migliorate negli ultimi vent’anni.

È palese come dietro gli ultras di casa ci sia stato un lungo, attento e intelligente lavoro di costruzione, anzitutto mentale. Una realtà che non si è fatta grande pubblicità ma che ha allargato le fila anno dopo anno, riuscendo a ripartire (con tutti gli effettivi) alla grande quest’anno dopo le diffide comminate agli Essepienne nella scorsa stagione. Ciliegina sulla torta: l’intelligente scelta di compattare tutte le componenti, creando un settore organizzato davvero importante.

Peraltro molto bello notare la variegata presenza di “vecchi” e “giovani”, cosa fondamentale per garantire un equilibrio e un futuro a ogni tifoseria.

Di contro gli andriesi sembrano invece avere un’età media alta. Certo, questo rappresenta un bel vedere a livello “estetico”: è chiaro che i meccanismi dei federiciani siano oleati da tempo e basta osservarli qualche minuto per comprendere lo spessore di una tifoseria che negli ultimi anni non solo se n’è altamente fregata di fallimenti e amarezze sportive, ma ha persino incrementato i propri numeri e le proprie iniziative.

Andria – come Nola per certi versi – non gode magari di grande pubblicità, ma merita tutta la considerazione del caso. Basti pensare alla presenza di oggi: un centinaio abbondante (con la squadra che può puntare al massimo ai playoff), un tifo costante e un’impostazione ultras dal 1′ al 90′.

In campo i pugliesi la spuntano con un netto 3-0. Risultato che mette nei guai un Nola invischiato nella zona retrocessione e ora costretto a fare risultato pieno negli ultimi match di campionato.

Abbandono il campo in direzione Circumvesuviana con una certezza: partite come queste confermano solo quanto l’Italia resti la patria del tifo. Malgrado tutti i colpi inferti al movimento gli ultras sono ancora in piedi. In quanti Paesi – anche tra quelli in voga nella new wave – sarebbe così al netto di divieti, daspo arbitrari, limitazioni e continua caccia alle streghe?

Ai posteri l’ardua sentenza.

Testo Simone Meloni

Foto Pierpaolo Sacco